
«L’inizio di un nuovo inizio» recita ricorsivamente il sottotitolo di questo Dylan Dog 435. L’accattivante copertina dei fratelli Cestaro – che stanno facendo davvero del loro meglio per non farci rimpiangere troppo il precedente copertinista Cavenago (Stano no, Stano sarà rimpianto per sempre) – rimanda anch’essa a una certa ricorsività, con tanti, troppi Dylan Dog che saltellano tra le rovine di una Londra in disfacimento.
In questa specie di “inception” bonelliana, Dylan Dog si troverà davvero a vagare nei sogni (meglio: incubi) di qualcun altro, risvegliandosi ogni volta uguale, ogni volta leggermente diverso: il sogno di Claudio Lanzoni (scrittore noir al suo esordio sulla testata come autore del soggetto) dentro il sogno di Roberto Recchioni, dentro il sogno di Tiziano Sclavi, e così via, in un frattale infinito di rimandi e personaggi e autori che si sovrappongono, si confondono, si richiamano e, talvolta, pare persino che si sabotino a vicenda.
Comincia qui, con una storia semplice semplice, una trilogia che promette di rimettere tutto come prima, ma meglio. Un nuovo inizio che somiglia al vecchio. Dunque, la meteora recchioniana non ha davvero distrutto il mondo di Dylan, dunque il piano diabolico (a tratti diabolicamente incomprensibile) di Roberto Recchioni/John Ghost non ha proprio ragione di esistere, dunque il Padre padrone Sclavi non aveva affatto la testa tagliata. Anzi, era ben attaccata al collo, la Testa di Tiziano, che dietro le quinte continuava a tenere la barra dritta, a badare che la barca non si arenasse, finché non ha deciso che era davvero il caso di riprendere la vecchia rotta, chiudere con le innovazioni e tornare al glorioso passato: così, almeno, ci hanno raccontato.

L’inizio di un nuovo inizio è soprattutto la fine del vecchio inizio, ovvero un modo diverso per dire le stesse cose: la resa onorevole del progetto di rinnovamento recchioniano, un lungo ciclo (o un insieme di cicli) che ha accumulato idee su idee senza avere forse il coraggio necessario per portarle fino in fondo, per svilupparle e renderle credibili, per lasciare dei segni capaci di vibrare nel cuore dei lettori. E rifugiandosi invece, molto spesso, in soluzioni spettacolari un po’ gratuite (ma sempre ottimamente disegnate) che alla lunga sono suonate stucchevoli persino ai fan più tolleranti.
Intitolato Due minuti a mezzanotte (= citazione dagli Iron Maiden), Dylan Dog 435 infatti non si allontana troppo da quelle storie metafumettistiche a cui il personaggio ci ha abituati ultimamente. Come già nell’antefatto di questo ciclo, su Dylan Dog Color Fest 43, in cui il protagonista si risvegliava spaesato in un mondo modello Ikea, anche qui Dylan Dog si ritrova a vagare in una realtà immaginaria che si sta sfaldando sotto i suoi – e nostri – occhi. Non a caso entrambe le storie sono disegnate da un ottimo Giorgio Pontrelli, capace di cogliere con efficacia le atmosfere stranianti di questi mondi liminali.
È il modello sclaviano di Caccia alle streghe, la storia in cui Dylan Dog vive nell’incubo di essere il personaggio di un fumetto sottoposto a una terribile censura da Medioevo. Nel nuovo millennio, l’inquisizione non è più un problema tanto sentito, forse lo è di più l’eccesso di immaginario. Spesso, troppo spesso negli ultimi tempi, Dylan Dog ha scoperto di essere personaggio di un fumetto che non sa più cosa dire, tranne replicare se stesso, con minime varianti: una infinita citazione di citazione. Persino il nuovo arcinemico John Ghost si arrende all’impossibilità di avere un senso: all’inizio dell’albo saluta i lettori e torna a casa con un eloquente Game Over. Il gioco è terminato, spegnete le luci prima di andare a nanna.

La realtà (quale? Quella degli ultimi venti numeri?) si scopre una Matrix programmata malamente, il cielo pixellato perde i suoi colori, la spaventosa Londra sfuma nel vuoto di uno scenario di cartapesta, in un tempo bloccato sempre nello stesso istante: due minuti a mezzanotte appunto. Il Big Ben si ferma per poi precipitare su se stesso come un Big Bug del nuovo Millennio. I bordi delle vignette, la closure che Dylan individua con puntigliosa competenza, si spezzano assai facilmente. Il protagonista precipita di nuovo nel bianco della pagina: e questa non è, purtroppo, soltanto una metafora.
Ha ragione John Ghost: il gioco è finito. Gli artifici di un linguaggio, il rompersi di una vignetta, la realtà pixellata e via dicendo possono essere strumenti molto efficaci per raccontare una storia. Ma quando questi artifici sono la storia stessa, quando ogni discorso sfuma nella citazione fine a se stessa, allora l’incubo è diventato un loop da cui non si può più uscire se non provando a ricominciare di nuovo da capo. Appunto, la testa di Sclavi non era affatto una meteora: forse, non c’è mai stata una meteora. Era tutto un gioco, uno scherzo, il sogno dentro il sogno di qualcuno.
In questa realtà fumettistica-videoludica in via di esaurimento, Dylan fatica a credere in se stesso. Tra la pillola rossa e la pillola blu non sa quale scegliere, alla fine le ingoia entrambe. Realtà o bugia non importa, purché si vada avanti. Oltre la pagina bianca c’è di nuovo il suo studio, il fidato Groucho, una Londra uguale e diversa nella quale provare a ritrovare un senso. Qui Dylan incontra un se stesso migliore (quale? Chi è chi?) che gli consiglia di farsi una passeggiata. La storia continuerà nei prossimi due episodi, vedremo come. Per il momento, non ci resta che aspettare: che questo Dylan, chiunque sia, si fermi da qualche parte.
Dylan Dog 435
di Claudio Lanzoni, Roberto Recchioni e Giorgio Pontrelli
Sergio Bonelli Editore, novembre 2022
brossurato, 96 pp., b/n
4,40 € (acquista online)
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