
Il grande vuoto è il graphic novel di debutto di Léa Murawiec, autrice tra le più interessanti del panorama contemporaneo francese che proprio grazie a questo titolo si è aggiudicata il Premio del pubblico “France Télévision“ all’edizione 2022 del Festival International de la Bande Dessinée d’Angoulême e la menzione speciale del Bologna Ragazzi Award nella categoria Young Adult della Bologna Children’s Book Fair 2022.
Con Il grande vuoto Léa Murawiec ha realizzato un racconto di fantascienza distopica dai contorni smaccatamente pop e dalle influenze manga. È la storia della giovane Manel Naher, la cui vita è minacciata dall’esistenza di una cantante in ascesa che ha il suo stesso nome. Nel mondo di Manel la “presenza” è tutto ed è fondamentale non scomparire dal ricordo e dal pensiero delle persone, altrimenti si va incontro a morte certa. Manel è però tentata dall’idea di trovare un modo per sfuggire a questo meccanismo perverso e dirigersi invece verso il Grande Vuoto, un luogo misterioso che si troverebbe al di là della sterminata metropoli dove la donna vive. Da quel momento nasceranno in lei dubbi e dilemmi esistenziali su quale sia davvero la posizione giusta da abbracciare, quella della scomparsa o quella di diventare una star.
Il volume – cartonato, 204 pagine in bicromia, 29,00 euro – è pubblicato da Comicon Edizioni, distribuito in fumetterie e libreria dal 25 novembre 2022, e si può acquistare anche online qui.
Di seguito, pubblichiamo in anteprima la prefazione al libro scritta dal fumettista e illustratore Manuele Fior (Cinquemila chilometri al secondo, Celestia, Hypericon) e le prime pagine del fumetto.
Ci sono due maniere di cominciare una carriera di fumettista, una consiste nel dare alle stampe un libro che qualche anno dopo si spera di non vedere più in circolazione, oppure debuttare con un’opera compiuta, decisa, che sin dall’inizio fa capire al mondo di che pasta si è fatti. Quest’ultimo è il caso del fumetto che avete in mano.
Il grande vuoto di Léa Murawiec è in realtà straordinariamente pieno, d’azione, di gente che corre, salta, si abbuffa e si prende a schiaffoni, come se i personaggi fossero caricati a molla e poi lasciati esprimere liberamente sulla scena. Uno slapstick senza soluzione di continuità che, come da tradizione, intercetta le strade battute dai pionieri dell’animazione americana e giapponese, ma risente anche di strani echi italiani, nella linea di contorno ribattuta alla Jacovitti, o in alcuni dinamismi che ricordano il Paolo Bacilieri di Barokko.
Ascendenze che forse Léa non conoscerà direttamente, ma che dirigono inconsciamente la sua mano, perché ogni disegnatore appartiene a una sua famiglia, anche se non lo sa. Questo trambusto non deve trarre in inganno: gli esserini di gomma fanno di tutto per strapparci il sorriso, ma quando soffrono, soffrono per davvero e nei loro occhi a pallina c’è tutta l’angoscia che noi esseri umani sappiamo concepire. La paura del vuoto, l’attacco di panico degli ipersensibili sono la vera cura dalla città impazzita di Manel Naher.
Allora per un attimo il movimento si fa meno frenetico, gli eroi finiscono di recitare e trovano il momento per farsi una carezza, guardare più in là, camminare sull’erba. Fuori dalla pazzia del mondo comincia il vuoto della nostra interiorità: addentrarsi è spaventoso e non ci sono cartelli o segnali per orientarsi. Ma per sopravvivere a questi tempi è bene che cominciamo a farci i conti.










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