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Graphic NovelNelle pieghe del tempo: "Hypericon" di Manuele Fior

Nelle pieghe del tempo: “Hypericon” di Manuele Fior

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Premessa: recensire una nuova opera di Manuele Fior rasenta l’inutilità, non perché l’autore debba godere della nostra incondizionata stima o le nostre aspettative non possano essere deluse, ma perché ci confrontiamo con uno dei migliori fumettisti degli ultimi vent’anni a livello internazionale. Basterebbe immergersi subito in Hypericon, il suo nuovo graphic novel, per non avere dubbi al riguardo: l’incipit dell’opera è un perfetto saggio di come dovrebbe funzionare un fumetto. 

Detto ciò potremmo già concludere questo ozioso esercizio di scrittura, inanellando qualche gentile epiteto e qualche riferimento altisonante, di quelli che rendono più orgogliosi gli estensori che gli autori. In realtà, Hypericon ha un problema: è un gran bel fumetto, questo è indubbio, ma non dice nulla di nuovo. Se le capacità di Fior sono note, altrettanto palese è il suo tergiversare sempre intorno ad alcuni temi, ad alcune dinamiche, che in questo caso non si arricchiscono di nuove sfumature, ma presentano solo una preoccupante pulizia formale, che ammalia, ma al contempo lascia anche un po’ indifferenti. 

Fior gestisce con sobria eleganza due linee temporali, sebbene tutto avvenga in un passato prossimo non ancora disturbato dal traffico digitale, ideale per evocare quell’effetto nostalgia tanto caro ai lettori di graphic novel (ormai i ragazzi leggono altro). E cosa è più nostalgico della Berlino degli anni Novanta? Per Teresa Guerrero, giovanissima ricercatrice esperta di antichità egizie, la città teutonica rappresenta la sua più grande opportunità. La sorte, ma anche e soprattutto un curriculum stellare, l’hanno condotta a partecipare attivamente alla curatela di un’importantissima mostra sul corredo funerario di Tutankhamon, il faraone bambino. Ma sulla sua strada incontrerà il guascone Ruben – anch’egli italiano – che fa la vita da squatter e si occupa di grafica, per così dire. 

La trama è esile, condotta per ellissi e salti: è una storia d’amore e insieme una storia di formazione, ma anche un apologo sul tempo. In una Berlino che sembra rannicchiata in un’ucronia – salvo poi scoprire che siamo nel 1998 grazie alla copertina di Clandestino di Manu Chao – i destini di Teresa e Rube si intrecciano e si sfilacciano. Tutto sembra un grande sogno, dettato dall’insonnia cronica della protagonista, in cui il lettore scivola accompagnato dalla mano sapiente di Fior. Ci si sveglia di colpo nel 2001 in un futuro che è già passato (forse troppo in fretta): una scena familiare che forse tutti hanno vissuto, in cui Ruben (ovvero Fior stesso) e Teresa (finalmente libera di addormentarsi) guardano il mondo fermarsi (nella scena c’è anche un omaggio al fumettista Alessandro Tota, tradendo così la vocazione “autobiografica” del racconto).

Hypericon è leggero, scorre velocemente e sembra quasi godere di quella levità che appartiene ad alcune commedie agrodolci capaci di riappacificare per un attimo, liberandoci dal trambusto quotidiano. Eppure, in questa spiccata disinvoltura – condotta con buona regia e con un tocco deciso eppure mai invadente – c’è anche il carattere più debole di quest’opera: è un racconto minore, scritto durante la cattività pandemica (come lui stesso ci ha raccontato in una lunga intervista), che forse non ha goduto del tempo giusto per diventare altro. 

Certo, Hypericon, purtroppo, deve fare i conti con un’opera matura e stratificata come Celestia, ma si pone da tutt’altra parte e va letta in autonomia. Il problema è che al di là della capacità di raccontare di Fior, c’è poco se non l’ennesima variazione sul tema. Questo Fior, purtroppo, sa di déjà vu, pieno com’è di quelle dinamiche e quei cliché a cui ci ha abituato: Teresa è in parte Lucia, in parte Dora, così come Ruben è in parte Piero, in parte Pierrot. Fior lavora come scrittore con idealtipi, che hanno sempre qualcosa di familiare, che addensano nelle pieghe della carta vissuti e esperienze reali che sublimano nelle letterarietà delle situazioni narrate.

Manuele Fior resta un cavallo di razza, sia ben chiaro. Sarei ipocrita a non riconoscere che siamo in presenza di un prodotto che si colloca ben al di sopra della media dei libri editi in Italia e che quindi l’autore gioca un campionato diverso. Ma ormai da lui ci aspetta sempre quel salto, quella ruvidità che renderebbe i suoi racconti intimi grandi romanzi: un po’ come peraltro già avvenuto ne L’intervista. Ecco, azzardando, forse a Fior basterebbe un pizzico di cinismo o il coraggio di non usare maschere e porsi nel mezzo del nulla come faceva Guido Buzzelli, se la sua mano da architetto si lasciasse andare per un momento.

Hypericon
di Manuele Fior
Coconino Press, ottobre 2022
cartonato, 128 pp., colore
25,00 € (acquista online)

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