
Una vignetta di George Booth per il “New Yorker” che è un classico esempio della sua produzione fatta di ironia sottile verso la classe media, ambienti caotici, oggetti ammassati, animali e luci appese.
Il disegnatore statunitense George Booth, tra i più noti e longevi collaboratori della rivista The New Yorker, è morto l’1 novembre scorso all’età di 96 anni in seguito a complicazioni dovute alla demenza senile.
George Booth aveva incominciato a lavorare per il New Yorker nel 1969, diventando ben presto uno dei disegnatori più amati e immediatamente riconoscibili della rivista, al pari di altri grandi colleghi suoi contemporanei, come Charles Barsotti e Sam Gross.
Il disegnatore era noto per le sue vignette e copertine che ritraevano soggetti ricorrenti, tra cui lavoratori sullo sfondo di officine e cantieri newyorkesi, famiglie disfunzionali della classe operaia, cavernicoli, militari, stanze trasandate piene di oggetti e scalcinate lampadine pendule. Booth aveva anche creato un personaggio che tornava spesso nelle sue vignette: Miss Rittenhouse, un’amabile anziana suonatrice di violino dal temperamento piuttosto acceso, per cui l’autore si era ispirato alla propria madre.

Miss Rittenhouse, così riconoscibile dai lettori, fu anche protagonista dell’unica vignetta pubblicata dalla rivista nel numero distribuito dopo l’attento terroristico dell’11 settembre 2001. Una scelta voluta dallo storico editor del New Yorker Bob Mankoff, che volle mantenere il numero privo di battute in segno di lutto, ma che non potè rifiutare il disegno di Booth per la sua delicata e iconica rappresentazione della tragedia. Nella vignetta si vede Miss Rittenhouse insolitamente incupita, seduta al centro di una stanza in silenzio, con le mani giunte e il violino posato a terra, mentre il suo gatto si copre il volto con le zampe.
George Booth era inoltre incredibilmente amato dai lettori della rivista per i suoi animali, in particolare per i gatti e i cani – spesso di razza bull terrier – che animavano le sue vignette. «Le vignette di George con i cani sono leggendarie», ha scritto il disegnatore del New Yorker Jason Chatfield ricordando il collega. «Poteva rappresentare così tante emozioni ed energia grazie a qualcosa di così semplice come una penna a sfera. Il suo tratto era incredibilmente tremolante, ma stranamente preciso. Aveva la capacità di distillare così tante storie in una sola immagine, e nessuna era lì per caso. L’ha semplicemente “avuta”. Qualunque sia la cosa magica con cui sono nati alcuni fumettisti, lui l’ha avuta, poi l’ha affinata per tutta la sua vita fino a diventare uno dei fumettisti più brillanti ad aver messo l’inchiostro sulla carta».

Per celebrare uno dei suoi più grandi disegnatori, a inizio anno il New Yorker aveva realizzato un documentario intitolato Drawing Life, in cui si racconta da vicino la vita e la carriera di George Booth:
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