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FocusIntervistePera Toons è un fenomeno social ed editoriale

Pera Toons è un fenomeno social ed editoriale

Alessandro Perugini, in arte Pera Toons, con il suo libro “Ridi a creepypelle” edito da Tunué

Chi fa fumetti individua spesso nelle piattaforme digitali una vetrina utile a raggiungere potenziale pubblico e far conoscere meglio il proprio lavoro e la propria visione del mondo. Ci sono poi autori che nei social vedono non semplicemente un canale promozionale, bensì una forma di comunicazione degna di essere esplorata perché capace di dialogare con il fumetto in modo più profondo e strutturale e di avviare esperimenti interessanti. Tra questi c’è Pera Toons, nickname di Alessandro Perugini nonché nome del suo seguitissimo progetto, nato proprio sui social e successivamente arrivato anche in libreria, diventando un vero e proprio fenomeno editoriale da decine di migliaia di copie vendute.

Pera Toons è fatto di gag a fumetti, basate su giochi di parole, freddure e barzellette, oppure enigmi di logica che spetta ai lettori risolvere, in formato di vignetta o di video. Il tono leggero dei contenuti, unito a uno stile essenziale eppure inconfondibile, è una formula che finora ha ottenuto un vasto consenso di pubblico: i social di Pera Toons vantano infatti oltre 4 milioni i follower.

I libri targati Pera Toons sono invece pubblicati dalla casa editrice Tunué a partire dal 2018. Apprezzati soprattutto da lettori e lettrici giovanissimi, si posizionano stabilmente tra i titoli più venduti nelle classifiche settimanali dedicate.

Chi ha ucciso Kenny? (2018) e il seguito Il trono di Kenny (2019) rappresentano un adattamento degli enigmi a sfondo crime con cui il progetto è diventato virale sui social, e anche Giochi e risate (2022) mescola in modo più consapevole quiz, enigmi e battute. Ridi che è meglio (2020), bestseller da oltre 100 mila copie vendute, è invece una raccolta di gag che possono essere lette in ordine diverso, in stile libro-game (similmente alle storie ‘a bivi’ di Topolino). Infine, Sfida all’ultima battuta (2021) e l’uscita più recente Ridi a CreepyPelle (2022) contengono storie lunghe che fanno da cornice a tavole autoconclusive ricche di freddure e gag.

Nell’intervista che segue emergono chiaramente la passione con cui l’autore affronta il suo lavoro e la voglia di condividerne anche gli aspetti più nascosti. Le sue risposte risultano particolarmente interessanti per capire il rapporto di interdipendenza che si può creare tra fumetto e web, e sono un vero e proprio tesoro per chi si occupa di comunicazione social.

ridi a creepypelle pera toons
La copertina di “Ridi a Creepypelle” di Pera Toons pubblicato da Tunué a ottobre 2022

È nella natura del fumetto accogliere e reinterpretare elementi propri di altri linguaggi. In questo senso, il progetto Pera Toons è un fumetto a tutti gli effetti anche se ha una fisionomia decisamente poco tradizionale. Come lo presenteresti a chi non lo conosce?

Ho unito la mia passione per il fumetto stile Lupo Alberto e Rat-Man al modo di comunicare della pubblicità e soprattutto dei social, rispettando le regole proprie delle piattaforme, ossia essere più possibile d’impatto e sintetizzare quello che si vuole dire perché hai pochi secondi per catturare l’attenzione della gente. Adoro il fumetto perché si adatta a tutto e anche se non ha tutti le armi che hanno il cinema e i videogiochi, ha comunque tutto quello che gli serve per comunicare qualsiasi cosa. 

Fino a pochi anni fa le piattaforme social erano molto più fumetto-friendly, ossia premiavano i contenuti di vignettisti come me. Ora sono un po’ cambiate, negli ultimi due anni sono diventate più video-friendly, e quindi ho dovuto chiedere al fumetto di modificarsi. Aggiungendo una nuova dimensione, quella del tempo, ho creato dei fumetti in time line, ovvero dei fumetti animati, che mi vergogno a chiamare animazioni perché non so animare bene, e anche perché fare delle animazioni vere e proprie non mi consentirebbe di fare tanti video velocemente. 

In questi video c’è anche la mia voce, scelta pensata per accompagnare la lettura e che poi si è rivelata fondamentale perché ho fatto conoscere una parte di me. E molti fan mi vogliono più bene proprio perché sentono la mia voce, anche se non è bella.

La definizione di fumetti animati, che uso anche come hashtag, mi piace, mi sembra adatta anche perché inserisco i testi in alto come nei fumetti, e non in basso come nei sottotitoli. E poi mi serve a ribadire che la base di Pera Toons resta il fumetto.

Adoro il fumetto, è un’arte bellissima, forse è la prima arte in assoluto, visto che i geroglifici sono in un certo senso fumetti. Forse rispetto agli anni 90 risente della competizione di altre forme di intrattenimento, ma è un media pazzesco.

Pera Toons nasce su Instagram, si allarga poi a Facebook, YouTube e TikTok ed è presente anche in libreria. In che modo questa varietà di piattaforme, formati e metodi di fruizione ha contribuito a definire il progetto, anche prima e dopo della creazione dei tuoi fumetti animati? Come sei riuscito a mantenere un’immagine unitaria nonostante la differenziazione e moltiplicazione dei formati?

Ogni social ha dato tantissimo al mio progetto, Instagram più di tutti perché ho cominciato da lì. E non parlo tanto di Instagram come entità di Zuckerberg, ma di Instagram intesa come community. Non mi vergogno a dirlo, ho sempre seguito quello che piace al pubblico. Quello che voglio non è esprimere la mia creatività in un verso o in un altro, ma è fare piacere al pubblico, far ridere le persone e farle stare bene.

Ho sempre seguito il gusto della gente sondando giorno dopo giorno i like, i feedback istantanei. Sono stati quindi i fan di Instagram che mi hanno creato, che avevano bisogno di un Pera Toons (all’epoca ero Pera Games) che li intrattenesse con gli indovinelli di logica. L’algoritmo pure ne aveva bisogno, e io mi sono tuffato a capofitto in questa direzione. All’inizio ero scarsissimo, ma ho cercato di migliorarmi a mano a mano che i follower si annoiavano, per non perderli. 

La gente dei social mi ha incoraggiato, mi ha dato tanta motivazione, e alla fine mi ha consentito di monetizzare, ma questo è accaduto solo dopo tre anni. Instagram mi ha fatto scoprire dei format che funzionano tantissimo, come gli enigmi di logica e le freddure. E poi mi ha fatto scoprire e approfondire un mondo che apprezzavo, quello dei meme a fumetti, come il cane This is fine, mondo che ho cercato di reinterpretare a modo mio.

pera toons intervista

Mi sono buttato poi su Facebook quando tutti pensavano che fosse un social morto e sono riuscito ad intercettarne il potenziale. In questo contesto è uscito il mio primo libro, Chi ha ucciso Kenny, che è andato bene ma non benissimo, a mio avviso, per la visibilità enorme che avevo all’epoca – di solito i content creator con quel tipo di “fuoco” hanno dei numeri di vendita molto più grossi sui libri. Con l’editore abbiamo capito che la strada non era ancora quella giusta, e abbiamo continuato a lavorarci su.

Poi è arrivato anche TikTok. A me è sempre piaciuto cercare di capire i social e gli algoritmi, e pensai subito che TikTok era una bomba, anche se quando uscì tutti lo prendevano in giro, perfino le pagine di meme che ora hanno account lì. Anche il mondo del marketing lo sottovalutava, lo so perché all’epoca lavoravo in un’agenzia pubblicitaria. Comunque, TikTok mi ha accolto facilmente, ho cominciato lì a fare i fumetti animati e in seguito sono passato sulla piattaforma che reputo la migliore di tutte, YouTube. 

E proprio su YouTube ho scoperto un target che non sapevo di avere, i ragazzi di elementari e medie, che sugli altri social non ci sono. Target con cui è bellissimo avere a che fare perché per loro è tutto nuovo, ti adorano, non sono maliziosi né cattivi. Sono stupendi. E per rivolgermi a loro ho dovuto progressivamente eliminare battute di black humour, allusioni volgari e parolacce.

C’è stato poi un punto in cui ho messo ordine tra tutti i miei profili, c’erano ben 5 pagine su Instagram che avevano nomi diversi e che ho dovuto chiudere, rinunciando ai follower che le seguivano. È stato un grosso dispiacere, ma era necessario per non creare confusione e indicizzare meglio le pagine. Ho scelto tra tutti i nomi che avevo proprio Pera Toons perché si può associare sia ai fumetti che alle animazioni, e ho anche fatto sparire il mio nome, Alessandro Perugini. 

Ho uniformato e registrato i loghi. È stato un lavoro di pulizia suggerito dal mio editore, Tunué. È grazie alla loro professionalità se il progetto ha avuto anche uno sbocco editoriale, che è quello che al momento mi sta dando maggiore soddisfazione. Tunué mi ha scelto intravedendo in me la passione propria di chi adora i fumetti. Ho molte lacune, perché non ho mai fatto scuole di fumetto, ma ho anche una grande voglia di rompere quelle regole che non ho mai imparato.

Prima di fare il fumettista a tempo pieno, hai lavorato come grafico. In che modo queste tue professionalità ti sono state, e ti sono tuttora, utili nel lavorare a Pera Toons?

Ho lavorato per 12 anni come grafico pubblicitario per brand importanti del lusso e del settore food, che avevano comparti marketing di altissimo livello. Ero bravino, e respiravo bene quel mondo lì. Quell’esperienza è stata fondamentale, il 50% di quello che faccio adesso è grafica. L’utilizzo di vari programmi di grafica – Photoshop, Illustrator, InDesign, Premiere – che ho imparato a usare da grafico, e del resto anche l’attitudine a imparare nuovi programmi in breve tempo è una cosa da grafico. Mi sono poi portato dietro i gusti delle aziende per cui ho lavorato, soprattutto di certi brand molto minimali milanesi. Il mio brand Pera Toons è appunto molto minimale.

Hai parlato giustamente di logo di Pera Toons. È curioso che in questa immagine non ci sia Pera, il tuo alter ego che dà il nome al progetto, ma Kenny. Come mai?

Beh torniamo al discorso del gusto delle persone. Kenny era l’idolo di tutti, era il mio personaggio principale, e quindi ho scelto lui. Ha lo stesso nome del personaggio di South Park che muore sempre, perché era la vittima dei delitti che i primi follower dovevano risolvere. Oltre a dargli questo ruolo, riuscivo a fargli interpretare tanti personaggi diversi, un cinquantenne, un ventenne, un bambino, eppure era sempre lui. I personaggi che sono nati dopo, come lo stesso Pera, fanno tutti da spalla a Kenny.

Che poi a livello estetico secondo me Kenny buca di più lo schermo, perché è pelato, minimale, buffo. Assomiglia a un emoji, e fa subito pensare alla risata. Ora che ci penso, potrei fare delle emoji di Kenny da scaricare e installare sul telefonino…

La risata, ricercata attraverso battute, freddure e scenette divertenti, è quindi il cuore del progetto Pera Toons. Addirittura nell’introduzione di vari volumi scrivi: «La mia missione è quella di strapparti un sorriso tutti i giorni per rendere la tua vita un pizzico migliore». Quale tipo di umorismo ti appartiene di più? Quali difficoltà e limiti pone l’obiettivo di intrattenere e divertire ogni giorno?

Porto avanti diversi format che hanno come filo rosso che li collega quello di strappare un sorriso quotidianamente alle persone. Ho capito di avere questa mission soprattutto da quando c’è stato il Covid, e mi ringraziavano tantissimo perché li facevo pensare ad altro. Il mio umorismo è un umorismo per tutti, che vuole raggiungere tutti, anche se da un punto di vista di marketing è sbagliatissimo perché va contro la regola secondo cui bisogna scegliere la propria nicchia. Io no, io voglio piacere a tutti. 

Quindi ho dovuto un po’ semplificare e alleggerire i contenuti, in modo che potessero arrivare effettivamente a tutti. Magari le mie battute non ti fanno fare la grassa risata o non ti fanno esclamare «wow questa cosa è proprio geniale», però quando vedi una gag così con quei colori, un sorrisetto o una risatina comunque la fai. E magari quella battuta fa tanto ridere i bambini, che adorano le freddure e amano ripeterle. 

Tutto sommato sono gag che fanno ridere anche gli adulti e perfino gli adolescenti, anche se ti definiscono cringe. Se volessimo fare uno spot per Pera Toons, lo slogan sarebbe «una risata per tutti». Che poi rimanda anche al suo opposto, una risata per nessuno, se vogliamo entrare in cose filosofiche.

I miei maestri di umorismo restano Silver con Lupo Alberto e Leo Ortolani con Rat-Man, soprattutto per il colpo di scena finale e il cambio di inquadrature. Poi per rendere sostenibile il progetto, dal momento che tutti i giorni mi sarebbe impossibile tirare giù una battuta dall’aria, alterno dei format grazie a cui posso preparare dei materiali tappabuchi che il più delle volte risultano mediamente performanti. 

Uno dei format più utili, che sui social non sono solo io a sfruttare, è reinterpretare le barzellette degli anni Ottanta e Novanta, che hanno una potenza pazzesca. Perché le barzellette sembrano una cavolata, ma sono il risultato di anni e anni e anni di mutazione, e sono come la favola perfetta, piene di ripetizioni ma con quel ribaltamento finale che fa ridere.

Gli enigmi a fumetti sono l’altra evidente peculiarità di Pera Toons. Come è nata l’idea?

Quella degli enigmi è la cosa che mi differenzia da tutti gli altri, non c’è nessuno che fa qualcosa di simile a Chi ha ucciso Kenny? e che la fa da così tanto tempo. Per questo format non prendo spunto da niente, ho il mio modus operandi e un bel delitto carino viene sempre fuori, mi ci diverto. Mi sento come un professore di matematica che crea un’espressione per un compito in classe, gli elementi con cui giocare sono limitati ma si può creare sempre un quesito diverso, infiniti enigmi. Mi riesce bene, mi piace, qualcuno mi reputa geniale. All’inizio i casi erano più complessi, e ne pubblicavo uno a settimana, poi ho scelto di semplificarli inserendo però nuovi personaggi accanto a Kenny.

Sfrutto questo format soprattutto per agganciarmi ai trend del momento, tipo Halloween in questo periodo. A volte sfioro argomenti delicati, per esempio ho usato come personaggio la regina Elisabetta – non è mia abitudine scomodare persone scomparse, però la regina era un meme vivente, un’icona pop del digitale quindi l’ho presa in prestito ed è andata benissimo.

Gli enigmi servono anche a stimolare l’interazione delle persone, e la gente che ti commenta indicizza meglio i tuoi contenuti web e li rende più virali. Qualche volta questa cosa dei commenti è un’arma a doppio taglio. Per esempio, qualche tempo fa ho pubblicato su YouTube il video di Sedere e cacca contro Kenny. L’assassino era sedere, ma poiché nei commenti tutti scrivevano ‘culo’ la piattaforma mi ha penalizzato per la volgarità e ha demonetizzato il video. Bisogna quindi calcolare bene tutto, prevedere che i contenuti non generino commenti potenzialmente problematici.

All’inizio, ispirandomi a un episodio di Detective Conan, il format dei delitti in cui Kenny era la vittima si intitolava Omicidio o suicidio?, ma poi ho dovuto cambiare perché la parola ‘suicidio’ è tra quelle bannate dai social.

Ho imparato a memoria le linee guida dei contenuti da evitare. È una cosa abbastanza stressante, e ogni social ha le sue fissazioni. Questa censura pazzesca mi ha però aiutato, perché a me piacciono le cose eccessive, il black humour, e se avessi fatto fumetti senza questi paletti sarei stato abbastanza estremo, e non avrei abbracciato tante persone così. Il mio scopo era quello di raggiungere più persone possibile e mi sono adattato, perché non mi frega niente di quello che piace a me, mi interessa quello che piace alle persone.

A proposito di trend, Pera Toons è inoltre un progetto che mostra la capacità di “stare sul pezzo”, ossia di intercettare argomenti sulla cresta dell’onda, citando anche meme, slogan pubblicitari, marche di prodotti e personaggi di franchise molto noti. Quali possibilità e quali problematiche offre questa scelta?

Uno dei difetti del trend è che muore presto. A parte i video di YouTube e i libri, tutto è veloce, e forse non è un grosso difetto creare qualcosa che invecchia presto, perché c’è talmente tanta roba nuova che la gente difficilmente va a riprendere le cose già uscite. I trend sono utili perché sono un moltiplicatore pazzesco della visibilità, ma seguirli è una scommessa. Ci sono influencer che creano un trend e muoiono quando scompare, e io non voglio fare quella fine lì. 

Non bisogna diventare dei meme o dei trend viventi, perché quando passa quel momento è durissima reinventarsi, la gente ti ha etichettato con quello e non vuol più saperne. Per questo mi sforzo di trovare dei format sostenibili nel tempo. Ci sono poi trend che volutamente non seguo, tipo quelli legati alla politica, e poi ci sono periodi dell’anno che sono momenti d’oro, come i giorni di Sanremo e l’estate per i tormentoni.

pera toons intervista

La tua cifra grafica minimalista appare spersonalizzata, priva di grafismi autoriali, eppure è ormai ben distinguibile e riconoscibile, proprio come i loghi. Come sei riuscito a ottenere questo risultato? Ti sei ispirato all’opera di qualcuno?

Ho questo flash di questi personaggi solo testa, occhi e bocca, i rage comics, template usati per creare meme. I rage comics mi piacevano tantissimo e quando mi sono messo a disegnare i miei fumetti ho cercato di creare personaggi così, tipo pupazzetti, in una formula leggermente diversa, perché volevo disegnare un po’ di più, non fare proprio degli stickman. Ho in realtà praticamente ripreso la tipologia di personaggi che disegnavo alle medie, ho solo tolto il naso.

Il fatto che i personaggi sembrino un po’ artificiosi, soprattutto nei fumetti animati, è perché paradossalmente con il digitale sono diventato più preciso, cerco la simmetria, e il risultato sono figure più statiche, meno morbide e dinamiche rispetto ai disegni realizzati per i libri. Nel digitale sono proprio diventati marionette, pupazzi, cosa che rende spesso molto più efficace l’inquadratura finale, uno zoom su una faccia inespressiva, un foglio bianco su cui ognuno legge l’emozione che più ritiene adatta alla gag. È comunque un difetto che si viene a creare quando si producono tanti contenuti in poco tempo.

A proposito di loghi, io adoro il branding, era una delle cose che da grafico mi piaceva di più, ed ero anche abbastanza competitivo all’epoca. In effetti se ci pensi bene i miei personaggi sono una sorta di loghi viventi, sono il frutto di una sintesi estrema, così come un logo è la sintesi estrema di quello che un’azienda deve trasmettere, sfiorando anche l’astrazione.

Disegni con uno stile essenziale e, attingendo a un tipo di umorismo spontaneo e a tratti bambinesco, riesci a scatenare una risata immediata, senza ricorrere a particolari ricercatezze. Una formula che apparentemente non ha nulla di nuovo o interessante, eppure nelle tue mani diventa qualcosa di speciale. Come fai? Quali corde riesci a toccare?

Sono i dettagli che fanno la differenza. In particolare lo stile grafico, che è comunque apprezzato e che penso mi rimarrebbe come segno distintivo anche se un giorno crollassero tutte le piattaforme social. Ho un modo di comunicare semplice e immediato, rapido, ma soprattutto ho la fortuna di usare il linguaggio del fumetto, il che mi rende diverso dai content creator che fanno video di sé stessi. 

Inoltre dal 2017 io sto lì tutti i giorni, do affidabilità, sanno che a quell’ora lì c’è Pera Toons. Offro contenuti interattivi come gli enigmi e i quiz leggermente educativi. Tutti questi elementi messi insieme alla lunga hanno fatto la differenza. Le scorciatoie non esistono, bisogna lavorare giornalmente sui dettagli. Curo molto i dettagli, anche se forse non si vede, soprattutto perché non sono certo tra i fumettisti capaci di fare cose pazzesche con il disegno. Ma evidentemente i dettagli sono importanti anche in uno stile pop come il mio.

Al momento i fan che ti seguono, che tu chiami affettuosamente “Pere”, sono quanti? 4 milioni? Da chi è composto questo pubblico così ampio? Come riesci a relazionarti a loro?

Se si conteggiano tutti i social siamo oltre i 4 milioni, ed è un numero di cui mi vanto, non perché i follower siano indicatori della tua fama attuale, ma perché fanno capire il tuo percorso, visto che per averli hai dovuto fare un certo lavoro. Questo non significa che io consideri i miei fan dei numeri, altrimenti non farei tanti firmacopie in cui posso incontrare la gente dal vero, che è la cosa che mi dà più soddisfazione.

Con i firmacopie, a questo proposito, confesso di avere un rapporto di amore e odio. Portano via tantissimo tempo e mi sembra di fare un torto a tutti quelli che mi seguono online e che in quel momento sto trascurando. Ma è giusto che ogni tanto ti faccia vedere a chi ti adora e desidera incontrarti di persona. Ero più in crisi prima, quando le persone che partecipavano agli eventi erano poche, e mi sembrava di perdere tempo. Ma ora il calore che ricevo ai firmacopie e la botta di autostima sono così grandi che il tempo per i firmacopie lo prendo dal mio tempo libero e lo considero come una giornata di divertimento e non di lavoro. 

Spero che sarà sempre così, anche se i bambini che mi leggono cresceranno e magari non avranno più tutta questa passione per venire a salutarmi. Fare firme per ore resta faticoso da morire, fisicamente devastante, ma psicologicamente è la cosa più bella del mondo. Preferisco comunque la relazione di questo tipo all’interazione sui social, dove leggo tutti i commenti ma non rispondo perché non avrei tempo per rispondere a tutti. Mi piacerebbe stare più tempo nel mondo reale, con le persone reali, ma non posso permettermelo per non fermare il treno dei social.

In genere ogni fumettista è prima di tutto un lettore. Quali sono gli autori cui ti ispiri? E quelli cui ti piacerebbe essere accostato?

Ho già citato Silver e Leo Ortolani. E poi, ora è sulla bocca di tutti, mi piace molto Zerocalcare, perché riesce a raccontare le cose che gli succedono e il mondo che lo circonda in modo divertente ma anche in modo da far pensare. Lo stimo non solo come fumettista ma anche come persona. Mi piace per le stesse identiche ragioni anche Sio, sono entrambi brave persone e bravi fumettisti, non è un caso che abbiano così tanto successo. 

Sono per me anche dei buoni esempi, per il loro rapporto con il pubblico e per la loro coerenza. A loro aggiungo anche Giacomo Bevilacqua di A panda piace, mi piacciono perché fanno fumetti che fanno riflettere, cosa che io non riesco a fare. E anche Dado. E poi adoro i manga, in particolare il lavoro di Kentarō Miura e Akira Toriyama.

Quali sono i tuoi progetti – e traguardi – futuri?

Uno dei miei obiettivi è fare divulgazione scientifica leggera, sensibilizzazione soprattutto sul tema ambiente, inquinamento e riscaldamento globale. Mi piacerebbe finalmente sfruttare la mia visibilità per affrontare questioni più serie, ci ho in parte provato con alcune gag realizzate in collaborazione con la CIAL, che si occupa del riciclo dell’alluminio. Mi piace molto il lavoro che fanno Barbascura X, Geopop e anche Cartoni Morti.

Un giorno potrei annoiare con le battute, voglio quindi gradualmente sperimentare progetti più scritti, ma dovrò mettermi a studiare perché su temi seri non posso certo dire castronerie.

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