“Avatar 2” è un film da vedere (e poi dimenticare)

avatar 2

Se volete andare a vedere Avatar 2, il film del ritorno a Pandora versione subacquea, andateci. Sul serio, male non vi fa. Certo, dura tre ore (che avrebbero potuto essere 1 e 45) ed è pieno di combattimenti e scene di nuotate epiche (versione subacquea, ricordate?) ed è una festa per gli occhi. Ci sono anche i momenti “teen”, gli adolescenti infuocati, il senso della famiglia, gli “ehi bro”, che forse sono entrati nel doppiaggio per osmosi dei trapper di Quarto Oggiaro, chi lo sa. Però andateci. È un gran bel film, eppure perfettamente dimenticabile (come il primo).

Ricapitoliamo un attimo. James Cameron è una specie di macchina per creare soldi dal niente. Ha preso il famoso viaggio dell’eroe, ci ha spalmato sopra una delle sei trame fondamentali di Borges (quella già usata in Balla con i lupi, per la precisione), ci ha aggiunto una guarnizione abbondante di effetti speciali e poi ha frullato tutto in 3D, con una produzione audio che solo quella sembra provenire da un pianeta alieno.

Ci sono voluti tredici anni per dare un seguito al film che ha guadagnato di più di tutti e di tutto. Il primo Avatar fu un evento: il più importante film del quale non vi ricordate più niente (tizi blu su un pianeta alieno che infilano la treccia nella presa USB dei draghi da cavalcare, come in Dragon Trainer). E lo ha rifatto con il pendant teen, perché questa è una storia di famiglie. Lo stesso film, insomma, solo che questa volta è nell’acqua (l’ambiente naturale di Cameron, come dice anche Rolex quando gli regala gli orologi per andare a caccia di relitti del Titanic nelle profondità marine). Per il resto ci sono praticamente tutti, revidivi o redimorti.

Cosa cambia quando è James Cameron a mettersi al timone di un film che celebra il mito del buon selvaggio e approfondisce i sensi di colpa degli americani colonizzatori di origine europea mentre al tempo stesso esalta lo spirito della popolazione di colore con questa sorta di Wakanda fantascientifica e inclusiva (dopotutto Sully è un alieno “trapiantato dentro un avatar”) e produce un film da tre ore come neanche Peter Jackson al massimo del suo fulgore tolkeniano?

Beh, Cameron ci piace perché ci va giù bello duro, incluso il momento catartico del ventre della balena, che più letterale di cosi poche volte. Ma i grandi maestri del cinema blockbuster amano essere letterali e giocare con questo ditone che indica qualcosa ma tanto noi poi guardiamo lui e mica la cosa che indica. E poi Avatar – La via dell’acqua è proprio un bel film.

Voglio dire, voi mi conoscete, no? In passato ho celebrato film che non sono neanche mezzo Avatar 2. Neanche un quarto di Avatar 2. Eppure, dentro questo kolossal, una produzione da far tremare le vene, i polsi e pure i gomiti a gente che di solito non si spaventa neanche di fronte a una pioggia di squali in piena Los Angeles, c’è tutto. C’è Moby Dick, ma appena accennato. C’è Jim, cioè Spider, il ragazzo della giungla che all’improvviso scopre di avere un conflitto con il padre che pensava non avrebbe mai incontrato e già che c’è anche con la madre-Medea che lo ha adottato e quasi lo fa fuori. Scherzava, la madre adottiva? Mi sa di no.

C’è ovviamente la capacità che ha Cameron di costruire mondi coerenti che funzionano, non si incartano con banali errori di continuità, salti di trama, personaggi privi di un arco o di un perché. Qui poi l’arco può essere letterario ma anche simbolico oppure un vero e proprio arco con il quale trafiggere un umano. Ecco, rispetto all’altra volta, adesso muoiono pochi abitanti di Pandora. Ma c’è un perché.

La cosa che vi raccomando – oltre che di andare a vedere Avatar 2 nel cinema con lo schermo più grande a disposizione – è di lasciare a casa il senso del ridicolo e la voglia di vedere un film dell’Europa dell’est: impegnato, esistenziale, profondo, tristissimo, ma non come un rigore sbagliato. No, tristissimo come una depressione, come una patologia carsica, sotterranea, velenosa. Le passioni che avvelenano lentamente, i sentimenti complessi, con delle tonalità più sfumate del bianco o del nero, qui non hanno cittadinanza. Nei personaggi un po’ cartooneschi (ma poco poco e solo per scelta di sviluppo della storia: fatela assomigliare voi una bambina a Sigourney Weaver senza che sembri finta) c’è tanta vita e c’è tanta passione essenziale.

Niente mezzi toni. Tutte esplosioni. E che le cose idilliache che si vedono all’inizio stiano per crollare, lo si capisce subito. Nelle piece teatrali borghesi, quelle con i fucili che Čechov appoggiava al muro e che poi dovevano necessariamente sparare, la felicità iniziale è sempre il primo atto prima del disastro, quello che crea i presupposti per una bella tragedia famigliare. E questo film una gran bella tragedia lo è. Solo, una tragedia come le sa fare Cameron.

avatar 2

Avatar 2 (sottotitolato La via dell’acqua) infatti è un film sulla famiglia, sulla perdita, sulla ricerca di un ruolo. I padri, si sa, devono proteggere i loro figli. Anche a costo di diventare durissimi, perché è quello il ruolo che dà loro un senso come uomini oltre che come padri. E così questo escamotage acchiappa il pubblico di maschi incapaci di gestire il loro rapporto emotivo con i propri figli così come quello con i propri padri. Le madri invece sono teste calde tutto cuore: dure come il filo spinato, capiscono e confortano ma poi quando tocca a loro dimostrano di avere grossi problemi a gestire la rabbia e l’aggressività. E si incazzano tanto tanto tanto: vere mamme coraggio, insomma. E i figli?

Qui c’è una metafora che Cameron cerca di rendere universale: la famiglia Sully non lascia nessuno indietro, non si perde, però è una specie di famiglia allargata all’americana, con figli e figliastri, che poi quando arriva il momento di cambiare casa e scuola si comportano tutti uguale identico a come si comportano i figli delle famiglie allargate americane nella grande provincia: si tirano le pacche sulla testa, dicono “ehi bro”, fanno le risse con i figli del vicino, e cose del genere. Dramma teen pieno, insomma, anche su Pandora. Si vede che l’adolescenza è una brutta cosa per i mammiferi (ammesso che gli abitanti di Pandora siano mammiferi).

Alla fine chi è il protagonista di questo Avatar 2 del quale abbiamo cercato di non spoilerare niente, almeno non esplicitamente? L’elaborazione del lutto al termine del film ci fa capire che il protagonista, l’eroe che ritorna, è sempre quello che va nel ventre della balena. L’escluso, il solitario, l’emarginato, l’outcaster. Lo spelologo gastro-ittico.

Cose sparse di questo film. Mi è piaciuta la recitazione degli avatar digitali. Di attori in carne e ossa, invece s’è visto molto poco: animati al computer però sembrano bravi, poi chissà. Tanto li ascoltiamo doppiati, quindi non sappiamo neanche la loro bravura nella recitazione vocale. Invece, geniale la battuta del biologo marino, personaggio in carne e ossa che se da un lato riconosce l’intelligenza sovrumana delle balene di Pandora, dall’altra le deve sterminare come da contratto. E come protesta? Scatena un Vietnam? No. «Io bevo», dice a un certo punto, rivelando di avere la tridimensionalità di un foglio di carta sì, ma con una grammatura elevata. Perfetto sul banco degli imputati di Norimberga: «E lei cosa ha fatto di fronte a questo tremendo orrore?». «Io bevevo, vostro onore.»

Gli altri personaggi sono un susseguirsi di schede segnaposto del Cluedo: indicano che qui ci va un tizio fatto così o fatto cosà, Poi ci pensano quelli degli effetti speciali ad animarlo e a piazzarlo nel mezzo di qualche sequenza visivamente orgiastica. Una di quelle pornografie delle pupille che dopo un po’ i tuoi neuroni pensano che non ci sarà più un domani, che nessuno ha diritto ad averlo perché tanto, dopo tanta belluria, a cosa vuoi che ti serva il domani? Cioè, abbiamo vissuto bro, abbiamo visto Avatar 2, quello subacqueo: il domani non ci serve proprio.

C’è uno sforzo nell’idea di come deve funzionare il mare in questo film, che è bella perché non dà angoscia. Perché su Pandora tengono tutti il fiato che neanche Maiorca. Si va sott’acqua che sembra che abbiano le branchie. Qui su Pandora il mare ha una sua bellezza. Io ad esempio non so nuotare, e credo che la morte per annegamento sia una delle cose più orribili che la mente umana possa concepire per rovinarsi la serata: sognare di annegare non lo classifico neanche come incubo ma come esperienza definitiva, di quelle che ti friggono il cervello per sempre. Invece, su Pandora, nel reef, si sta da Dio: si nuota, si va sotto, si sta sopra, si cavalcano i draghi marini, si passano le mezzore sott’acqua a contare i pesciolini che neanche te ne accorgi. Coccoli delle medusine piccoline, giochi con le farfalle di mare, i ragnetti, i razzoni, le orchidee e tutto un parterre che è un po’ la cifra stilistica dei mondi creati da Cameron.

Avatar 2 è in ogni caso un film riuscito perché evoca nuovamente quella sindrome di abbandono, quella nostalgia per un luogo virtuale che tutti abbiamo provato dopo aver visto il primo Avatar, Titanic o altri film del genere. C’è un piccolo diorama perfetto e dentro quello dei personaggi tagliati a colpi di accetta che si muovono sui binari certi di una morale facile facile: bianco o nero. Qualche tentennamento ogni tanto, per dare un po’ di sale alla storia e far immaginare un improvviso cambio di fronte. E poi no, tutto torna “normale”: nei film di Cameron i conflitti sono frontali come uno scontro in autostrada con uno che ha preso lo svincolo al contrario. Non c’è alcuna titubanza, niente post-moderno, niente sorpresacce. La trama è sempre quella, scritta ai tempi di Noè e mai più cambiata.

Il manuale Cencelli delle trame, quello sul viaggio dell’Eroe, qui è interpretato come neanche i Dieci Comandamenti da un Protestante. Alla lettera. E funziona tutto. Fino a che non ve lo dimenticherete. Perché il bello dei film di Cameron è che sono quella cosa che tutti vanno a vedere ma che poi nessuno si ricorda più un mezzo personaggio o una situazione. Acqua fresca, insomma. Letteralmente.

Antonio Dini, giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. La sua newsletter si intitolaMostly Weekly.

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