
Siamo quasi alla fine di questa lunga saga di Tex che ha segnato il ritorno di un Mefisto profondamente diverso, possiamo dire più consapevole della sua storia e di quella del suo arcinemico. Ma le sorprese non sono ancora finite.
Tex Willer sta infatti conducendo una lotta senza quartiere contro il suo demoniaco avversario, rimettendo in dubbio tutto quello di cui è convinto dopo settant’anni di vita pragmatica e senza troppe divagazioni filosofiche o superstiziose. Lo scontro con Mefisto, iniziato su Tex 738 dello scorso aprile (intitolato Il manicomio del dottor Weyland), si sta rivelando uno dei cicli più solidi e meglio articolati di sempre, e neanche questo Tex 743 (Nel deserto di Altar) tradisce.
Dove eravamo rimasti
Nei primi albi la scena era ambientata a San Francisco, dove Mefisto è tornato e ha costruito la sua nuova base all’interno del manicomio di Black Mountain. Il primo arco di questo ciclo è stato caratterizzato dall’attacco di Mefisto, che ha messo Tex e i suoi sulla difensiva, in un conflitto cittadino fatto di inganni, sotterfugi e un piano diabolico. Tex ovviamente l’ha spuntata, anche se per un pelo. È entrato in contatto con alcune cose inquietanti e non facilmente spiegabili per chi ha un approccio pragmatico e razionale alla vita, caratteristico del personaggio creato da GL Bonelli.
Ma alla fine ha dominato e meso in fuga il cattivo, Mefisto, con i suoi complici (dopo averne fatti fuori un buon numero). Si è entrati così nella fase della fuga di Mefisco, che quindi ora gioca a sua volta in difesa, con Tex e i suoi che lo inseguono, finalmente all’attacco (postura molto più congeniale a Tex).
Scrive Boselli nella didascalia che fa da apertura alla nuova storia: «In fuga da Tex Mefisto libera Lily dalla prigione di Yuma e la conduce con sé nel suo covo nascosto nell’isola di Tiburon, dove giace Yama, sottoposto a cure che sinora gli hanno concesso solo di spostarsi con il suo corpo astrale. Intanto, Tex e i suoi pards si recano a casa di El Morisco, cui Padma intende chiedere aiuto per un macabro esperimento: riportare in vita il saggio indù Narbas, cui Mefisto sottrasse il corpo per resuscitare. L’anima di Narbas viene evocata, ma gli emissari di Mefisto sono in agguato».

Nel deserto di Altar
In questo numero succedono fondamentalmente tre cose. La prima è che Tex e i suoi riescono a sventare non uno ma due attacchi basati su un mix di lavoro fisico degli emissari di Mefisto e sulla capacità di proiezione psichica di quest’ultimo. La seconda è che viene resuscitato un morto (l’indù), che si impadronisce del corpo e cambia le fattezze di un indio alleato di Mefisto (preventivamente morto). Infine che Tex e i suoi, sempre inseguendo Mefisto (Padma, il lama tibetano, cerca di trovarlo e fa affidamento all’anima del saggio indù che ha ancora un collegamento psichico con il suo corpo, a sua volta preso da Mefisto e mutato nella attuale forma), si infilano in un villaggio messicano che in realtà è interamente “posseduto” da Mefisto grazie ai suoi poteri e a quelli di Yama, adesso completamente redivivo e già pronto a fare del male a un alleato, la cattivissima infermiera Ruth.
Ecco, questo è in poche righe il contenuto di un albo nel quale in realtà l’azione si muove rapidamente e gli scontri vengono portati avanti in maniera serrata. Tex, anche sotto la guida di Boselli, rimane sempre un mix di azione e di lunghi dialoghi, la cosa più lontana da un fumetto supereroistico americano o da un manga che si possa immaginare. Ma nonostante questo la storia riesce a filare come un treno. Ci sono due cose però che vale la pena sottolineare, perché secondo me costituiscono il senso di quello che stiamo leggendo e che con il prossimo numero dovrebbe raggiungere la sua conclusione.
La piccola crepa nell’universo di Tex
La prima cosa è piccola, ma apre alla seconda: in questo episodio, durante lo scontro con gli indiani “moltiplicati” dai poteri psichici di Mefisto/Yama, rimangono feriti sia Kit Carson che Tiger Jack. Sono ferite lievi (a una gamba e a un braccio) che però potrebbero essere blandamente velenose e dunque richiedono attenzione. Sono ferite realistiche: non il colpo di striscio alla tempia, che serve a fermare l’azione e poi si riparte subito dopo come e meglio di prima. Queste due ferite lasciano il segno, richiedono tempo e devono essere cicatrizzate.
Certo, questo è un passaggio necessario allo sviluppo della storia perché Boselli tiene sempre molto sotto controllo la posizione e lo stato psicofisico dei protagonisti di questa vicenda. Avere abbassato il tono e la reattività di due tra i più energici protagonisti della posse di Tex è necessario per rendere più snello e semplice il movimento di un gruppo che è diventato abbastanza nutrito (tra Tex, i suoi pards, il lama e l’indù alla fine sono sei persone).
Tuttavia, ferire un personaggio principale di Tex non è una cosa banale. La qualità della sua ferita è simbolica oppure si fa male come noi? Perché dopo che voi o io ci siamo presi una freccia nella gamba poi zoppichiamo per tre mesi con il tutore. E invece Carson, che dovrebbe avere più di cinquant’anni?
Qui si entra, cioè, in aperto conflitto con uno dei principi cardine della modalità narrativa delle storie di Tex. Questo evidenzia, contemporaneamente il passaggio molto stretto che il lavoro estremamente ambizioso di Boselli deve affrontare. E tutto ha a che fare con l’interpretazione di quali modelli narrativi Boselli abbia scelto di utilizzare.

Il cerchio infinito
Nel mondo dei fumetti (e non solo) esistono fondamentalmente due tipi di storie: quelle circolari e quelle lineari. Lo spiega molto bene Tito Faraci nel suo libro L’uomo con la faccia in ombra, in cui introduce il concetto di forma delle storie e quello della circolarità delle storie seriali. Che si tratti di Topolino o Paperino, di Tex o di Dylan Dog, nelle storie circolari ogni storia parte e ritorna esattamente allo stesso punto di partenza.
La situazione si resetta in modo tale che la storia successiva riparta da dove è partita quella prima. Non c’è una evoluzione dei personaggi, nessuno dei fondamentali invecchia o muore, o si costruisce un bagaglio di esperienze che lo segnano e lo cambiano, come invece accade nella serialità televisiva moderna e in altre forme narrative (le graphic novel, ad esempio).
Faraci cita Tiziano Sclavi, l’autore di Dylan Dog: «So che Tiziano Sclavi, quando ha cominciato ad affidare le sceneggiature di Dylan Dog ad altri autori, faceva appunto questa raccomandazione: potete spostare tutti i mobili come volete, rivoluzionare l’arredamento, ma quando uscite, prima di chiudere la porta, dovete rimettere ogni cosa al suo posto, come prima, per chi entrerà dopo di voi». Non tutte le storie sono così, ovviamente, ma quelle di Tex sì. Almeno, fino a che Boselli non ha iniziato a creare un canone di Tex e a rimettere ordine nella sua cronologia. Cosa vuol dire?
Tex dopo Tex
Se Boselli stabilisce un canone definitivo della vita di Tex Willer e quindi comincia a storicizzarlo, un po’ come ha fatto Don Rosa con la famiglia dei paperi per la Disney, si rompe il cerchio delle infinite ripetizioni di storie in cui si torna al punto di inizio e la prossima volta ricomincia tutto da capo, e si apre un’epoca di crescita con un inizio (la “nascita” di Tex Willer e la sua storia delle origini, cosa che viene peraltro raccontata da qualche anno negli albi Tex Willer) e conseguentemente con una fine (la morte di Tex, che sia per vecchiaia o per una pallottola). Esperimenti in questo senso ce ne sono già stati, ma sinora non si erano creati i presupposti per l’ineluttabilità della storia della fine di Tex.
Tutto questo non è affatto un problema, però, perché il passaggio da un’età pre-adolescenziale a una adulta è salutare per tutti. Far crescere finalmente Tex vuol dire non solo allinearlo a sensibilità moderne ma anche fare del bene a molti suoi lettori prigionieri in un eterno presente, con questo Tex che si muove come uno spirito senza età attraverso il Nord America ammazzando cattivi su scala industriale. Però c’è un però.

Grandi storie comportano grandi conseguenze
Il rischio è che, per tenere alta la tensione, si inseriscano degli elementi eccessivi che in una narrazione circolare verrebbero poi dimenticati ma che in una narrazione lineare hanno conseguenze che vanno fuori scala. Per illustrare cosa voglio dire – e poi ci torneremo la prossima volta quando Boselli avrà finito di mostrare le sue carte con il capitolo finale di questa saga – ricorro a un’altra serie narrativa. Quella dei supereroi Marvel e soprattutto DC Comics. Che, al cinema come nei comics, sono andati a sbattere con il problema delle conseguenze delle scelte fatte dagli sceneggiatori decine di albi prima.
Si inserisce un superpotere perché serve a uno snodo della storia, si fa vedere un nuovo alieno particolarmente cattivo per aumentare la tensione, si distruggono dei grattacieli nella lotta furibonda nel centro della grande metropoli (povera New York, vera e fittizia). E poi se ne pagano le conseguenze. Nel senso che in una storia di Topolino e Paperino poi tutto si resetta e nel prossimo numero ricominciamo da capo. Non ci sono mesi di storie nelle quali il deposito di Zio Paperone viene ricostruito dopo che è stato distrutto dai Bassotti assieme a mezza Paperopoli. Non vediamo i segni di quello che è accaduto. Il trauma di alcuni scontri particolarmente cruenti non porta a conseguenze, come farebbe nel mondo reale e nella psiche delle persone normali.
Quando gli autori di film e comics dei supereroi hanno deciso che i personaggi dovevano crescere e quindi hanno scelto di sviluppare narrazioni più adulte e ficcanti, è successo proprio questo. Hanno dovuto sopportare le conseguenze delle loro scelte narrative. Ed è stato tremendo. DC Comics praticamente non è riuscita a tenere insieme un fascio di narrazioni coerente, semplicemente perché se radi al suolo una città poi ti chiudi un’infinità di possibili altre storie. Rimani sostanzialmente bloccato nello scenario del dopo bomba, dei reduci, del disturbo post-traumatico da stress. Un 11 settembre senza fine, praticamente.
E se non lo fai, se distruggi la città ma poi tutto torna come prima, rendi non più credibili i tuoi personaggi. È successo anche nel mondo Marvel, che ha cercato di risolvere questo e altri problemi narrativi con l’idea di universi paralleli e multiversi: un modo ecologico per scaricare su pianeti alternativi le conseguenze di trame troppo grandiose per essere sopportate dalla nostra vecchia Terra. Ogni scelta fatta, per amore di spararla più grossa e far vedere che la storia non è prevedibile (Superman muore! Iron Man pure!), ha delle conseguenze. E quali sono le conseguenze per Tex?
Boselli ha introdotto accanto a Mefisto – che è da sempre il migliore e più resiliente tra i cattivi contro i quali Tex combatte – anche la negromanzia e la magia in generale. Serviva a dare più pepe alla storia. A dire: sarà vero? Ve ne faccio vedere ancora un pezzetto. Forse non è un’illusione, forse dovete avere paura davvero. Di più: Boselli ha mostrato i demoni, ha fatto vedere che c’è una vita dopo la morte, ha creato un pantheon di creature e divinità molto poco cristiane (per dire, ma anche poco ebraiche o islamiche, per citare le altre due religioni monoteistiche), ha chiarito senza ambiguità o dubbio di sorta che c’è gente che addirittura resuscita e che i superpoteri di fatto esistono.
Queste, mi capirete, sono notizie da prima pagina. Mefisto è diventato il più grande avversario che l’umanità si è mai trovata di fronte, una specie di Anticristo, e tocca a Tex farlo fuori una volta di più. Ma in realtà la conseguenza di tutto questo è che niente sarà più come prima. Pensateci: sapere che c’è la vita dopo la morte (dato che si può resuscitare uscendo dall’inferno, cioè che c’è anche l’inferno) è una cosa clamorosa, che cambierebbe per sempre la traiettoria dell’intera umanità.

Cosa succederà? Moriranno tutti i testimoni, inclusi Tex e i suoi? Non è la strada più probabile. Allora, come successe con una delle prime narrazioni post-moderne, la soap opera televisiva americana Dallas (1978-1991), faremo uscire Tex dalla doccia? Mi spiego: a Dallas per uscire da un ramo morto della storia, un vero e proprio vicolo cieco narrativo, fu usata la cosiddetta “scena della doccia”. Cioè, siccome Patrick Duffy, l’attore che interpretava uno dei protagonisti di nome Bobby, aveva deciso di abbandonare lo show, gli sceneggiatori lo avevano fatto morire. Poi, siccome piaceva molto al pubblico e l’attore aveva cambiato idea, gli sceneggiatori decisero di mettere in scena la sua resurrezione grazie a uno dei peggiori escamotage narrativi che la storia moderna ricordi: una mattina la moglie Pamela se lo vede uscire dalla doccia e la sua ricomparsa è spiegata come un lungo incubo della donna. Altro che salto dello squalo in moto di Happy Days.
Cosa succederà con la fine del ritorno di Mefisto? Tex e i suoi perderanno la memoria? Padma farà loro dono dell’amnesia misericordiosa dicendo «Avete visto troppo, nessun uomo potrebbe vivere con questa consapevolezza, meglio che dimentichiate»? Lo sapremo tra un mese e ne trarremo le debite conseguenze.
I disegni di Tex
Concludo parlando dei disegni, che nei fumetti in realtà sono la parte preponderante. E qui, bisogna dirlo, anche se all’inizio mi aveva lasciato più freddo, il lavoro di Fabio Civitelli è diventato notevole. L’autore ha preso in mano il pennello e i retini giusti per dare tonalità e profondità a pose e figure quasi neoclassiche, forse un po’ rigide ma certamente molto “western”, arricchendole con volti non banali e non comuni nel mondo di Tex (ottima la caratterizzazione grafica di Mefisto e Kit Carson, dei messicani e soprattutto il gruppo di cowboy che accompagna Yama e Ruth quando prendono possesso del villaggio messicano).
Civitelli in questo albo è sempre più orientato a disegnare con la luce, per ombre e sovraesposizioni nette, senza diffusioni o sfocamenti. Una linea pulita che viene caricata di dettagli o di nero, ma senza mai essere sporcata. Un lavoro eccellente, in queste 110 tavole.
Il gran finale
Cosa possiamo aspettarci con il prossimo numero di Tex, che sarà intitolato Il trionfo di Mefisto? A questo punto, come nei migliori feuilleton, il “gancio” a fine storia è ben conficcato nella carne del lettore. I pezzi sono sulla scacchiera: Mefisto ha numerose sorprese da giocare, lo sappiamo, ma anche Tex è tutt’altro che indietro e si sta preparando a tirare il colpo definitivo. La vera domanda è un’altra: alla fine di questa saga, Tex sarà ancora Tex?
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Antonio Dini, giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. La sua newsletter si intitola: Mostly Weekly.