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FocusIntervisteLa costruzione di un disegnatore. Intervista a John Romita Jr.

La costruzione di un disegnatore. Intervista a John Romita Jr.

*English Text

John Romita Jr. è un disegnatore che ho molto a cuore, perché è stato il mio punto d’ingresso nel mondo di Spider-Man, nonché uno dei primi che ho imparato a riconoscere e apprezzare. Se una storia di Spider-Man non era disegnata da lui, non era una storia che meritava di essere letta. Non sono nemmeno così tanto originale, perché il disegnatore, uno degli autori con la carriera più longeva in circolazione, è stato probabilmente il primo per moltissimi lettori, di Spider-Man o di altri supereroi.

Li ha disegnati quasi tutti, realizzando importante storie in ogni angolo Marvel – Devil, gli X-Men, Hulk, Avengers, gli Eterni, Thor – ma ha anche lavorato per DC Comics e per conto proprio, creando insieme a Mark Millar la serie Kick-Ass. Abbiamo avuto l’occasione di intervistarlo durante Lucca Comics & Games 2022, dove Romita era ospite. Nei suoi racconti al pubblico non si è risparmiato aneddoti sulla sua gioventù italoamericana che sembravano usciti da un albo di Daredevil.

caos coffe bean spider-man romita
“Caos al Coffee Bean”, la prima storia disegnata da John Romita Jr., pubblicata su “Amazing Spider-Man Annual” 11 del 1977

Sono passati più di quarant’anni dalla tua prima storia, Caos al Coffee Bean

Sì, è stato un esordio precoce, avevo due anni. [ride]

Ti ricordi cosa provavi mentre la stavi disegnando?

È proprio una sensazione specifica, di inferiorità. Inferiorità autoindotta. Avevo imparato a conoscere i disegnatori Marvel venuti prima di me, mio padre, Jack Kirby, John Buscema. Ero stato a mostre e musei. Sapevo che non sarei mai arrivato al livello di tutti questi grandi artisti. Quando mi diedero l’opportunità di lavorare, sentivo che avrei fallito, non volevo fallire. E infatti quella storia non è disegnata bene, ma fu sufficiente per garantirmi un’altra possibilità.

Quando è stato il momento in cui guardando una tua tavola hai pensato che andasse bene?

Ci fu un momento, quando mi tolsero dagli X-Men perché non andavo d’accordo con lo sceneggiatore, in cui ero sul punto di abbandonare i fumetti. Stavo per andare a lavorare nella pubblicità. Avevo già pronta la cartella con i miei lavori da mostrare a tutte le agenzie pubblicitarie di New York. Ralph Macchio mi propose Daredevil dicendo «no, prova questo. Provalo per un anno e poi al massimo smetti». Oltre a lavorare con Ann Nocenti e Al Williamson, ebbi la libertà creativa di gestire i disegni come meglio credevo. Quell’incarico rappresentò la svolta: mi sentivo soddisfatto di quello che stavo realizzando. Ma successe molti anni dopo il mio primo fumetto.

Poi però il ruolo di gestire la narrazione vera e proprio è passato agli sceneggiatori. Tu come ti sei adeguato a quel cambiamento?

Avevo visto cosa aveva fatto mio padre con quello che gli davano, e lui era sempre frustrato. Jack Kirby e Buscema provavano la stessa cosa. Gli veniva dato tanto così [avvicina le dita] e loro restituivano tanto così [allarga le braccia], in termini di creatività. Certo, venivano pagati bene, ma gli sceneggiatori si prendevano tutto il merito. Almeno nel mio caso, Ann Nocenti mi ricobbe il titolo di co-soggettista, internamente.

Col passare del tempo, le cose si sono venute a sapere, e quando la intervistavano Ann diceva «Io non ho fatto niente, gli ho dato un nome e lui si è inventato un personaggio». Lo stesso vale per molti editor e sceneggiatori, Mark Millar, Frank Miller, Zeb Wells… Almeno quelli a cui importa del prodotto finale. Quando lavoro con gli sceneggiatori, sanno come posso contribuire all’opera.

daredevil john romita jr. intervista
L’ultima pagina di “Daredevil: L’uomo senza paura”

Di tutte le tue pagine, per me l’ultima di Daredevil: L’uomo senza paura è una delle tue migliori. Frank Miller cosa aveva scritto in sceneggiatura?

Sai che non mi ricordo? È interessante, ho ancora la sceneggiatura, in una scatola, a casa. Devo andarla a rivedere. Frank e io siamo amici, lui sapeva quello che ero in grado di fare. Mi dava quel tanto che bastava per farmi esprimere. Probabile che mi avesse solo scritto «Daredevil domina la città».

Il tuo lavoro vive e respira in bianco e nero. E, secondo me, funziona meglio con i colori piatti di una volta rispetto a quelli digitali perché quelli digitali cercano di aggiungere una dimensione che già c’è nel bianco e nero. 

È proprio così. Quando eravamo giovani davamo tutto con il bianco e nero, perché ci veniva detto che il colore avrebbe rappresentato solo una piccola aggiunta. Come dici tu, i colori erano piatti e semplici. L’imperativo era creare delle pagine che fossero già belle prima del colore. Ora, a causa delle tecnologie sempre più raffinate, i disegnatori fanno molto più affidamento sul colore rispetto a prima. Io no, non voglio aver bisogno del colore per funzionare. Il colore deve essere solo un’aggiunta, per quanto mi riguarda. Il disegno deve reggersi in piedi da solo in bianco e nero. Poi, se il disegno è spettacolare, i colori lo renderanno ancora più spettacolare.

Quando sei tornato in Marvel dopo il tuo periodo in DC Comics hai detto che volevi dimostrare che «ci sapevi ancora fare».

Mi sentivo così anche quando sono passato a DC Comics, in realtà. Mi veniva detto che ero sempre stato appoggiato da mio padre, favorito dal suo nome. Che non potevo farcela da solo. Ho sentito quelle parole molte volte negli anni. Che ero un pessimo disegnatore, che ero un raccomandato… E io rispondevo: «Mamma smettila!» [ride] Scherzo, ma quando ebbi l’occasione di andare in DC, perché a un paio di persone in Marvel non piaceva l’idea che io rimanessi in Marvel a una paga più alta, la colsi al volo. DC mi disse «certo, ti faremo fare quello che vuoi, con il compenso che vuoi» e io volevo zittire i detrattori.

E poi dopo sei anni in DC, quando la Marvel mi fece l’offerta di tornare, ho sentito quelle stesse parole di disistima da parte di alcune persone in DC: «Torni alla Marvel solo grazie al tuo cognome». E anche qui sono tornato perché volevo zittire tutti. Ora che sto invecchiando, sento la gente dire di farmi da parte, di lasciare spazio ai giovani. Volevo dimostrare agli altri, ma anche a me stesso, che ci sapevo ancora fare.

Hai potere decisionale sui progetti in cui vieni coinvolto?

Non voglio fare la prima donna. Ho conosciuto persone che lo erano e io non voglio essere così. Mio padre non me l’avrebbe mai permesso e ora mia moglie mi dice sempre «chi ti credi di essere?». Così, quando qualcuno mi affida un progetto, cerco sempre di realizzarlo al meglio. Se poi è proprio un’idea orribile dico di no. Ma non è mai successo. Mi sono sempre trovato bene con ogni personaggio, cercando di contribuire come potevo. Se si può migliorare, perché non provarci?

Poi io cerco sempre di essere propositivo, se mi chiedono «vuoi lavorare con questo sceneggiatore?» io dico «l’idea mi piace, ma che ne dite se la facciamo con quest’altro autore?», invece di dire «no, lui non mi piace». Alla fine l’unica cosa che conta è che io faccia fare bella figura alla sceneggiatura e che la sceneggiatura faccia fare bella figura ai miei disegni.

Durante la conferenza stampa hai detto che tra cinque o sei anni ti vedi in pensione.

In pensione dalle scadenze! Non dal lavoro. Voglio fare l’illustratore, magari il pittore, ma non voglio più stare a correre dietro alle scadenze. Mi piace ancora tanto, perché, lo dico scherzando, è meglio che lavorare. È un mestiere artistico, interessante, creativo. Non smetterò mai di essere un disegnatore. Per me disegnare è importante tanto quanto i miei affetti. Non più importante, ma altrettanto importante. Mi rende ciò che sono. Io e te non ci siamo mai visti prima, ma se ci mettiamo a parlare di arte io capisco le tue domande e tu capisci le mie risposte.

spider-man john romita jr intervista
“Peter Parker: Spider-Man” #1, Dynamic Forces Variant Cover, by John Romita Jr. e John Romita Sr.

È un terreno comune che lega tutti quelli con la stessa passione.

Esattamente così. Un terreno comune. E quando vado a vedere una mostra mi sento minuscolo in confronto ai giganti dell’arte. A breve andrò agli Uffizi per vedere il David di Michelangelo. So che piangerò come un bambino. Una volta qualcuno mi chiese quale fosse l’immagine più bella creata dall’uomo. Per me è il David. Michelangelo era un genio oltre ogni immaginazione. La Pietà! Sai, l’ho vista quando ero piccolo, all’esposizione universale di New York nel 1964… incredibile. Creare qualcosa da zero, realizzare qualcosa che prima di te non esisteva, è questa la mia idea di arte. Ed è per questo che mi piace così tanto. Perché viene dal cuore.

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