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Disney e le altre major non fanno abbastanza contro il razzismo dei fan?

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Reva, una delle protagoniste della serie tv di Disney+ “Obi-Wan Kenobi”

Negli ultimi anni, i fenomeni di razzismo sui social nel confronti di attori neri o di altre etnie sono decisamente aumentati, e Walt Disney e le altre major dell’intrattenimento non starebbero facendo abbastanza per arginare il problema, come riporta un’inchiesta del sito americano Inverse.

Il fenomeno è evidente in particolare in quei casi in cui un personaggio di fantasia viene modificato nel passaggio da un media all’altro, passando per esempio dai fumetti al cinema, o nella realizzazione un remake live-action di un prodotto animato. Qui la giustificazione più frequente è del tipo «non sono razzista, ma perché cambiare il personaggio originale?».

Poco importa se poi questo dà origine a forti incomprensioni, tipo nel caso della nuova Sirenetta nera di Walt Disney, che sarà interpretata dall’attrice Halle Bailey, in cui la media dei commenti è «avete mai visto una sirenetta nera?» – ma qualcuno poi ha mai visto una Sirenetta? Oppure si invoca il fatto che l’autore della fiaba originaria, Hans Christian Andersen, era danese, dimenticando del tutto il fatto che invece il film di Walt Disney è probabilmente ambientato nei Caraibi, quindi se proprio vogliamo non avrebbe senso che Ariel fosse bianca e con gli occhi azzurri.

Una cosa molto simile si è verificata in queste settimane anche nel caso di Gli Anelli del Potere, la serie tv di Amazon Prime Video che fa da prequel a Il Signore degli Anelli, in cui sono presenti diversi attori non bianchi (e, anche qui, la domanda «avete mai visto degli elfi neri?» non è sembrata la migliore difesa possibile dalle accuse di razzismo).

Anche a voler accettare simili giustificazioni, in ogni caso, tale fenomeno si sta estendendo sempre di più fuori dai casi di “tradimento del materiale originario”. L’attrice afroamericana Moses Ingram, interprete del personaggio di Reva nella recente serie tv Obi-Wan Kenobi, è stata per esempio attaccata sui social – ancora prima della messa in onda – per il semplice fatto di essere una donna nera nell’universo di Star Wars. E stiamo parlando di un personaggio nuovo di zecca, creato appositamente per l’occasione.

La serie tv Ms. Marvel è stata invece attaccata già prima della sua messa in onda con azioni di “review-bombing” su siti come IMDB per il fatto che la protagonista – interpretata da Iman Vellani – è un’americana musulmana di origine pakistana. Ma lo è anche il personaggio originario dei fumetti. In questo caso, si è fatta sentita forte la voce del ComicsGate, il movimento alt-right statunitense contrario all’inclusività dei fumetti (ne abbiamo parlato qui, tempo fa).

Come abbiamo già avuto modo di far notare in passato, dietro questa “ideologia” woke delle major in generale e di Walt Disney in particolare ci sarebbe più che altro una forte volontà di fare soldi, tanto che spesso il tentativo di inclusività si è rivelato molto grossolano (e lo sottolineava già nel 2014 il nostro Marco Andreoletti). A ulteriore conferma di questo, Inverse fa ora notare come gli studios potrebbero fare più di un passo in avanti nella questione, magari esponendosi maggiormente.

Nel caso di Obi-Wan Kenobi, per esempio, a farsi avanti è stato in prima persona Ewan McGregor, l’interprete del protagonista, chiedendo ai fan di smetterla con il razzismo nei confronti di Ingram, senza alcun intervento da parte di Walt Disney. Per il remake live-action di La Sirenetta, invece, la Disney aveva pubblicato un messaggio per difendere la propria scelta di casting intitolato «Una lettera aperta alle povere anime sfortunate», come fa notare Inverse. «Il loro silenzio non fa che incoraggiare i fan razzisti» rimarca l’articolo.

«Dopo decenni di casting daltonici, le aziende che sono sorprese dai fan razzisti e anti-neri non possono rivendicare l’ignoranza» sottolinea poi la scrittrice e autrice di podcast Bezi Yohannes. «Le aziende multimiliardarie devono incoraggiare i talenti neri a tutti i livelli di produzione, per lavorare in modo proattivo anziché reattivo.»

A tal proposito, Neisha T. Mulchan, CEO della organizzazione no-profit Diversely Geek, propone di sviluppare in modo più più inclusivo anche gli ingranaggi interni alle aziende: «So che la Disney utilizza spesso sistemi di valutazione interna che guidano il modo in cui vengono sviluppato i progetti e, per la maggior parte, sono efficaci, ma credo che la valutazione e la comprensione della diversità dovrebbero essere la norma, non l’eccezione».

Stitch, columnist di Teen Vogue, suggerisce poi un possibile piano d’azione che comprenda anche «un terapista con esperienze con i disturbi da stress post-traumatico complesso e molestie online, da prevedere nel contratto, perché le molestie che questi attori di colore, soprattutto quelli neri, subiscono dal fandom possono durare anni». L’esempio più lampante, come fa notare Stitch, è quello dell’attrice afroamericana Candice Patton, che ha ricevuto insulti razzisti senza tregua per molti anni mentre interpretava il ruolo di Iris West nella serie tv The Flash di The CW, senza che il network sia mai intervenuto in sua difesa.

Insomma, l’inclusività non dovrebbe limitarsi a una questione di facciata, ma essere articolata su più livelli e partire da più lontano, senza limitarsi al prodotto finito. Non basta un cast multiculturale, se la scelta poi non è sostenuta da logiche produttive e comunicative preventive e adeguate.

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