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RubricheMarginiChi ha bisogno degli Omnibus?

Chi ha bisogno degli Omnibus?

"Margini", una rubrica di Fumettologica a cura di Tonio Troiani. Ogni 15 giorni riflessioni sulla narrazione annotate tra le parti bianche di ogni pagina scritta e disegnata.

Una serie di edizioni Omnibus di fumetti di Marvel Comics, dalla libreria di un redattore di Fumettologica

Negli anni Ottanta l’editore francese Dargaud lanciò una nuova la collana con l’intento di raccogliere in volume fumetti originariamente serializzati su rivista ma meritevoli di un’edizione integrale. Tra queste l’indispensabile – se non lo conoscete recuperatelo, per cortesia – Philémon di Fred, che fu ristampato più volte in questo formato e in altre edizioni anche più “lussuose”. Dargaud ha però sempre mantenuto fermo un principio in queste opere di recupero: la maneggiabilità, una caratteristica quasi totalmente ignorata da alcuni editori che, soprattutto nell’ultimo decennio, hanno deciso di dedicarsi alla stampa di collezioni integrali di fumetti in volumi ingombranti e scomodissimi che stanno mettendo a dura prova le gracili braccia dei nerd (oltre che le loro finanze).

Schiacciati sotto migliaia di pagine e da uscite schedulate e rimandate, nonché da tirature limitatissime (che alimentano un mercato secondario), i lettori ormai sono preda di una nuova forma compulsiva di accumulo, quello da Omnibus. La ricaduta immediata è quella dell’esibizionismo sociale: librerie stracolme e deformate dal peso di massivi volumi. La livrea può variare: dal nero – che sfina sempre – e da un tocco di nobiltà letteraria a quelle più sgargianti e impreziosite da grafiche studiate ad hoc per stanare anche i più recidivi a lasciarsi andare all’acquisto non premeditato. Chi non vorrebbe vedere troneggiare al centro della propria libreria un volumazzo con un dorso importante come Invisibles di Grant Morrison o l’integrale di biblica fattura dell’epopea del Quarto Mondo di Jack Kirby, per non parlare di quel monolite di kubrickiana memoria che risponde al nome di Blast di Manu Larcenet?

Gli Omnibus solleticano i nostri appetiti più sordidi di collezionisti compulsivi ed esibizionisti cronici, affetti da carenza d’affetto. Tuttavia, nonostante la personale avversione verso il formato è palesemente indubbio che alcuni titoli abbiano una loro intrinseca desiderabilità, che esula dalla loro dimensione di feticcio. Sono racconti per immagini che fanno parte dell’immaginario collettivo, stampati indelebilmente nella memoria dei lettori d’annata ma anche avvolti da quell’aura di miticità che continua ad attrarre nuovi lettori e a renderli long seller da ristampare e riproporre in tutte le salse.

Gli Omnibus – che in fin dei conti, in relazione alla loro foliazione, hanno un prezzo più che competitivo – occupano quella zona intermedia tra il cartonato e i coffee table book, ma mancano della praticità dei primi e della capacità di fare arredo degli altri. Mi diranno in molti che una libreria popolata di Omnibus, integrali, edizioni di lusso dei nostri fumetti ha il suo perché, e avrei poco da replicare se non avessi già espresso le mie perplessità su un certo tipo di libreria.

Personalmente, mi ricordano – con le dovute distanze – i Meridiani dell’editore Mondadori: piccoli volumi in sedicesimo che raccolgono opere indispensabili della letteratura mondiale. Il poeta Vittorio Sereni ne curò personalmente il progetto con il desiderio di creare qualcosa di simile alla Bibliothèque de la Pléiade dell’editore francese Gallimard: quindi piccoli volumi, con una generosa foliazione che raccoglievano opere immortali, rilegati in maniera preziosa e stampate su carta Bibbia. 

Stupendi, capaci di destare l’appetito dei bibliofili, curati nei minimi dettagli e con un’ottima curatela, eppure illeggibili per gli ipovedenti a causa di un font minuscolo, che funzionava con i testi poetici, poco con saggi e romanzi. Insomma, questi formati hanno sempre un risvolto tragico: in questo caso quello di provocare patologie oculari e, forse, di avere un retrogusto ecclesiastico. La sensazione è quella di avere a che fare con Bibbie e breviari, e la prima cosa che viene in mente è quella di inforcare gli occhiali pince-nez e farsi una bella chierica votiva.

Una certa volontà celebrativa e museale è presente anche nelle edizioni integrali dei nostri cari fumetti, anche se manca totalmente una curatela che ne giustifichi il progetto editoriale. Traduzioni malferme, vistosi errori di stampa e refusi a pioggia, mancanza di apparati critici e redazionali eccetera. Insomma, nonostante la volontà di imporsi come edizioni definitive non hanno dimenticato le loro origini: raccogliere materiale la cui reperibilità spesso presenta problemi.

Da questo punto di vista, l’integrale, anche con i suoi palesi difetti, rappresenta il formato editoriale più centrato: non solo abbatte i costi, ma spesso risparmia anni di ricerche, spesso infruttuose o snervanti. I tempi sembrano ormai maturi per traghettare soprattutto i comics nel circuito librario, spopolando le edicole e presentandosi in edizioni sempre più ricercate ed esteticamente appaganti: non si tratta più di una questione di affettività a un personaggio o a un autore, ma di una questione che oscilla in un territorio in cui il collezionismo e il feticismo si confondono, dove l’intrattenimento sembra aver ormai ceduto il passo a un istinto tattile. 

Come scriveva Walter Benjamin – che al riguardo ne sapeva qualcosa – possedere un oggetto significa derivare un piacere dal contatto fisico. Il semplice possesso non basta, così come il semplice contatto visivo. Vi è una forma di erotizzazione dell’oggetto, ormai sganciato dalle sue funzioni originarie. Non basta l’essere solo a portata del nostro sguardo, sebbene questo ci soddisfi (in minima parte), ma deve essere a portata di mano, palpabile nella sua concretezza e nella sua purezza. E cosa può soddisfare la voglia di possesso e il piacere tattile se non volumi dalla foliazione generosa come gli Omnibus, esteticamente ammiccanti e adornati di trovate cartotecniche che leggiamo più con i polpastrelli che con lo sguardo? Vi è un investimento emotivo che supera qualsiasi razionalità.

Ogni possibile critica a questo formato editoriale perde qualsiasi appiglio dinanzi alla relazione affettiva che il possessore o il collezionista – in gradi e in modalità diverse – intrattengono con l’oggetto del proprio desiderio, qualcosa che nel momento in cui viene acquistato, riposto e contemplato assume un’aura mistica. È un meccanismo trasversale che tocca aree diverse dell’intrattenimento e del consumo, che si dissolvono in questa dimensione feticistica del possesso e dell’accumulo. Non è un caso che il target specifico di prodotti editoriali di tal fatta sia quello degli adulti in preda a un deliquio nostalgico, che cercano di colmare desideri mancati realizzati in un presente che cerca di mettere in fila il passato e di preservare il futuro da ogni spiacevole sensazione di manchevolezza, di occasione persa. 

Ecco, sembrerà pretenzioso, ma in quei voluminosi oggetti facciamo i conti con la nostra identità. Chi ha bisogno degli Omnibus? Collezionisti, lettori, aficionados, lettori occasionali, insomma un po’ tutti: perché in fondo in fondo, la scomodità si può risolvere – come si faceva in passato con pesanti incunaboli -, così come alcune rimostranze. Ma non la nostra sete di possesso, soprattutto in un periodo in cui tutto svanisce e si dematerializza, perdendosi nel flusso ininterrotto dell’informazione.

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Leggi anche: Le librerie dove teniamo i fumetti

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