Batman: Il Batmanga 1-3, di Jiro Kuwata (Panini Comics)
Negli anni Sessanta, la serie tv di Batman con Adam West era un successo planetario, che dagli Stati Uniti travolse anche il Giappone. Nel Paese del Sol Levante ci furono quindi diversi tentativi di sfruttarne la fama adattandolo alla cultura locale, rendendolo protagonista, ad esempio, di un racconto di kamishibai, i teatrini disegnati nipponici. Ovviamente fu anche trasformato in un manga per ragazzi, a opera del fumettista Jiro Kuwata. In quegli stessi anni, infatti, stava esplodendo il fenomeno degli shōnen, e le strampalate avventure del detective in calzamaglia si inserivano perfettamente nel filone.
Questa “scheggia impazzita”, come definì il fumetto Marco Andreoletti in un articolo di qualche anno fa, non fu un successo. La serie durò soltanto un anno: la mossa di trasformare Adam West in un manga evidentemente non era un colpo di genio editoriale quanto sembrava sulla carta. Eppure, proprio per questa sua vita effimera, anno dopo anno la sua fama si accrebbe, garantendogli lo status di gioiello perduto del fumetto camp, che affascinò addirittura il celebre art director Chip Kidd tanto da spingerlo a curarne la prima edizione in assoluto in inglese.
A ben vedere, il Batmanga non è un ottimo fumetto. La sua forza sta proprio in quello che ci si aspetta quando se ne scopre l’esistenza: l’immensa assurdità. A Kuwata non sembra interessare il suo protagonista, piuttosto pare disegnare soltanto per poter inanellare situazioni fuori di testa e personaggi sopra le righe. Il suo Batman è, se possibile, ancora più naif di quello televisivo, con avversari ancora più incredibili, come robot e alieni: «Coloriti, cervellotici, deliranti criminali che paiono essere attirati nei paraggi di Batman come mosche sul miele», per rubare di nuovo le parole ad Andreoletti. Con la grande differenza, rispetto alle avventure di Adam West, che essendo disegnato, non aveva i limiti di budget della serie televisiva degli anni Sessanta.