
Dopo aver visto la serie di Netflix Mercoledì, ho cercato parole gentili per dirlo, ma penso che Tim Burton sia in quella fase della sua carriera in cui dargli del “bollito” sia abbastanza gentile. L’autore culto dietro a pietre miliari come Edward mani di forbice e Batman è da oltre un decennio impegnato a frenare un declino che l’ha portato a replicare le intuizioni giovanili in film sempre più stanchi, salvo fortuite eccezioni (io ho un buon ricordo di Big Eyes, per esempio, ma mi sa che siamo in pochi).
E cosa succede a quelli che hanno perso lo slancio, l’entusiasmo, la voglia di creare? Diventano marchi, bollini da apporre su prodotti che abbisognano di una certa riconoscibilità. Un sigillo di qualità che però non certifica la qualità ma l’appartenenza a un mondo ben preciso, un universo emotivo o visivo che hanno creato in passato. Nel caso di Burton, il mondo in questione è l’immaginario gotico-bambinesco che si muove tra l’espressionismo e l’intrattenimento di consumo, dove il confine tra il mondano e l’orrido quasi non esiste. Dici “Tim Burton” e la gente sentirà il rumore delle scenografie bizzarre, dei design concentrici, dei punti di sutura come decoro grafico, delle storie di emarginati e incompresi.
Netflix ha ben pensato che per portare in vita una nuova versione della famiglia Addams – nata nel 1938 nelle vignette che Charles Addams realizzava per il New Yorker – la persona giusta fosse proprio Tim Burton. D’altronde, i mondi di Addams e Burton sembrano fatti per stare insieme, sono dotati di un senso dell’umorismo peculiare, nero e giocoso, e parlano entrambi di emarginati che non vengono capiti dalla società. E infatti Burton avrebbe dovuto dirigere il film che fu poi realizzato da Barry Sonnenfeld nel 1991 (visto che lui era impegnato con Batman).
Nella serie, per vendicare il fratello vittima di bullismo, Mercoledì si spinge troppo in là, rovesciando due buste di piranha nella piscina dove si stanno allenando i bulli. Viene così espulsa e mandata alla Nevermore Academy, una scuola per esseri speciali, tra cui licantropi, vampiri e sirene, in cui aveva studiato da giovane anche la madre di Mercoledì, Morticia.
Alla Nevermore Mercoledì fa la conoscenza della preside Larissa Weems, amica di Morticia ai tempi della scuola, della compagna di stanza Enid Sinclair, della studentessa ape regina Bianca e di tutto il resto dell’istituto. Oltre ai doveri scolastici e alle scaramucce adolescenziali tipiche della sua età, Mercoledì dovrà fare i conti con le visioni di morte che la colgono sempre più spesso, una serie di omicidi che stanno avvenendo nella vicina città di Jericho e che sembrano coinvolgere un mostro, e l’accusa che suo padre, Gomez, si sia macchiato di un omicidio in gioventù.
Appare chiaro già al secondo episodio che né le vignette di Charles Addams né Burton sono le spinte creative di questo progetto. Mercoledì è un parto di Alfred Gough e Miles Millar, duo di sceneggiatori già dietro a Smallville e The Shannara Chronicles che ha preso la primogenita degli Addams e l’ha inserita in una premessa che sembra ingegnerizzata a favore di algoritmo.
Mercoledì ha un inizio fulminante ma poi scema minuto dopo minuto in un’infilata di banalità frullate ai trend delle serie tv contemporanee, dall’obbligatoria citazione ai social come elemento caratterizzante la gioventù alle atmosfere simil-Le terrificanti avventure di Sabrina. Ci sono brividi potteriani (il torneo scolastico, i gruppi-casata), belle facce su cui fantasticare, l’ormone, il mistero, una dose moderata di violenza, l’estetica da dark academia – con le biblioteche, la luce soffusa, le divise, i sotterranei e tutto il resto.
Tentando di innovare il canovaccio già utilizzato nelle precedenti produzione cinetelevisive, gli autori hanno trasformato Mercoledì in un’adolescente il cui sadismo innato sembra un comportamento tipico della sua età, mentre quando era piccola, l’innocenza anagrafica e la passione per il macabro creavano un contrasto umoristico. Più che un tratto caratteriale, la visione che Mercoledì ha del mondo diventa una gag, un ostacolo da superare per poter imparare i valori della condivisione, dell’empatia e della tolleranza. Invece che sottolinearne l’unicità e valorizzarla (o criticarla, ma comunque riconoscerla), la serie sembra voler comunicare al pubblico che Mercoledì, la strana, l’emarginata, può imparare a essere come tutti gli altri. Viene da chiedersi cosa ci avrà mai visto Tim Burton in queste sceneggiature che giocano con la figura del reietto nel modo più patinato e stucchevole possibile.
Tim Burton e gli Addams stanno infatti lì come una commodity, un marchio che suggella un’identità, visiva ed emotiva, ma che non apporta un valore concreto. La mano del regista scompare, affogata dal melò ormonale e dal giallo, ed emerge solo per screziare gli episodi con qualche suo manierismo, come l’overdose di indumenti a strisce, preferibilmente bianche e nere. Mercoledì soddisfa il pubblico in cerca di una serie di amorazzi e misteri. Lo fa con dignità e mestiere, ma non è esattamente ciò che uno avrebbe immaginato pensando agli Addams di Tim Burton.
Leggi anche: Tim Burton racconta “Mercoledì” a Lucca Comics & Games 2022
Entra nel canale WhatsApp di Fumettologica, clicca qui. O seguici su Telegram, Instagram, Facebook e Twitter.