“ONI”, la strabiliante miniserie animata di Netflix sul folklore giapponese

oni netflix recensione

L’accettazione del diverso e della propria specificità in un mondo divisivo e omologante è il grande tema che attraversa la miniserie di Netflix ONI: La leggenda del dio del tuono, opera composta da quattro episodi. Un piccolo gioiello che spicca per qualità e coinvolgimento emotivo fra le tante produzioni animate incolore e standardizzate contemporanee.

ONI: La leggenda del dio del tuono è la storia di Onari, la figlia di Naridon (un essere mostruoso con poteri incredibili), che vive sul monte Kamigami assieme ad altri mostri e spiriti della tradizione folkloristica giapponese e che sta iniziando, al pari di amici e compagni, un percorso che la porterà a scoprire il proprio potere nascosto. Questo le servirà per affrontare la guerra più importante di tutte: quella contro gli ONI, demoni che intendono invadere il loro villaggio e distruggere tutto.  

La carriera artistica di Daisuke “Dice” Tsutsumi, la mente dietro ONI, è stata finora davvero peculiare. Nato a Tokyo, per poi trasferirsi negli Stati Uniti e arrivare a lavorare per i più importanti studi d’animazione di oggi, l’autore ha contribuito all’estetica e al risultato finale di alcuni titoli cruciali degli ultimi anni: in veste di art director, lead color designer o lighting designer ha lavorato per Blue Sky Studios (L’era glaciale, Robots) e successivamente per Pixar (Toy Story 3, Monsters University), per poi decidere di mettersi in proprio e fondare la propria casa di produzione, la Tonko House, con cui ha realizzato proprio ONI

Tsutsumi è anche fumettista: in Italia è stato pubblicato da Bao Publishing Il guardiano della diga (The Dam Keeper, scritto da Robert Kondo), che è un’espansione dell’universo narrativo dell’omonimo cortometraggio diretto dallo stesso Tsutsumi e candidato agli Oscar nella categoria “Miglior cortometraggio animato”. L’estetica dietro Il guardiano della diga pervade ONI, tanto da renderlo immediatamente riconoscibile come un lavoro di Tsutsumi. Il quale, tuttavia, non è la sola mente dietro questa serie che dialoga facilmente con folklore giapponese, coming of age, potenza immaginifica tipica di certe produzioni animate statunitensi. ONI, infatti, è scritto da Mari Okada, sceneggiatrice di alcuni dei più importanti titoli anime degli ultimi anni, tra i quali la serie AnoHana e il recente Miyo – Un amore felino

In una serie, che a detta dello stesso Tsutsumi, è da considerarsi come un unico film diviso in quattro parti, ciò che emerge è il profondo amore per l’universo folkloristico giapponese, fatto di spiriti, mostri, divinità di vario tipo, la cui mitografia è apparsa nell’arte tradizionale nipponica ed è così legata all’immaginario animista giapponese da divenire una costante in tante opere animate e non. 

C’è, in ONI, un’atmosfera che ricorda molto le opere dello Studio Ghibli (forse non a caso, visto che Tsutsumi è sposato con Mei Okuyama, nipote di Hayao Miyazaki). Il suo modo di raccontare un mondo in bilico fra realtà concreta e dimensione astratta – il tutto incastonato in un modo tutto poetico e delicato di trattare lo sviluppo narrativo – riporta infatti alla mente i mondi fantastici di Miyazaki e film come La città incantata o Il mio vicino Totoro. Eppure, ONI mi ha ricordato soprattutto un’opera troppo spesso dimenticata, firmata da Isao Takahata e intitolata Pom Poko. Anche in quel caso l’elemento ecologista è centrale. E stupisce allora come la riflessione sulla cementificazione incontrollata fosse attuale negli anni Sessanta (epoca in cui si svolge Pom Poko) e nel 1994 (anno di uscita del film), così come lo è ancora nel 202.

ONI, però, racconta anche il difficile percorso di accettazione del diverso. Onari deve accettare la sua diversità, e altrettanto deve fare il villaggio in cui vive. Ad aiutarla in questa presa di coscienza c’è il suo nuovo amico Calvin, trasferitosi in Giappone dagli Stati Uniti e per questo definito “gaijin”, ossia straniero. Anche lui ha dovuto lavorare sulla sua integrazione, e ciò che emerge è che questa accettazione, così complessa e dolorosa da ottenere, non può passare attraverso la rabbia e l’odio – che, al contrario, scatenano il mostro che è in Naridon e negli altri abitanti del villaggio – ma attraverso la presa di coscienza della propria specificità. E con l’amore. Con l’affetto di chi la circonda, Onari compie il passo più difficile, accettando il suo passato luttuoso e preparandosi al futuro. 

Da un punto di vista tecnico, è curioso sottolineare come la scelta di Tsutsumi e della Tonko House sia stata quella di realizzare un’opera che restituisca allo spettatore la sensazione dell’animazione in stop-motion, pur essendo realizzata in CGI. Il risultato è stato ottenuto grazie a un character design particolare, un lavoro sui solidi che ha trasformato i personaggi in simil-pupazzi in plastilina e una fluidità dei movimenti volutamente scattante, tipica delle produzioni animate a passo uno.

Il risultato è strabiliante. L’attenzione alla tecnica non ha impoverito quella per la bellezza estetica delle immagini, delle scelte fotografiche e cromatiche. Ma soprattutto non ha prevalso sul cuore pulsante di ONI, che sono i personaggi, i loro dolori, le loro speranze, nonché la delicatezza con cui gli autori sono riusciti ad affrontare temi di un certo spessore con la leggerezza poetica che è propria dei grandi artisti. 

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