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Batman ha saltato lo squalo

ATTENZIONE: QUESTO ARTICOLO CONTIENE SPOILER PER BATMAN 130

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In Batman 130 si conclude la saga Failsafe, il primo arco narrativo scritto da Chip Zdarsky, nuovo sceneggiatore della serie, e disegnato da Jorge Jiménez, che sto raccontando numero dopo numero. Ve lo dico subito: c’è da arrabbiarsi forte.

Failsafe, un minaccioso robot che si è scoperto essere stato creato da Batman come precauzione per fermare sé stesso nell’eventualità che passasse dalla parte del male, ha iniziato ad attaccare senza sosta l’uomo pipistrello e la sua famiglia. Nemmeno la personalità di Zur-En-Arrh, una versione di Batman spietata, è riuscita a contrastare il robot. Failsafe ha inseguito Batman fino sulla Luna e ora Bruce, sconfitto, vaga nel vuoto andando incontro a morte certa. 

Cosa succede nell’albo

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Alla deriva nello spazio, Batman cerca un modo per tornare sulla Terra sano e salvo. Con la spinta della pistola a gas arriva ai rottami della sua astronave, da cui estrae una bombola di ossigeno e un propulsore con cui si dirige verso la Terra. Entrato nell’atmosfera, sopravvive alla combustione grazie al costume per poi atterrare tra le nevi della Fortezza della Solitudine. Qui, Superman, coadiuvato da Robin, si sta preparando ad affrontare Failsafe con una tuta speciale.

Giunto alla Fortezza, Failsafe mette fuori gioco Superman e affronta Batman e Robin. Bruce ha preparato una soluzione di nanobot che, iniettati nella scalfittura che Batman aveva inferto a Failsafe nel loro precedente scontro, instillerà la compassione nei processi logici del robot.

Batman riesce nell’obiettivo, ma viene disintegrato da Failsafe con una delle sue armi. Il robot distrugge l’arma, dicendo a Robin che quella era compassione. Batman in realtà non è morto, è soltanto stato teletrasportato in un vicolo buio di un luogo non precisato, dove giace esanime.

Nel passato, Batman discute con Zur-En-Arrh sull’ipotesi di uccidere Joker. I criminali, dice Zur-En-Arrh, vanno uccisi per salvare gli innocenti, e Batman non si fermerà finché la paura della morte impedirà ai criminali di attentare alla vita altrui. Bruce ribatte che lui deve salvare tutti, Joker compreso, e che non può cedere all’oscurità. Capisce che Zur-En-Arrh è un arma, e lui deve essere la sicura. Si fa però ispirare dal logo giallo del costume di Zur-En-Arrh e lo cuce sulla sua tuta grigia.

Appunti sparsi

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Numeraccio assurdo, se fosse una serie tv non vi dico che sarebbe stato il salto dello squalo* ma, insomma, di sicuro il trotto del tonno o la spanciata del tricheco.

{*Spiegone su questa espressione per chi non l’ha mai sentita, facevo prima a mettere il link a Wikipedia ma non voglio fare la figura della Patty Jenkins passivo-aggressiva che manda le e-mail coi link dentro per sottolineare una cosa che per lei è ovvia: “saltare lo squalo” indica un punto di non ritorno in cui gli autori di un prodotto seriale, a corto di idee, si sono spinti troppo oltre, ricorrendo a una trovata talmente poco verosimile o distante dallo spirito della serie da decretarne l’inizio del declino qualitativo. Coniata dal critico Jon Hein, che nel 1997 aprì il sito jumptheshark.com per raccogliere esempi di pessima tv, l’espressione prende il nome da una scena presente nella terza parte di Fonzie, un nuovo James Dean?, episodio di Happy Days trasmesso nel 1977, in cui Fonzie, per dimostrare il suo coraggio, scommette di riuscire a saltare sopra uno squalo tigre facendo sci nautico. La critica televisiva prese a utilizzare l’espressione per indicare la trasformazione di una serie in un prodotto molto diverso da quello delle origini – nel caso di Happy Days, le trovate bizzarre e spaccone non rientravano nel gioco nostalgico che stava alla base delle prime stagioni. Nel caso di Batman, non è tanto il discostarsi dalla vera natura della serie, quanto più l’assurdità della situazione.}

Non mi intendo in alcun modo di come si sopravvive nello spazio siderale, quindi posso anche dare per buono che la scena abbia un qualche fondamento di realtà. Tuttavia, nelle opere di finzione ma anche nella vita, quello che conta non è ciò che è vero ma ciò che sembra credibile.* E questa scena di Bruce col rottame di aereo che surfa tra le stelle e poi usa il costume (un costume disegnato come una tutina molto leggera) per rientrare nell’atmosfera terrestre sembra Indiana Jones che finisce nel frigo per ripararsi dalla bomba atomica. Sono comunque felice di aver assistito insieme a voi a uno dei punti di bassi del personaggio per quanto riguarda la sospensione dell’incredulità. Potremmo dire che c’eravamo.

{*Pensate alle esplosioni nello spazio aperto in Star Wars o a Seth Rogen che conquista una qualsiasi donna in uno dei suoi film tipo Non succede, ma se succede… (Charlize Theron tu ti meriti di più!)}

Detto ciò, Failsafe, la prima saga del nuovo corso di Zdarsky, si è conclusa. Che dire? Nei commenti su Facebook a uno dei miei recap* qualcuno ha scritto che seguire una testata albo per albo è una scemata. Letto quest’albo, mi sento di dire che allora io sarei un po’ lo Zdarsky dei recap fumettistici. Failsafe non chiude nulla e mi ha fatto salire un bel fastidio perché ha confermato che gli ultimi cinque numeri sono stati un’enorme melina.

{*Sì, ho questa perversione che ogni tanto mi porta a leggere opinioni di sconosciuti e a pensare «ehhh si vede che questa persona NE SA» se sono positivi e «vabbè, oggi hanno aperto le gabbie dello zoo» se sono negativi.}

Folle che nello stesso albo in cui c’è questo scempio di finale ci sia anche la conclusione della storia secondaria I Am a Gun, una bombetta molto ben fatta e in grado di portare avanti l’opera di ricontestualizzazione di Grant Morrison sul personaggio di Zur-En-Arrh, aggiungendoci un dettaglio importante: l’ovale giallo sul petto di Batman è ispirato a quello del costume di Zur-En-Arrh, a ricordare sempre il rischio di vivere senza la paura delle conseguenze. Precedentemente, Frank Miller in Il ritorno del Cavaliere Oscuro aveva spiegato che l’ovale era un bersaglio rinforzato che avrebbe dovuto attirare gli spari degli avversari – lettura che comunque Zdarsky rispetta e ribadisce.

In questa storia ci sono un paio di pagine stupende in cui Romero mischia il Batman anni Cinquanta con degli echi al David Mazzuchelli di Anno uno.* In una lo disegna sul lettino di uno psicologico con una bella composizione, in un’altra mostra il corpo di Batman tra le braccia di Zur-En-Arrh, mentre questo gli dice che uccidere i criminali significa salvare persone. Secondo Zur-En-Arrh uccidere il Joker salva delle vite, ma quando Bruce domanda quando dovrebbe smetterla di uccidere criminali a quel punto Zur-En-Arrh risponde «ti fermi quando se ne sono andati, quando la minaccia della morte li fa scappare come i cordardi che sono». E lo dice con quel sorriso inquietante che gli disegnava sempre Bob Kane (o uno dei suoi ghost artist).

{*Infatti nelle copertine questa storia è chiamata in maniera informale Zur-En-Arrh: Year One.}

Leggere la storia principale e poi la secondaria mi sembra illustri bene la differenza tra uno shooter, un mercenario che disegna con un tratto fighetto ma senza interpretare la sceneggiatura (Jimenez), e uno che ci mette delle idee (Romero). Lo dico perché lo sceneggiatore è lo stesso, e se le idee di messa in scena le avesse avute lui non si sarebbero viste grandi differenze. O forse nella storia principale Chip Zdarsky non era granché ispirato, c’è anche quella possibilità.

Leggi tutti gli articoli sulla serie “Batman” di Chip Zdarsky

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