I racconti del labirinto, l’anime collettivo di Rintaro, Kawajiri e Otomo

manie manie

Uscita originariamente in Giappone nel 1987, Manie Manie – I racconti del labirinto è un’opera singolare rimasta nei cuori di molti appassionati, soprattutto perché riuscì a mettere il punto sullo stato degli anime dell’epoca e a sottolineare o rivelare il talento degli autori coinvolti: Rintaro, Yoshiaki Kawajiri e Katsuhiro Otomo.

Manie Manie – I racconti del labirinto è un film animato a episodi prodotto da Kadokawa nel 1983 ma distribuito solo nel 1987, con la prima presentazione al Festival Internazionale del cinema di Fantascienza di Tokyo lo stesso anno. In Italia ha avuto una distribuzione in home video, VHS prima e DVD poi, ma, purtroppo, attualmente è fuori catalogo né reperibile nei vari servizi di streaming.

La definizione più corretta di Manie Manie – I racconti del labirinto è omnibus: con ciò si definisce un’opera, ai tempi destinata al circuito home video ma spesso anche alla sala cinematografica, che racchiude storie diverse, con approcci e stili diversi, curate da autori diversi. Nell’animazione giapponese ci sono molti esempi di omnibus, come Memories (film collettivo curato da Katsuhiro Otomo in cui era coinvolto anche Satoshi Kon e datato 1995) o, ancora prima, Robot Carnival, altra opera uscita lo stesso anno di Manie Manie che coinvolge numerosi autori e animatori più o meno affermati e che ha come tema principale quello dei robot. È a queste opere con struttura particolare che si è ispirata, ad esempio Animatrix, la raccolta di cortometraggi animati dedicati al mondo di Matrix.

La particolarità di Manie Manie – I racconti del labirinto sta nel suo spirito poetico, nella sua capacità di racchiudere suggestioni all’opposto senza risultare un’opera scomposta, ma anche nel suo essere identificativo di tre autori cruciali.

Il primo episodio di Manie Manie – I racconti del labirinto – scritto e diretto da Rintaro – si intitola Labyrinth. Una bambina attraversa uno specchio e si ritrova in un mondo inquietante e onirico. È l’episodio che contiene gli altri due e, forse, il più affascinante. Si distacca completamente dall’estetica anime tipica degli anni Ottanta, abbraccia un ritmo ipnotico, mettendo in scena un mondo pauroso in virtù del suo essere riflesso allegorico di quello reale. 

È evidente, infatti, che la bambina si ritrova a confrontarsi con gli elementi più ossessivi della società contemporanea, come l’abnegazione al lavoro, la standardizzazione, l’omologazione, la soppressione della fantasia e della creatività, discorso ancor più valido per il Giappone pre-crisi economica, in cui le storture sociali hanno davvero creato dei mostri di cui ancora oggi si fa fatica a liberarsi. 

Il fascino di Labyrinth è potenziato dal lavoro fatto sul character design di Atsuko Fukushima, anche direttore delle animazioni, e dall’art director Yamako Ishikawa, che si ispirarono per lo più all’animazione d’autore di stampo europeo, in particolare dell’Europa dell’est. È forse il lavoro più ardito di un veterano dell’animazione come Rintaro, che l’anno prima aveva diretto La spada dei Kamui.

Il secondo episodio – scritto e diretto da Yoshiaki Kawajiri – si intitola L’uomo che correva ed è ambientato in un futuro imprecisato, dove tra gli sport più richiesti c’è una corsa di veicoli mortale. Zack Hugh sta per percorrere quella che sarà la sua ultima corsa, ma un giornalista scopre un segreto incredibile sul suo conto. 

Pur nella sua brevità, pur essendo privo di contesto e di ambientazione, L’uomo che correva stupisce per il modo in cui riesce a mettere in scena l’ossessione che trasforma l’uomo in superuomo. L’ispirazione, come sempre in Kawajiri, è di derivazione occidentale. Appartiene al genere horror, con sfumature di fantascienza, una sintesi molto cara a Kawajiri, che qui condisce il tutto con elementi soprannaturali metafisici, che paradossalmente appartengono più a Katsuhiro Otomo, autore dell’episodio successivo. L’uomo che correva è Kawajiri al 100%: nelle scelte registiche, nel ritmo che alterna frenesia e sospensione, nel particolarissimo character design (molto realista), nella vibrante tensione.

Il terzo e ultimo episodio si intitola Interrompete i lavori! (Koji chushi meirei) ed è scritto e diretto da Katsuhiro Otomo. È l’Otomo pre-Akira, ma in questo segmento c’è tutto l’Otomo che conosciamo. A partire dall’aspetto visuale, con questi sfondi che ricordano Moebius, ricchi e stracolmi di dettagli, con una cura per l’animazione impressionante e con il character design dello stesso Otomo. 

C’è poi l’impianto tematico: il pericolo della scienza incontrollata, o ancora peggio controllata da pericolosi burocrati o da avidi di potere. Sono temi, qui messi in scena con ancor più vigore sarcastico, che torneranno in Akira, ma anche in Steamboy o addirittura in Roujin Z.

Ciò che stupisce, nella visione di Manie Manie – I racconti del labirinto 35 anni dopo il suo esordio, è il suo rimanere attuale nei temi e nella rappresentazione delle storie che racconta. C’è da meravigliarsi del fatto che tre autori così diversi siano riusciti a integrarsi e a rendere il prodotto finale un’opera con un suo equilibrio interno.

Manie Manie – I racconti del labirinto è di certo la testimonianza di un periodo dell’animazione giapponese forse irripetibile, quando le tensioni artistiche, le grandi personalità autoriali potevano ancora fare la differenza. Oggi non è proprio così: si assiste, anzi, a un appiattimento dell’offerta, a lavori con sempre meno cuore e coraggio ma con più attenzione all’aspetto economico. Questo film collettivo allora ci ricorda, con grande forza creativa, come fare un’animazione mai sazia di desiderio sperimentale e con ardite voglie concettuali sia possibile.

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