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FocusIntervisteIntervista a C.B. Cebulski, editor-in-chief di Marvel Comics

Intervista a C.B. Cebulski, editor-in-chief di Marvel Comics

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Quella di C.B. Cebulski, editor-in-chief di Marvel Comics dal 2017, è una storia che fa il giro del mondo. Cebulski iniziò a lavorare negli Stati Uniti come agente e traduttore freelance, forte di un lungo periodo passato in Giappone. La reputazione di “esperto di manga” convinse Marvel Comics ad assumerlo prima come consulente per l’evento Mangaverse, poi come editor associato e talent scount. Il suo lavoro di pigmalione fece sbocciare le carriere di autori ormai affermati come Skottie Young, Adi Granov, Sara Pichelli, Phil Noto, Steve McNiven e Jonathan Hickman, tra i tanti.

Dal 2011, Cebulski è stato al centro dell’espansione globale di Marvel Entertainment supervisionando la sezione International Development Brand Management. In particolare si è occupato dell’Oriente, a Shanghai, dove ha passato 18 mesi a colonizzare il continente asiatico, stringere rapporti e reclutare nuovi autori.

Dal 2017 è editor-in-chief della casa editrice, per la quale supervisiona la produzione dei fumetti di Spider-Man e compagni. Ma Cebulski tiene viva anche l’attività di talent scount, che ha svolto anche durante Lucca Comics & Games 2022, dove l’abbiamo incontrato per fargli qualche domanda sulla sua gestione.

cebulski marvel comics intervista

Ti ricordi il tuo primo giorno in Marvel?

Oh, cavolo, ci sono stati un sacco di “primi giorni” in Marvel. C’è stato il mio primo giorno da fan, da consulente, da editor… il mio primo giorno da editor, ero editor associato, ricordo chiaramente quando entrai nell’ufficio e incontrai la persona che sarebbe stato il mio capo, Ralph Macchio. L’editor, non l’attore di Karate Kid. [ride] C’era la mia scrivania e Ralph mi disse «questa è casa tua». E così fu. Marvel Comics è la mia casa da vent’anni ormai.

E il tuo primo giorno da editor-in-chief com’è stato?

Il mio primo giorno in cui tornai alla Marvel come editor-in-chief c’era l’ufficio d’angolo, quello del capo, ad aspettarmi. Era vuoto, c’era solo una lettera sulla scrivania con il mio nome sopra. Aprii la busta e vidi che era da parte di Joe Quesada, il precedente editor-in-chief, nonché mio amico e mentore.

In America c’è questa tradizione per cui l’ex-presidente degli Stati Uniti lascia una lettera al suo successore in cui sono scritti suggerimenti e consigli. Joe fece lo stesso e mi scrisse questa lettera in cui raccontava com’era il lavoro di editor-in-chief, le cose belle e quelle brutte, le sue dritte… mi viene da piangere solo a raccontarlo. Il mio primo giorno da editor-in-chief lo passai a piangere su quella scrivania, perché Joe mi aveva scritto questo messaggio stupendo in cui mi incoraggiava e mi augurava il meglio.

È bello che ti faccia ancora effetto. Da come ne parli, sembra più una missione che un lavoro.

Ora ti sembrerò sdolcinato, ma c’è grande verità nel detto «da grandi poteri derivano grandi responsabilità». Ho un sacco di motti che cerco di rispettare nella vita di tutti i giorni e questo è uno di quelli. Ogni mattina mi sveglio, letteralmente, con un sorriso sulla faccia, mi dò dei pizzocotti e mi chiedo «sto sognando o lavoro davvero per la Marvel?». Faccio del mio meglio per prendermi cura dei miei dipendenti, degli autori, e ho sempre in mente i fan, perché voglio che leggano le migliori storie possibili.

I fumetti sono stati importantissimi per me nella vita, non solo come lettore ma a livello personale, mi hanno reso la persona che sono, ho imparato a leggere con i fumetti, ho imparato lezioni di vita, ho passato bei momenti e brutti momenti insieme ai fumetti. Certi fumetti mi fanno venire in mente periodi specifici della mia vita. E devo sempre ricordarmi che ci sono persone là fuori che stanno vivendo quello stesso rapporto con i fumetti e ora sono io la persona responsabile di quei fumetti che plasmeranno la vita di tante persone. È una responsabilità che non prendo alla leggera. Sì, facciamo fumetti, ah-ah!, sembra uno scherzo ma non lo è. Per molte persone i fumetti sono uno stile di vita. Voglio essere sicuro che tratteremo con rispetto gli appassionati.

Non diventano a un certo punto anche un ostacolo contro cui combattere? Perché magari ci sono storie che vorreste raccontare ma dovete invece accontentare i fan.

Ah, ma noi li dobbiamo scontentare! A volte i personaggi devono crescere ed evolvere, a volte gli autori propongono storie che sappiamo non saranno popolari presso i lettori. Ma, per come la vedo io, finisce sempre per il meglio. L’esempio che faccio sempre è quello di Superior Spider-Man, in cui Spider-Man e Dottor Octopus si scambiano i cervelli. Prima ancora che uscisse, i fan odiarono quella storia. Dan Slott, lo sceneggiatore, ricevette minacce di morte. Dovemmo perfino contattare l’FBI, perché temevamo che potesse succedere qualcosa di grave. Poi però, quando uscì, i lettori iniziarono ad apprezzare la storia e finirono con l’amarla. E ora è una delle storie preferite dei lettori. Sono passati dieci anni e continuano a chiederci storie di Superior Spider-Man.

È la reazione di pancia. La gente non sa cosa aspettarsi, ma bisogna tenere a mente che, certo, siamo la Marvel, siamo la Disney, ma dietro questi marchi le persone che realizzano queste storie sono dei fan. Faremo anche cose che potrebbero sconcertare i fan, ma avremo sempre rispetto per i personaggi, perché quello che conta è ciò che è meglio per loro.

Da editor-in-chief, qual è stata la sfida più difficile che non ti saresti mai immaginato di dover affrontare?

La risposta facile è il Covid, ma quello è ovvio, non serve nemmeno dirlo. Vediamo… è una bella domanda, fammici pensare… ci sono state tante morti di recente e penso che per me la cosa più difficile, anche se non è stata una sfida, è solo stata una cosa triste, è stata la morte di Stan Lee. Ricordo come lo venni sapere. Ce lo dissero immediatamente e fu compito mio informare la redazione prima che si venisse a sapere da Internet. La gente aveva iniziato a sentire delle voci di corridorio, e così indicemmo una grande riunione e io dovetti, in lacrime, annunciare che avevamo perso Stan.

Tu sei anche un talent scout, lo fai da anni. Da scopritore di talenti, qual è l’aspetto che ti colpisce di più in un portfolio di un candidato?

Mi sono sorpreso due o tre volte, anche durante questa Lucca, del fatto che… sai, dicono di non giudicare un libro dalla copertina. Magari conosco qualcuno ed è giovanissimo e ha capacità narrative ben oltre la sua età. La cosa che mi ha sorpreso di più ultimamente è che ci sono sempre più ragazzi molto giovani che sono già artisti completi. Joe Madureira ha iniziato a lavorare a 16 anni, John Romita Jr. ne aveva 17, credo, ci sono stati casi rari nella Storia Marvel di disegnatori precoci. Ora, a livello globale, troviamo con maggior frequenza nuovi talenti di età sempre più giovane che sono già pronti a lavorare. Grazie ai social network, a Internet, e anche al nostro lavoro nel corso degli anni, la gente è sempre più consapevole e preparata, sa come si mette insieme un portfolio e cosa cerca un editore.

E quando trovi qualcuno con uno stile particolare, come lo bilanci con lo stile di casa Marvel? Anche se non mi pare che esista, oggi, uno stile Marvel.

No, infatti. Il mio lavoro consiste non solo nel scegliere un disegnatore ma nel pensare già per quale progetto sarebbe adatto. So già quali saranno i fumetti della prossima estate o del prossimo inverno, e quindi cerco di ricordarmi cosa, nel futuro, potrebbe andare bene per loro. Anche perché ai nuovi disegnatori dobbiamo dare delle scadenze più larghe. Oggi ho valutato il portfolio di un ragazzo che mi ha detto «so che il mio non è lo stile Marvel», e io gli ho detto di rimangiarselo perché non si può mai sapere.

Era vero, non disegnava nello stile dei fumetti di supereroi, ma le sue pagine mi ricordavano una via di mezzo tra Sergio Toppi e Bill Sienkiewicz, con un po’ del segno di Milo Manara. E avevo delle idee per delle storie da fargli fare. Quindi non valuto mai le persone con dei preconcetti su cosa è adatto o meno per la Marvel. Non posso sapere se un disegnatore è giusto per noi finché non lo vedo.

Con i nuovi sceneggiatori come fate? Immagino che lì non basti leggere una pagina di sceneggiatura.

Con gli sceneggiatori è dieci, se non cento, volte più difficile. Come dici tu, con un portfolio, dopo due o tre pagine si vede già se hanno ciò che serve per lavorare con noi, è facile perché si tratta di un mezzo espressivo visivo, basta guardarlo. Con gli scrittori ci vuole moltissimo tempo. A volte aiuta leggere dei fumetti che hanno già pubblicato per capire il loro stile dai dialoghi, ma collaboriamo anche con sceneggiatori di film o romanzieri e, oltre a essere mestieri diversi, ci vuole più tempo per valutarli.

La regola è che, per lavorare con la Marvel, bisogna avere pubblicato con altri editori. È come con gli sport, non esordisci direttamente in serie A. E la Marvel è la serie A. Non importa con quale editore, ma devono essere pubblicati altrove, così possiamo valutare i loro lavori finiti.

Quando varate un progetto, viene prima il personaggio o il team creativo?

Il personaggio. Pensiamo prima al personaggio e poi al tipo di autore che potrebbe portare qualcosa di nuovo alla storia rispetto alla persona che lo stava scrivendo prima. Daredevil è l’esempio perfetto. Ogni volta che c’è stato un passaggio di testimone, da Brian Bendis a Ed Brubaker a Mark Waid a Charles Soule, ci siamo assicurati che l’autore portasse qualcosa di nuovo. Questo dal lato editoriale.

Ma ci sono volte in cui autori rinomati, Jason Aaron, Jonathan Hickman o Chris Claremont, ci propongono delle idee, che poi non sempre vanno in porto perché magari l’idea è su un personaggio che sta già utilizzando un altro autore. In quel caso, ci segniamo lo spunto per il futuro.

A parte Joe Quesada, gli editor-in-chief non hanno mai gestito la Marvel per lunghi periodi. Vedi la fine del tuo incarico all’orizzonte?

Io sarò editor-in-chief finché mi lasceranno esserlo. Ho raggiunto tanti obiettivi negli ultimi cinque anni, ma ho ancora tante idee di storie che vorrei leggere, autori che vorrei vedere lavorare per noi, opportunità in altri media e a livello globale. Finché mi vorranno, io ci sarò.

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