Le buone maniere, di Daniel Cuello (Bao Publishing)
Un ufficio pieno di semplici impiegati – il volto meno terribile ma comunque insidioso di una dittatura – è il contesto in cui si dipana Le buone maniere, graphic novel con cui Daniel Cuello ha proseguito la narrazione dell’immaginario distopico iniziata in Residenza Arcadia e Mercedes. Anche questa storia è ambientata infatti in una nazione governata da un regime dittatoriale, dove ogni parola (libri, canzoni, notizie ecc.) deve essere soppesata e censurata per non creare scompiglio e nella quale persone ordinarie, che in apparenza non fanno alcun male, in realtà reprimono per conto del governo ogni spazio di libertà individuale. Ma il male – come direbbe Hannah Arendt – si nasconde proprio nella banalità delle vite di persone normali, innocue e apparentemente innocenti.
La dittatura non ben specificata che fa da cornice agli eventi consente all’autore di mettere in luce le implicazioni che ha sulla personalità dei protagonisti, componendo un quadro ben definito della loro psiche e del particolare rapporto con l’ideologia del regime. Diversi pezzi sono tenuti insieme da un filo conduttore che crea continuità nell’intreccio: l’obbedienza cieca alle rigide convenzioni sociali e l’immobilità del protagonista Salsola.
C’è un equilibrio naturale che conferisce a Le buone maniere un’atmosfera rarefatta di sospensione, un andamento oscillatorio che vive di una leggerezza quasi volatile, e di improvvise accelerazioni nelle quali esplode la violenza dei ricordi o degli eventi. Un’opera complessa, dalle consistenti stratificazioni sugli effetti del regime, sull’aberrazione del potere, sulle dinamiche che si sviluppano tra chi domina e chi è dominato, sull’assurdità dell’esistenza e sull’inesorabilità del corso degli eventi. Una riflessione satirica sui paradossi dell’umanità, in una dittatura immaginaria che ha più di un punto in comune con la nostra, apparentemente più libera, democrazia.