La morte di Diabolik

morte diabolik

Diabolik è un personaggio immortale, letteralmente. Il tempo è una faccenda che non lo riguarda: passati 60 anni dalla sua “nascita” editoriale per mano delle sorelle Angela e Luciana Giussani, l’affascinante ladro in calzamaglia nera non sembra accorgersi delle mutazioni del mondo. Come tutti i grandi personaggi che animano le nostre fantasie, o gli dèi che da millenni veneriamo, Diabolik “vive” fuori dalla nostra realtà, in uno spazio eterno e rassicurante che prende il nome di Clerville, città-stato misteriosa quanto i suoi abitanti, indifferente alle umane tribolazioni. 

Novello Adamo senza nome (e non è – credo – casuale che la sua compagna si chiami Eva), mai macchiato dall’onta del Peccato Originale, quindi mai costretto a lasciare il suo Eden/Clerville, Diabolik persegue tenacemente la missione di collezionare tutta la ricchezza del mondo, risparmiando così all’umanità il fardello dei suoi tesori più preziosi. A chi lascerà alla fine tutti i beni che ha rubato ai ricchi della terra? Questo è un affare che non sembra turbarlo: non esiste un’eredità, nel giardino di quest’Eden a rovescio, non esiste frutto del Bene e del Male da cogliere, né un serpente-diavolo tentatore né un Dio iracondo che lo condannerà alle fatiche di noi comuni mortali.

Il fascino del personaggio sta proprio nella forza di questa presenza archetipica, una radicale affermazione che va ben al di là delle sue manifestazioni più o meno riuscite. In questo senso, Diabolik non ha – né mai avrà, speriamo – una fine. Eppure, nella trilogia uscita nella serie regolare inedita da settembre a novembre 2022, per celebrare il sessantennale editoriale del personaggio, quasi ci siamo illusi di questa prospettiva. 

La storia, ispirata da Alfredo Castelli, con soggetto del curatore della testata Mario Gomboli, la sceneggiatura di Tito Faraci e i disegni di Riccardo Nunziati, si è dipanata – per la prima volta nella carriera editoriale del personaggio – in tre albi, tutti caratterizzati dalla parola “fine” nel titolo: L’inizio della fine, Prossimi alla fine, Tutto ha una fine. La struttura tripartita rispecchia perfettamente le fasi della vicenda, con lo scoppiare di una situazione drammatica, il suo sviluppo, e la naturale canonica risoluzione (o detto in altri termini: lo spiegone).

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Nella prima parte, Diabolik ed Eva decidono di prendersi una vacanza da Clerville, per rilassarsi dopo un colpo non riuscito. Nella città-stato di Capomar le regole sono capovolte, non esiste la stessa legge vigente a Clerville, quindi i due pensano di poter trascorrere qui le loro giornate al mare senza preoccuparsi della polizia o di celare le loro identità. Ma le cose presto si complicano: riconosciuti da un giornalista di Clerville che si trova a Capomar per un’inchiesta, i due vengono prima arrestati, poi addirittura incarcerati in attesa di estradizione. La conclusione dell’episodio non afferma dunque il tradizionale ripristino dello status quo: al contrario, realizza quello che sembrava non potesse mai accadere. 

Infatti, Diabolik, in carcere, viene ucciso. E non si tratta di una morte apparente. Come ci rivela il secondo episodio, Diabolik è morto per davvero, e la sua compagna Eva ne segue presto la sorte, con un omicidio che viene fatto passare per un suicidio dettato dal dolore per la perdita del compagno.

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Il secondo episodio è dunque quello più insolito della trilogia, il più irriverente se vogliamo, perché è quello in cui davvero si prende atto della morte del personaggio, in cui si raccontano le conseguenze di questa morte. L’elegante copertina di Matteo Buffagni non lascia adito a interpretazioni. Clerville è davvero, per l’intero albo, senza Diabolik: il suo cadavere giace immobile con i segni visibili di un’autopsia sul petto.

Il punto di vista dell’albo si sposta tutto sull’ispettore Ginko, sulla sua indagine per scoprire le cause e i colpevoli degli omicidi. E c’è una sequenza significativa che lo riguarda, una tavola divisa in tre vignette che risulta particolarmente spiazzante, nel canone linguistico della serie. Lo “sguardo in camera” di Ginko, mentre apprende la notizia al telefono, esprime in modo inequivocabile il suo smarrimento, l’incredulità, lo smacco definitivo. La sua Nemesi è morta, ma non è sconfitta. Negli occhi di Ginko, raccontati da Faraci e Nunziati, si rispecchia il senso di una fine impossibile: un sentimento che mai era stato raccontato.

ginko

Si tratta, ovviamente, dell’ennesimo gioco di prestigio. È un inganno a cui i fedeli seguaci della serie si prestano volentieri da 60 anni. Non serve ribadire che la terza parte, Tutto ha una fine, rimette tutto in ordine, con una risoluzione tanto elaborata quanto perfettamente coerente con la logica della serie, sancendo ancora una volta la vittoria del personaggio, il ritorno all’equilibrio e la continuazione della “lotta”. Ma, per un istante, nel tempo fermo di una tavola disegnata, abbiamo visto negli oggi di Ginko l’avverarsi di una ipotesi impossibile: uno squarcio aperto su un altro mondo, lontano da Clerville di almeno sessant’anni luce. Un mondo di imperfetti e comuni mortali, più spaventoso di qualsiasi Re del Terrore.

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