
La cosa migliore di Dampyr sono i 36 secondi di animazione che precedono il film e che presentano Bonelli Entertainment, la nuova divisione di Sergio Bonelli Editore. Nel marketing si chiama”identity” o “logo animation”. Una animazione un filo lunga per essere solo uno stacco animato di un marchio (come i millemila che chi va al cinema è abituato a vedere) e che invece si dimostra un riuscito esercizio di stile in grafica 3D con un tratto originale e intrigante, che richiama uno dopo l’altro gli eroi dell’universo Bonelli e la loro estetica in bianco e nero. Davvero bella, promettente e intrigante.
Il film è molto meno riuscito. Ha sette-otto scene in tutto, cinque delle quali molto scure. La regia è tecnica, competente ma fredda. A livello di sceneggiatura il problema sta nella costruzione della parte emotiva e sentimentale dei personaggi: non si capisce perché manifestino emozioni ingiustificate dallo svolgimento della trama. Forse qualche scena è rimasta negli “assets” del software di montaggio, forse si sono dimenticati di scriverle. Chissà.
A parte l’ironia, l’aspetto emotivo è solo uno dei problemi del film di Dampyr. L’altro è il suo posizionamento. Il film è costato 13,7 milioni di euro ma non li dimostra, nonostante abbia una “grana” e una capacità visiva matura. Non li dimostra sia perché sembra più un lungo pilot di una serie televisiva che spera di essere messa in produzione, sia perché il mondo che costruisce pare solo un abbozzo, un principio.
Il film – una origin story fedele ai primi due albi della serie a fumetti – è scritto da Mauro Boselli e Maurizio Colombo (gli ideatori dei personaggi) e sceneggiato da un pool nutrito di autori: lo stesso Mauro Boselli, Giovanni Masi, Alberto Ostini e Mauro Uzzeo. È diretto da Riccardo Chemello, al suo esordio nel ruolo di regista, prodotto da Eagle Pictures, Sergio Bonelli Editore e Brandon Box, viene distribuito in Italia da Eagle Pictures – mentre all’estero da Sony – ed è stato girato tutto in inglese.
Questo anche perché il cast è anglofono: Wade Briggs nella parte di Harlan Draka (il Dampyr), Stuart Martin è il “soldatino” Emil Kurjak, Frida Gustavsson è la vampira buona Tesla, Sebastian Croft è Yuri il giovane socio di Harlan, David Morrissey è il cattivone “Maestro della Notte” Gorka, mentre Luke Roberts è l’immancabile figura paterna Draka (altro capo-vampiro che compare all’inizio e alla fine del film).
Il presupposto è semplice: un Dampyr è il figlio di un Maestro della Notte e di un’umana. Una creatura dotata di poteri straordinari, come i vampiri, ma per loro estremamente pericoloso perché li caccia e li uccide. È una leggenda dei Paesi dell’est che, durante la guerra nei Balcani degli anni Novanta, Harlan e il suo “manager” Yuri interpretano per sbarcare il lunario. Solo che Harlan è veramente un Dampyr e, quando un gruppo di soldati rimane bloccato in un villaggio sotto attacco di vampiri, si ritrova coinvolto nello scontro. Da qui inizia tutta la vicenda.
Lo schema del film è semplice e sembra più un videogioco che procede a blocchi: scene di raccordo (dialoghi tra attori che si incontrano e si parlano), scene di spostamento (in macchina o a piedi) e poi scene di combattimento contro i cattivi. Lo schema si ripete per tutta la durata di Dampyr, e l’unica variazione è il livello crescente di pericolosità dei cattivi. Strutturato così sarebbe potuto essere un buon videogioco, come film lascia perplessi.
Sappiamo che l’ambizione di Bonelli Entertainment è quella di creare una serie di film su questo personaggio: pellicole ambientate in un mondo, quello del Dampyr, che si presta ad ampi sviluppi, come è accaduto nel corso degli anni nella serie a fumetti originaria. Per il momento però mancano alcuni aspetti fondamentali. La meccanicità della scrittura e tante piccole sbavature nella continuità temporale delle sequenze fanno inoltre pensare che ci sia stato un lavoro di forbici importante, che rende difficile muoversi in questa avventura.
Qui si entra in un territorio che letterariamente e cinematograficamente appartiene a mostri come Michael Crichton e Steven Spielberg, capaci di costruire storie che iniziano, si svolgono e finiscono nell’arco di pochi o pochissimi giorni, con un ritmo incalzante e una struttura temporale impeccabile. Questo invece è uno dei problemi di questa sceneggiatura e del montato finale del film. Ci sono sequenze che si soffermano troppo tempo da una parte e poi devono tornare indietro quando si passa a un altro personaggio (per esempio l’esplorazione della biblioteca dove ha fatto la sua tana il cattivo). Oppure ci sono aree diverse del film (il villaggio dove sono i soldati e quello dove invece si trova il il protagonista Harlan-Dampyr), in cui sembra che il tempo vada a una velocità differente. Non è causato dalla magia nera, ma dalla difficoltà di “tenere” i fili paralleli della storia tutti della stessa lunghezza.
Al netto dei problemi, va detto che ci sono così tante professionalità e sforzi nella realizzazione di un progetto di questa portata, dai set alla recitazione, dagli effetti speciali alle musiche (ai giornalisti presenti all’anteprima stampa è stato regalato un vinile con la colonna sonora di Lorenzo Tomio). Perché una “macchina” così complessa non ha funzionato come avrebbe potuto? Mi vengono in mente due cose.
La prima è che la produzione del film non sia riuscita a governare la macchina a dovere. Il che ci sta: se vogliamo guardare il bicchiere mezzo pieno, questo film è una palestra, un esercizio per imparare a fare film sia dal punto di vista produttivo che narrativo e di scrittura. Oltre che di marketing e promozione. Molte cose Bonelli Entertainment le ha azzeccate bene subito, su altre c’è da lavorare.
La seconda è che la distribuzione di questo film rappresenta una incognita: è un film dell’orrore, una storia di vampiri, un divertente B movie girato con mestiere, che potrebbe crearsi una sua nicchia anche con il traino del fandom del fumetto, oppure è pensato come un vero grande film di serie A, di quelli che poi concorrono ai premi e devono portare a casa cifre importanti?
La prudenza e la logica vorrebbero che la strada fosse la prima, ma la sensazione è che Bonelli Entertainment e i suoi distributori si siano fatti prendere dal pensiero della seconda. E questo sarebbe un bel problema. Se fossimo negli anni Novanta, un film action-horror come questo ci sarebbe anche potuto stare. Un prodotto da cassetta che domani si potrebbe mettere in rotazione sui canali di streaming. Perché no. Se invece Dampyr è pensato come “IL” film da far vedere, il livello di qualità inattaccabile che sarebbe necessario non c’è.
Però sono fiducioso: il frammento animato di “Identity” di Bonelli Entertainment fa una promessa visiva che lascia ben sperare. Diamogli un po’ di tempo, i ragazzi si devono fare le ossa, ma come hanno dimostrato in ottanta anni a fumetti, sanno come trovare la strada giusta.
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