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FocusListe18 pagine di fumetti per capire John Romita Jr.

18 pagine di fumetti per capire John Romita Jr.

Sensibilità instintiva per la narrazione, personaggi con il peso specifico di un macigno, presenza, possanza, segno squadrato e sintesi. Queste sono solo alcune delle caratteristiche che hanno reso John Romita Jr. uno dei più apprezzati disegnatori di supereroi. 

Pur se a volte è stato criticato per lo stile poco realistico delle fisionomie, John Romita Jr. è riuscito ad attraversare cinque decenni di fumetti, contribuendo al canone di Spider-Man, Daredevil, X-Men e tanti altri personaggi, soprattutto Marvel, ma anche (per un breve periodo) di DC Comics.

Ci sono molte pagine dei fumetti disegnati da John Romita Jr. che nel corso degli anni sono rimaste impresse nella memoria degli appassionati. Quelle selezionate tra la sua immensa produzione non sono necessariamente le più iconiche o famose, ma sono solo alcune di quelle in cui John Romita Jr. ha dato il meglio di sé, producendo momenti di grande fumetto.

Amazing Spider-Man 239, chine di Frank Giacoia (Marvel Comics, 1983)

Questa tavola è la chiusa del primo scontro con Hobgoblin, supercriminale che era stato introdotto nel numero precedente di Amazing Spider-Man. L’eroe fa la conta dei danni e si interroga su chi possa essere questa nuova minaccia, non essendo riuscito a scoprirne l’identità. È un Peter pensieroso, che si consola ironicamente con il fatto che «le cose non possono andare peggio di così… Forse».

John Romita Jr. disegnò quattro vignette verticali molto strette, girando attorno all’eroe e lasciandolo poi allontanarsi da noi. Era una soluzione stilistica che non si sarebbe vista spesso nelle sue pagine. La storia risale infatti ai primi anni di attività dell’autore, che qui stava ancora cercando una quadra tra un modo di raccontare funzionale e senza troppi fronzoli e personalismi grafici.

Daredevil 260, chine di Al Williamson (Marvel Comics, 1988)

john romita jr fumetti daredevil

Il ciclo di Daredevil realizzato insieme ad Ann Nocenti negli anni Ottanta è uno dei lavori migliori di John Romita Jr. L’autore interpretò molto bene le sceneggiature sempre ricche di tematiche sociali, politiche e religiose della Nocenti, e questa pagina ne è un esempio.

Malmenato da una serie di avversari, tra cui Bushwacker – mercenario ed ex prete a cui è stato impiantato un braccio cibernetico – e il capobanda Ammo e travolto da una marcia di pacifisti, Daredevil inizia a vedere gli spettri di amici e nemici, tra cui il padre, che lo incoraggia a non mollare. Dopo aver mostrato Matt steso a terra, Romita asseconda il movimento orizzontale con una vignetta lunga in cui vediamo l’eroe strisciare per le strade di New York. Solo quando inizia ad alzarsi il disegnatore passa a una striscia di vignette alte sempre più ravvicinate.

Ma questa pagina dimostra soprattutto il grande senso per gli ambienti di Romita. Qui giocava in casa, dato che è newyorchese. New York in quegli anni era una città che stava uscendo da un decennio che l’aveva degradata, riempiendola di rifiuti e criminalità. Romita non cercò di renderla patinata e mostrò strade lerce, vicoli colme di sporcizia e auto scassate. Anche nel raccontare storie di supereroi, Romita non dimentica di ancorarle al realismo che un contesto come New York impone, che sia Hell’s Kitchen, il Queens di Spider-Man o il centro città più patinato.

Daredevil 282, chine di Al Williamson (Marvel Comics, 1990)

Il Daredevil di Ann Nocenti non è stato solo un grande racconto sociale. Alcune storie hanno visto il protagonista combattere con il mondo del soprannaturale, in particolare con Mefisto, che John Romita Jr. ridisegnò per dargli un aspetto più demoniaco, a metà strada tra un dannato dantesco e un uccello infernale. Aureole incrinate portò il discorso a un livello ancora più profondo, introducendo la figura angelicata di Silver Surfer.

Il surfista d’argento irrompe sulla pagina prendendosi tutti gli applausi. Disegnato in stile kirbyano, con i “Kirby Krackle” (le particelle di energia cosmica) a decorare la vignetta, una presenza scenica possente e l’inchiostrazione di Williamson che lascia intatta la vivacità e la concretezza pastosa della matita, questo momento è uno dei più affascinanti di tutta la gestione Nocenti-Romita.

Iron Man 265, chine di Bob Wiacek (Marvel Comics, 1990)

Quella di Iron Man è una serie a cui John Romita Jr. ha contribuito in maniera occasionale ma ogni volta lasciando un segno. È stato infatti tra gli autori di uno storico arco narrativo come Il demone nella bottiglia ma anche di La seconda guerra delle armature, una storia non così famosa ma disegnata con una mano davvero ispirata. Nella saga, scritta da John Byrne, Iron Man è sotto attacco dei gemelli Marrs, della Marrs Corporation, che stanno prendendo il controllo delle armature di Stark.

Questa doppia pagina, che apre l’ottavo capitolo della saga, mostra Tony Stark circondato da una folla inferocita di dipendenti della sua stessa azienda, in tumulto a causa delle cattive condizioni in cui sta versando la Stark Enterprises. L’Inquadratura dall’alto è impietosa e mette Tony in una posizione di sottomissione totale. Il punto su cui si concentra l’occhio non sono le mazze al centro dell’immagine, che vanno ognuna in una direzione diversa, ma il foratino schiantato sul petto di Iron Man e la testa che resta libera per far vedere soltanto con la prossemica il completo abbandono di Tony all’aggressione.

Byrne volle che il nome di Romita fosse stampato prima del suo nei crediti, a rimarcare il contributo fondamentale del disegnatore come narratore.

Punisher War Zone 1, chine di Klaus Janson (Marvel Comics, 1992)

Negli anni Novanta il fumetto supereroistico cambiò faccia. Complici i successi di disegnatori come Jim Lee, Todd McFarlane e Rob Liefeld, autori votati all’esagerazione dei corpi, dei costumi e della costruzione delle tavole, si impose il cosiddetto stile Image Comics, chiamato così a partire dalla omonima casa editrice nata nel 1992.

John Romita Jr. non fece del tutto sua la sguaiatezza Image, ma cercò di inglobare alcuni aspetti di quello stile, assecondando il gusto del pubblico. Punisher War Zone – e poi Cable: Blood and Metal – rappresenta questo periodo. Il Punitore è una figura massiccia, irrealistica ed esagerata, le sue armi hanno un calibro fuori scala e sparano munizioni infinite. 

Nonostante disegni un uomo con proporzioni mostruose nell’atto di fare una carneficina, Romita riesce a essere molto elegante e chiaro, con tocchi come gli archi creati dai bossoli e l’esplosione finale decentrata per far vedere tanto il botto quanto le vittime. Romita resiste alle tendenze più estreme, continuando a disegnare tavole in cui la narrazione è chiara ma non pedissequa, gustosa ma non gratuita, evitando quella scompaginazione tipica degli autori Image.

Daredevil: The Man Without Fear 3, chine di Al Williamson (Marvel Comics, 1993)

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Frank Miller scrisse L’uomo senza paura come sceneggiatura per un progetto cinematografico che però non andò in porto. Così, l’autore lo trasformò in un fumetto, ma le sue pagine di sceneggiatura erano lasche, senza una vera scansione della pagina. John Romita jr. quindi si sobbarcò il lavoro più importante, la scansione degli eventi. Come fluisce la storia, il suo ritmo, le cose che ci vengono mostrate, è quasi tutta farina del disegnatore, che in quest’opera ebbe la possibilità di essere a tutti gli effetti regista e forza creativa di primo piano. 

I risultati furono impressionanti, anche grazie alle chine di Al Williamson (già suo sodale su Daredevil) che decorò le pagine con tratteggi uniformi, linee parallele o griglie ordinate. Graficamente, Romita si avvicinò molto al segno di Miller e ne imitò anche l’occhio attento alle forme e alle silhouette. 

In questa pagina scelse di contrapporre una gremita Times Square alla desolazione del vicolo che si vede nella pagina successiva. Nel punto più turistico di New York si consuma uno scontro violentissimo. Anche nei dettagli dei passanti si respira l’aria della città. E Romita disegnò in maniera diversa lo stesso sentimento, la soddisfazione, declinata in abbandono estatico con Matt e altezzosa ferocia di Elektra.

Daredevil: The Man Without Fear 5, chine di Al Williamson (Marvel Comics, 1993)

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Daredevil: L’uomo senza paura è il capolavoro di John Romita Jr. Potreste prendere una pagina a caso e sarebbe una grande tavola, ma quella finale è sicuramente una delle immagini più iconiche realizzate dal disegnatore e, in generale, tra le più memorabili dei fumetti Marvel.

Il salto nel vuoto di Matt Murdock, in cui lo vediamo per la prima e unica volta con il costume da supereroe, è la chiusa perfetta per raccontare le origini del personaggio. Non solo, è anche un riassunto visivo dell’evoluzione dell’eroe. La doppia tavola lo ritrae infatti nei momenti salienti di un salto che, dal bordo di un tetto, lo porta a librarsi nell’aria. In ogni posa osserviamo tanto l’evoluzione fisica quanto quella editoriale di Daredevil, dal primo costume a quello moderno, piazzato al centro dell’immagine, dritto in faccia al lettore. 

La posa scelta è trasversale, disegna un arco teso che tiene insieme l’immagine e si contrappone all’angolo creato dall’architettura urbana. Man mano che l’occhio si sposta a destra, nuvole e fumo lasciano spazio all’unica cosa che conta: il volto di Matt, fiero, malinconico e possente, per aver trovato il suo sgangherato posto nel mondo.

Uncanny X-Men 309, chine di Dan Green e Jon Holdredge (Marvel Comics, 1994)

Tigri nella notte è una seduta introspettiva in cui Charles Xavier svela stralci del proprio passato, inclusa la relazione d’amore tra lui e Amelia Voight, ragazza mutante che lo curò in seguito all’incidente che lo aveva lasciato paraplegico. Ora però fate finta non vi abbia detto nulla di tutto ciò. Togliete anche le nuvolette, le didascalie, gli spiegoni. Guardate la sequenza così come l’ha realizzata John Romita Jr. e ditemi che tutte queste informazioni non erano già contenute nei disegni. 

Guardate i momenti che sceglie (così rapidi e ritmati che basta una parola ciascuno: caduta, distanza, risalita, abbraccio, tenda, bacio), lo sguardo sorpreso di Charles, la rigidità del suo corpo e il modo in cui lei lo scioglie nella vignetta centrale. Ecco, questo sono i segni di un grande narratore.

Spider-Man: The Lost Years 0, chine di John Romita Sr. (Marvel Comics, 1996)

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Questa sembra una pagina da nulla – Spider-Man ferma un camion in corsa, di scene così quante ne avrete lette? – ma è potentissima nel far percepire al lettore il peso, il movimento e l’impatto delle azioni. Ci sono grandi pose, c’è la pioggia, c’è la scelta dei momenti: guardandola sembra di sentire un metronomo che detta il ritmo. 

E quando Spider-Man salta di fronte al guidatore trasmette furia, potenza, determinazione. Non è una pagina, è una serie di scacchi, perché ogni immagine conduce alla successiva in maniera ineluttabile e non c’è altra possibilità che cadere preda del racconto.

Spider-Man 67, chine di Al Williamson e Al Milgrom (Marvel Comics, 1996)

Ben Reilly, il clone che all’epoca aveva raccolto l’incarico di essere Spider-Man perché credeva di essere il vero Peter Parker, è stato infettato da Carnage, diventando Spider-Carnage, e Peter in questa pagina sta riflettendo sul proprio ruolo: ha scoperto di essere il clone di Ben e non viceversa (in realtà era una bugia messa in piedi da Goblin), ha perso i propri poteri e si è trasferito a Portland con Mary Jane. 

Le quattro vignette mostrano il volto di Peter mutare mentre rimugina sulla sua vita: pensieroso, dubbioso, abbattuto. Con pochi tratti John Romita Jr. riesce a comunicare stati emotivi molto sottili, mentre l’occhio del lettore ruota attorno a Peter, creando un movimento circolare elegante ma non strombazzato, una versione molto più sofisticata di quello visto in Ora colpirà Hobgoblin!

Peter si lascia poi andare a una reminescenza a tutta pagina, con il ricordo di Spider-Man che si staglia contro lo sfondo urbano. Nel disegnare il supereroe, il fumettista utilizzò uno stile che adopera ogni volta che deve mettere su carta un flashback o un evento del passato: figure contornate da un doppio segno che spesso scavalla i confini, dando l’impressione di un ricordo che invade gli spazi e non si lascia imbrigliare dalla mente.

Spider-Man 70, chine di Al Williamson (Marvel Comics, 1996)

Nessuno disegna la pioggia come John Romita Jr. Quando colpisce i corpi, la pioggia nelle sue pagine monta e spumeggia. Non rimbalza in gocce individuali, ma si comporta come un personaggio fluido che scende a fiotti, inonda. In queste due pagine, la pioggia è un elemento decorativo che Romita ha utilizzato anche per concentrare l’occhio del lettore.

Nella prima immagine, per esempio, l’autore evitò di disegnarla sullo sfondo degli edifici, perché avrebbe distratto l’attenzione dal conflitto centrale (e lo stesso succede nell’ultima vignetta, dove gli effetti sono già troppi), preferendo utilizzarla per evidenziare le forme. Con il suo costume rosso, Spider-Man svetta su quella che, se non fosse per la pioggia a delimitare i corpi, sarebbe una massa informe di nero.

Spider-Man 79, chine di Scott Hanna (Marvel Comics, 1997)

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Quando penso al ritmo penso a questa pagina. In questa avventura del 1997 sceneggiata da Howard Mackie che lo vede scontrarsi con Hunger, un nemico di Morbius, Peter si sta lamentando della sua condizione da supereroe. Il monologo interiore di questa pagina è abbastanza irrilevante ai fini della storia e, anzi, danneggia la tavola perché si mangia tutto lo spazio negativo lasciato da Romita – lui avrà anche disegnato la pagina per accomodare le nuvolette, ma guardate come prende vita la tavola senza i dialoghi. 

Tutto quello che c’è da sapere è nelle immagini: Spider-Man sta facendo il suo giro di ronda e, nella pagina successiva, avrà un mancamento e sarà soccorso da SHOC – un personaggio dotato di un’armatura che gli permetteva di incanalare energia negativa. Il silenzio avrebbe sicuramente aiutato a far deflagrare il colpo di scena. Nelle sei vignette che scandiscono l’azione, ogni momento è disegnato per contrastare quello prima. 

Il dettaglio della mano segue la possente figura intera, il punto di vista dal basso si oppone a quello dall’alto, la direzione della ragnatela nella quinta vignetta contrasta con quella della vignetta successiva, a sottintendere l’evoluzione del movimento avvenuto nello spazio bianco.

Amazing Spider-Man (vol. 2) 25, chine di Scott Hanna (Marvel Comics, 2000)

La storia, intitolata Il richiamo delle tenebre, porta avanti le vicende della miniserie Spider-Man: Revenge of the Green Goblin, che vedeva i due acerrimi nemici scontrarsi per l’ennesima volta. In questo albo, Norman racconta della propria esperienze con le tenebre, intese come oscurità, ricordando che da piccolo era stato lasciato da solo al buio nella magione di famiglia perché il padre credeva che questo l’avrebbe reso un uomo. Peter è stato drogato da Osborn e, mentre crede di dormire sognando incubi tremendi, in realtà scorrazza in giro vestito da Goblin attaccando amici e conoscenti.

Nella doppia tavola, Peter si sveglia nella villa di Osborn mentre la voce di Osborn lo invita a lasciarsi sedurre dalle tenebre e a scappare dalla luce, la vera fonte di dolore dell’uomo. Si parte da una vignetta con Peter che diventa sempre più piccola man mano che acquista conoscenza, perché lo spazio attorno a lui è sempre più angusto e misterioso. Peter cerca un’uscita ma tutto è affogato nel nero, le uniche via di fuga solo gli spazi bianchi tra le vignette. 

Con un effetto De Luca, John Romita Jr. ci mostra l’errabondare di Spider-Man, che si muove con un movimento circolare allontanandosi e riavvicinandosi al lettore, e lo stesso fa lo sfondo, conferendo dinamismo all’immagine. E mentre nella parte bassa della tavola, Spider-Man si muove senza soluzione di continuità, nella parte alta Romita disegna primi piani confusi incastonati in tasselli che poi si ricompongono quando Peter ha le idee più chiare e prende l’iniziativa per uscire dal labirinto.

Amazing Spider-Man (vol. 2) 35, chine di Scott Hanna (Marvel Comics, 2001)

john romita jr fumetti spider-man

Quante volte zia May ha scoperto l’identità segreta di Peter? Non poche, eppure nessuna è rimasta impressa come quella raccontata da Joe M. Straczynski e John Romita Jr. nella loro gestione di Amazing Spider-Man. È merito un po’ della fattura della storia e un po’ delle tavole iconiche di Romita. L’autore ci mostra Peter nel suo momento di maggiore vulnerabilità: addormentato e inerme, seminudo di fronte alla zia, coperto di bende e sangue, conseguenze di una sua recente zuffa con Morlun, come un moderno Cristo morto del Mantegna.

Zia May tiene in mano gli stracci del costume, il volto sconvolto, le gambe piegate come a indicare un imminente mancamento – nonostante graficamente sia il pilastro dell’immagine. La posa schiacciata e costretta di Peter dentro l’inquadratura suggerisce una situazione di disagio. Romita costringe i due personaggi nella stessa immagine forzando grandemente il realismo e la prospettiva. 

Il letto è talmente vicino all’entrata che zia May non avrebbe nemmeno potuto aprirla. Ma questo irrealismo contribuisce a rendere l’immagine soffocante e inevitabile, come il chiarimento tra i due che seguirà. Con questa tavola, Romita sovrappone perfettamente piano letterale e simbolico.

Amazing Spider-Man (vol. 2) 54, chine di Scott Hanna (Marvel Comics, 2003)

In John Romita Jr. c’è questa abilità chiara come il sole di disegnare personaggi con un peso specifico pesantissimo, che sembrano scavati nella pietra. Però è incredibilmente bravo anche a rendere la leggerezza di personaggi come Spider-Man. 

In questo scontro con Digger si sente ogni pugno – perché, come al solito, Romita sceglie l’ultimo momento utile dell’azione, quello in cui il corpo è arrivato al punto più estremo della posa – eppure si percepisce Peter come una figura tenace ma esile.

Eternals (Vol. 3) 1, chine di Danny Miki (Marvel Comics, 2006)

John Romita Jr. l’ha sempre detto: le sue pagine sono spesso salvate dagli inchiostratori. Romita disegna con il fianco della matita, usando una mina morbida, e le tavole che consegna sono tutto tranne che precise. Così, l’inchiostratore ha grande discrezionalità nel suo lavoro e con le sue scelte può cambiare drasticamente l’immagine. Ma se è vero che autori come Al Williamson, Klaus Janson, Dan Green e Scott Hanna hanno “salvato” le pagine di Romita, altri non ne hanno saputo gestire lo stile. 

Le chine di Tom Palmer (Kick-Ass) ingrassano il segno di Romita e gli danno una finitura, specie nei volti, che non fa brillare il disegnatore. Quelle di Danni Miki sono invece troppo letterali. Miki è quello che viene definito un ricalcatore, cioè un inchiostratore che lavora su matite talmente definite da doverle solo ricalcare. È infatti l’inchiostratore di Rob Liefeld, Jim Lee e Joe Quesada, tutti disegnatori con un segno chirurgico e che chiedono ai collaboratori altre competenze, come dare volume attraverso il tratteggio incrociato.

È una strada che con Romita non si può prendere, e così Miki, chiamato a inchiostrare le sue matite su Gli Eterni, fu incapace di interpretare la fisionomia dei personaggi (brutte mani, corpi incassati). Però tracciò ragnatele di inchiostro cercando di ricreare la consistenza della pietra, e in questa doppia pagina, insieme al design dei Celestiali, restituì una sensazione quasi moebiusiana al disegno.

Kick-Ass 1, chine di Tom Palmer (Marvel Comics / Icon, 2007)

Kick-Ass rappresentò la prima vera incursione di John Romita Jr. nel fumetto creator-owned, dopo la breve esperienza in Image Comics con The Gray Area, un thriller soprannaturale abbastanza dimenticabile. In Kick-Ass i testi di Mark Millar chiedevano a Romita una sola cosa: spingere all’estremo le idee pensate dallo sceneggiatore. Ma nel marasma di teste mozzate, pioggia di sangue ed efferatezze varie, il disegnatore mantenne dritta la rotta del racconto con tavole di immediata leggibilità. 

Una delle ultime tavole del primo numero di Kick-Ass è un esempio cristallino delle capacità di narratore di Romita, capace di mettere in scena con intelligenza anche un’azione banale, in questo caso l’investimento del protagonista, Dave Lizewski, da parte di un’auto.

È una scena coreografata magnificamente, in cui vediamo Dave allontanarsi da un parchetto in cui è stato pestato da alcuni ragazzi. Si muove di continuo attraverso lo spazio del racconto e quello della pagina, finché nella quarta vignetta lo vediamo sbucare appena dal marciapiedi, per poi capire, nell’ultima, che è finito in mezzo alla strada. Non c’è bisogno di girare pagina per capire cosa gli sta per succedere.

Superman: Year One 1, chine di Danny Miki (DC Comics, 2019)

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Nonostante il suo recente ritorno in Marvel sia stato foriero di ottime prove, gli ultimi anni passati al tavolo da disegno non sono stati memorabili per Romita Jr. Il suo passaggio in DC Comics, per cui ha lavorato tra il 2014 e il 2021, lo ha visto all’attivo soprattutto su Superman, un personaggio molto distante dalle sue corde. Eppure anche in quel caso ogni tanto è spuntata fuori la grande mano del disegnatore. 

Superman: Anno uno, scritto da Frank Miller, è un fumetto pieno di brutti momenti, specie quando è in scena Clark bambino, ma anche di splendide pagine, come questa, in cui Clark adolescente diventa per la prima volta idolo dei compagni e scopre l’amore. 

Qui il punto non è la vittoria sul campo, che infatti è disegnata da distante in maniera talmente sbrigativa e convenzionale da sembrare un evento sullo sfondo, ma il bacio con Lana Lang e la loro separazione. Il modo in cui si allontanano, la vignetta che si allunga e stringe, anche qui non c’è bisogno di dire niente, è solo un bel momento di condivisione tra due ragazzi.

Leggi anche: Essere John Romita Jr.

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