
David Mandel è uno sceneggiatore e regista che ha scritto film cult come EuroTrip e Il dittatore, ma ha anche contribuito a programmi storici come Saturday Night Live, Seinfeld, Curb Your Enthusiasm e Veep – Vicepresidente incompetente, pluripremiata serie di cui ha supervisionato le ultime tre stagioni. La sua ultima fatica, in qualità di regista, è la miniserie HBO ambientata ai tempi del Watergate White House Plumbers.
A Fumettologica interessa però un’altra attività di Mandel: il collezionismo. Lo sceneggiatore è infatti uno dei più grandi raccoglitori di oggetti di scena cinematografici, fumetti e tavole originali, con specializzazione nel fumetto americano, per lo più supereroistico. Alle pareti di casa sua sono appese pagine originali di Watchmen, Batman: The Killing Joke, Little Nemo, Il ritorno del Cavaliere Oscuro e copertine storiche di albi come Daredevil 181, Star Wars 1 o Giant Size X-Men 1. Possiede persino una tavola domenicale a colori di Calvin e Hobbes, che è più unica che rara. È, in pratica, il più grande collezionista di tavole originali d’America, con una varietà di memorabilia capace di attirare le attenzioni di giornali come il New York Times e testate come Variey.
Della sua passione, Mandel parla di frequente, su Instagram o sul suo podcast dedicato al collezionismo The Stuff Dreams Are Made Of (che si può ascoltare o guardare), condotto insieme a Ryan Condal, creatore della serie tv House of the Dragon. È riuscito perfino a inserirla in un episodio di Seinfeld intitolato Bizzarro Jerry, in cui Elaine fa la conoscenze delle versioni Bizzarro di Jerry, George e Kramer – un riferimento al personaggio DC Comics che rappresentava l’opposto di Superman.
Qual è il tuo primo ricordo relativo ai fumetti?
Il mio ricordo più antico è che andavo a tagliarmi i capelli da un barbiere di New York che stava nella vecchia sede del negozio di giocattoli FAO Schwarz. Il barbiere era al terzo piano, quindi prima di arrivare da lui dovevi attraversare tre piani di giocattoli. Il barbiere, il signor Rudy, stava tagliando i capelli a un bambino il cui padre o madre lavorava alla Marvel, io credo, perché aveva lasciato tutte le copie omaggio dei fumetti Marvel in sala d’attesa.
Io avevo tre o quattro anni. Se non piangevo mentre mi tagliavano i capelli mi lasciavano portare a casa un fumetto. Ma erano tutti fumetti su licenza, Godzilla, Human Fly, quel tipo di fumetti… Ogni tanto in un fumetto di Godzilla compariva un Avenger, ma erano fumetti Marvel di seconda fascia. Però quello è il primo ricordo che ho dei fumetti. E poi ero un grande appassionato dei vecchi cartoni di Spider-Man, che a New York mandavano in replica ogni mattina, e della serie I Superamici. Quelli non erano fumetti ma alimentarono sicuramente la mia voglia di cercarli.
È da lì che sei diventato un lettore?
Sì, più o meno. Con il tempo era diventata una specie di tradizione: se facevamo un lungo viaggio in macchina i miei genitori mi facevano scegliere un fumetto da leggere nel tragitto. E poi queste occasioni speciali si trasformarono in me che notavo i fumetti in edicola. C’erano due edicole nel mio quartiere, quindi, non dico ogni settimana, ma spesso li compravo. Iniziavo a scegliere i miei preferiti, Super Friends e Spidey Super Stories, che era la serie di Spider-Man pensata per i lettori più piccoli, quella basata sulla trasmissione The Electric Company.
E poi a qualche fiera comprai le raccolte di Fireside, Origins of Marvel Comics e Son of Origins of Marvel Comics. Leggevo fumetti non necessariamente nella loro forma principale, i comic book, ma in raccolte così. Mi ci appassionai molto lentamente. Poi un giorno scoprii che a pochi isolati da casa mia c’era una fumetteria molto fornita, West Side Comics, e iniziai a comprare fumetti lì. E poi scoprii che ce n’erano altre due, Big Apple Comics e Funny Business, che alimentarono la mia passione come una febbre.
E hai mai avuto quel periodo di stanca, che a volte arriva durante l’adolescenza quando ci si appassiona ad altro?
È buffo, a me non è mai successo. Dal momento in cui sono diventato un lettore appassionato (con la gestione di Chris Claremont e John Byrne degli X-Men, di cui ero un fan sfegatato tanto da segnarmi il giorno in cui usciva il nuovo albo per andare in fumetteria, e quello mi spinse a leggere gli X-Men anche negli anni del liceo e del college), ci furono sicuramente dei periodi meno interessanti, tipo quando se ne andarono a vivere in Australia, ma non smisi mai di leggerli. Invece mi è successo da adulto, per un periodo, circa una decina di anni fa, quando Bendis ha riportato gli X-Men del passato nel presente. Mi spiace dirlo, ma in quel momento ho pensato «d’accordo, ho smesso con gli X-Men». È una cosa che possono capire solo i fan degli X-Men, ma ci fu un momento in cui Tempesta ebbe una storia d’amore con Nighcrawler, poi con Wolverine… era come una pessima soap opera in cui avevano finito le accoppiate di personaggi. Le cose scritte da Claremont per me restano le migliori perché, anche se alcune trame non si sono concluse, riusciva sempre a tenere vivo l’interesse del lettore in maniera intelligente.
Per me il periodo migliore è quello di Grant Morrison e Frank Quitely, che quando avevo 11 anni mi fece esplodere il cervello.
Lo stavo per dire. Quell’età, tra gli 11 e i 13 anni, è un periodo magico. Qualsiasi cosa tu legga a quell’età ti fa un effetto diverso. E in più quella gestione era davvero bella. Già avevo letto qualcosa di Quitely, ma quando arrivò sugli X-Men con Morrison fu una rivelazione.
Quitely cambiò la mia percezione di cos’era il disegno, perché era così strano…
Tu immagina quando io iniziai a leggere New Mutants nei primi anni Ottanta. E quando iniziò quella serie era disegnata da Bob McLeod, un disegnatore dal classico stile Marvel. Immaginami, all’età che avevo, tredici anni più o meno, che apro un albo e ci trovo le pagine di Bill Sienkiewicz con il Demone Orso. Ricordo che pensai: «Ma che cazzo è ‘sta roba? Chi è questo Bill di cui non so neanche pronunciare il cognome? È illeggibile!». Poi, con il passare degli albi, me ne innamorai. Non avevo gli strumenti per capire che cosa stessi guardando.
Ho alcuni originali degli X-Men di Quitely. Dalla mia collezione di originali si capisce quali sono i fumetti degli ultimi vent’anni che davvero mi piacciono, perché sono gli unici pezzi moderni che possiedo. Adesso un fumetto deve essere speciale perché mi spinga a comprarne gli originali, mentre se è qualcosa di vecchio, certo deve piacermi, ma magari non deve essere così speciale, è che me lo ricordo con affetto.
Qual è il fumetto più recente di cui hai degli originali?
Nell’ultimo anno ho comprato qualche tavola di Daniel Warren Johnson tratta dalla miniserie su Beta Ray Bill. Mi è piaciuta perché ha reso omaggio a Walt Simonson ma ci ha fatto anche qualcosa di nuovo. Ho qualche tavola di Lee Weeks, qualche originale delle serie di Tom King, che mi piacciono molto (The Vision e Omega Men)… Compro ancora originali, ma devo davvero essere innamorato della storia.
Di Quitely io impazzisco anche per All Star Superman.
Oh, sì, è bellissimo, anche se le tavole originali non sono inchiostrate ed è un peccato. Di Quitely ho anche un bellissimo acquerello di Bizzarro che gli ho commissionato, perché, come forse sai, ho una collezione di originali con protagonista Bizzarro, per via del mio episodio di Seinfeld.
Sì, quando ho letto che avevi un libro di sketch a tema Bizarro sono impazzito perché io da piccolo andavo in giro con un libro in cui mi facevano fare disegni di Wolverine da chiunque.
Ed è davvero divertente vedere come i disegnatori interpretano un personaggio, Bizzarro nel mio caso, con cui quasi nessuno ha familiarità. La versione che mi fa più ridere è quella di George Pérez, che mi fece una versione della copertina del numero 7 di Crisi sulle Terre infinite, quella in cui Superman sorregge il corpo morto di Supergirl, solo che mise un Bizzarro che rideva al posto di Superman.
Come mai proprio Bizzarro?
Da piccolo avevo delle raccolte dedicate ai personaggi DC in cui erano pubblicate le storie dagli anni Trenta ai Settanta. Erano libri bellissimi, che mi insegnarono molto sul fumetto. Leggevo storie dalla Golden Age fino ai tempi moderni. Nel volume dedicato a Superman c’erano le storie degli anni Sessanta di Curt Swan di cui mi innamorai. E in molte di quelle storie, quelle del periodo strampalato, era presente Bizzarro. Mi piaceva come personaggio. Poi, quando iniziai a lavorare a Seinfeld scrissi questo episodio in cui c’erano le versioni Bizzarro dei protagonisti. Jerry Seinfeld era un grande fan di Superman e mi diede carta bianca per sviluppare questa idea.
Quando iniziai a commissionare disegni originali pensai che dovesse esserci una ragione personale dietro alle richieste che facevo. Se voglio un disegno di Superman posso scegliere tra le tantissime tavole originali che ci sono in giro e con cui ho una connessione intima per via della storia, che magari mi ha emozionato. Le tavole di Bizzarro sono più rare, e mi piaceva l’idea di crearmi una collezione di originali realizzati da autori che non l’hanno mai disegnato. E in più era una citazione all’episodio che avevo scritto per Seinfeld.
Quando proponesti l’idea dell’episodio, Seinfeld come reagì? Perché è una citazione abbastanza di nicchia ancora oggi, figurarsi all’epoca.
Jerry è un fan accanito di Superman. Nella serie si vede sempre una statuina di Superman nel suo appartamento. È anche un lettore di fumetti. Come battuta, dice sempre che, essendo un comico, la gran parte del suo tempo la passava a leggere fumetti in attesa di salire sul palco per un suo spettacolo. Avevano citato Superman e il suo universo nella serie. Addirittura, dopo la fine di Seinfeld, Jerry girò uno spot pubblicitario della American Express in cui interagiva con una versione animata di Superman.
Quindi, no, lui accolse positivamente la mia idea. Anzi, ero io quello reticente a proporla all’inizio. E la cosa buffa, ovviamente non posso provarlo ma mi piace come supposizione, è che dopo la messa in onda dell’episodio Bizzarro tornò nei fumetti in maniera più presente rispetto al periodo precedente, in cui era sparito dalle storie. Mi piace pensare che sia stato anche un po’ merito mio.
E non ti è mai venuta la tentazione di scrivere qualcosa per la tv o il cinema con i supereroi? Qualche fumetto l’hai anche scritto.
È vero, ma amo così tanto quel mondo che ho paura di rovinarmelo se lo mischiassi con il lavoro. Sono uno sceneggiatore comico, e anche se c’è molta commedia nei film Marvel – e penso potrei fare un buon lavoro in quel senso – non sono esattamente il profilo giusto per loro. Mi sono avvicinato a un paio di progetti televisivi con i supereroi ma non si sono mai concretizzati. D’altro canto, ho proposto a DC Comics un paio di idee per dei fumetti comici con Superman, ma mi dicono sempre che non vogliono che il personaggio sia così spiritoso nei fumetti. E infatti i fumetti che ho scritto per DC erano sempre storie brevi o estemporanee, dove quel tono è più accettato.
Quelle per Superman erano idee davvero strampalate?
Te ne dico una che alla DC di sicuro non piacque. Ebbi l’idea – che chiamai “la cotta gay di Superman” – di far diventare Clark Kent il Lois Lane di Superman, ossia che si ossessionasse per un nuovo supereroe che arrivava a Metropolis, cercando di scoprire la sua identità segreta e camminando su questa linea sottile tra innamoramento e ossessione. Non credo che alla DC saranno mai pronti per un’idea del genere. [ride]
Anche se si sono aperti a un Superman bisessuale
È vero, però la mia idea aveva come protagonista il Superman originale e giocava con l’archetipo in un modo buffo, e non credo che alla DC avranno mai voglia di affrontarlo.
I tuoi genitori cosa ne pensavano della tua passione per i fumetti?
Erano contenti che leggessi, che è sempre una buona cosa dal punto di vista di un genitore. I fumetti mi aprirono la strada anche ad altre letture, quindi capirono che era una cosa buona. Poi avevo una fervida immaginazione, mi piaceva scrivere… Non c’erano effetti collaterali, anzi, i fumetti erano un motore creativo. Forse mio padre pensava che fossero uno spreco di soldi, perché un fumetto costava un dollaro (e poi sempre di più) e lo finivo in venti minuti. Quello forse gli dava fastidio.
E invece la tua collezione di originali quando è iniziata?
Dopo l’università, vivevo a New York e andai a un paio di fiere. Comprai qualche sketch, ma per divertimento. Non andavo alle fiere pensando «ci sarà Dave Cockrum a vendere le sue tavole?». Fu solo quando iniziai a lavorare per Seinfeld e mi trasferii a Los Angeles, circa nel 1995, che andai al mio primo Comicon di San Diego e vidi il primo stand di tavole originali. Era presente Matt Wagner, di cui avevo appena letto la sua storia di Batman Facce, che mi era piaciuta tantissimo. Aveva alcune pagine e ne comprai una, mi iscrissi alla sua newsletter, vidi altri originali… fu una specie di battesimo. Capii che potevo entrare in possesso delle tavole originali.
E come era l’atmosfera delle fiere?
Diversissima. Alla mia prima San Diego, non ci si può credere, andai lì il sabato senza biglietto e senza aver prenotato una stanza d’hotel. Parcheggiai l’auto a due isolati di distanza, entrai nel centro congressi, comprai il biglietto, visitai i padiglioni tutto il giorno, poi chiamai il Marriot e prenotai una stanza per la sera stessa. Il giorno dopo, la domenica, comprai un altro biglietto per il giorno stesso!
Credo che la situazione durò per un altro paio d’anni, poi le cose iniziarono a cambiare, e io stesso diventai un fanatico. Dovevo entrare al primo giorno per trovare le cose migliori. I commercianti portavano le loro tavole migliori a San Diego, sia del passato che del presente. Se un fumetto usciva a settembre, il commerciante che aveva gli originali aspettava il luglio dell’anno dopo per metterli in vendita. Era un evento. Parliamo di un’epoca pre-eBay.
Ora non è più così. È più facile o più difficile essere collezionisti?
Adesso si può essere collezionisti 24 ore su 24, tutti i giorni dell’anno. Una volta dovevi aspettare questi eventi o contattare le persone, se le conoscevi. Ed è un bene, ma è anche un male. I prezzi poi sono esplosi, e in parte ne sono responsabile. Non del tutto, ma un po’ sì. Una volta, per me, una tavola costosa poteva arrivare a mille, duemila dollari. Nel 1995 ero in una posizione fortunata, avevo un buon lavoro e, nel grande schema delle mie finanze, diecimila dollari non erano una grandissima somma, ma corrispondevano a una pila enorme di tavole originali. Quella pila, oggi, non so quanto costerebbe. Credo che nessuno se la potrebbe permettere. Adesso diecimila dollari sono un acconto per una sola tavola.
Da quando hanno iniziato a comparire nei lotti di grandi case d’aste, di certo sono diventate anche un investimento per speculatori e persone che non sono collezionisti.
Certo, con tutti i lati negativi della faccenda. Sulla carta, io possiedo delle tavole che valgono molto di più rispetto a quanto le ho pagate. Benissimo, evviva. Ma non ho intenzione di vederle. Saranno fortunati i miei figli, che potranno venderle quando sarò morto. La verità è che io voglio comprarne ancora! E questi prezzi, anche se posso vendere o scambiare tavole, di certo non favoriscono l’acquisto, ti assicuro.
Se penso ai prezzi raggiunti da certe opere, come la copertina del primo numero de Il ritorno del Cavaliere Oscuro…
Quello è un bellissimo pezzo, anche se preferisco le tavole di Frank Miller a matita e inchiostro. Certo, se qualcuno me la regalasse non la rifiuterei. Ma l’idea di spendere un milione di dollari (o più) per una tavola originale del genere non mi interessa.
Hai un limite personale?
Mettiamola così: non ho mai visto niente finora che mi ha fatto pensare «lo devo avere, a qualunque costo». Sono fortunato ad avere nella mia collezione pezzi che forse, se andassero sul mercato oggi, sarebbero venduti a prezzi improponibili. E non so se spenderei quelle cifre per averli. Non fraintendermi, sono fortunato, ripeto, però… non so, se arrivasse qualcuno a offrirmi, che ne so…
Una pagina di Amazing Fantasy 15.
Ecco, stavo proprio per dire quella. Se qualcuno me la offrisse per due milioni di dollari… non so che cosa risponderei. Forse, vendendo qualcosa dalla mia collezione… ma la verità è che preferirei scambiare quella tavola per una pila di originali in mio possesso. Nel momento in cui vendi qualcosa e all’improvviso ti ritrovi con un assegno da due milioni di dollari tra le mani è difficile dar via quell’assegno! [ride]
Da un lato, è un bene che opere come Amazing Fantasy 15 (i cui originali sono stati donati alla Libreria del Congresso) siano a disposizione della collettività per essere viste da chiunque, non solo da qualche privilegiato.
Io sono andato a vederle nell’autunno 2021, alla Libreria del Congresso. Ero da solo, con i guanti e la mascherina. Non vedevo l’ora di uscire solo per poterlo raccontare ai miei amici.
La speculazione ti spaventa?
Le aste in particolare sono un mercato molto pericoloso. C’è la moda che ha fatto diventare preziose le prime apparizioni dei personaggi, sia i fumetti che le tavole originali. Si vedono cifre folle che, secondo me, non rispecchiano un vero mercato di collezionisti. Qualsiasi cosa io abbia mai comprato, sapevo che potevo rivenderla il giorno dopo allo stesso prezzo, o magari un po’ meno. Adesso all’improvviso se spendessi tre milioni per una pagina di Guerre segrete non solo non credo che rientrerei della spesa se la rivendessi, ma addirittura non credo che il giorno dopo la vendita potrei venderla a due milioni.
Chiunque sia ad aver contribuito a far alzare il prezzo in fase d’asta… lasciamo perdere. So che è una cosa strana da dire, ma è un mercato di cui non voglio fare parte. Ti dico un altro campanello d’allarme: quando io o qualche mio amico collezionista vendiamo un pezzo all’asta, il prezzo finale è sempre equo. Come mai nessuno dei nostri pezzi, alcuni davvero mozzafiato, vanno via a cifre stratosferiche? Come mai succede sempre agli altri?
Secondo te è una conseguenza dell’entrata delle aste nel mercato?
Le aste hanno creato certe dinamiche che sono tipiche di quel mondo, pensa alle cryptovalute o agli NFT. In ogni ambito ci sarà sempre una fetta di investitori che non sono collezionisti ma speculatori. Il cambiamento più importante nel mondo del collezionismo a fumetti degli ultimi dieci anni è che sono arrivati gli speculatori con i loro soldi. E ha smesso di essere divertente come era un tempo. Io se compro qualcosa lo faccio perché mi piace. Certo, non voglio che un mio pezzo perda valore, ma non mi interessa nella maniera più assoluta se aumenta di valore.
Credo sia l’essenza del collezionismo: paghi una cifra, anche alta, perché ti piace quell’oggetto, non perché speri di farci un profitto.
È anche cambiato il modello di business dei commercianti. Per come la vedo io, ogni anno aumentano il prezzo del loro catalogo di opere. Poi vendono uno o due pezzi grossi a una fiera e tanto basta. È un modo molto diverso di lavorare rispetto al passato, quando erano proattivi e interessati a far girare le tavole quanto più possibile. Ora è: quanto riesco a spremere dai pezzi originali più grossi per potermi accontentare di quelle vendite?
Tu collezioni anche oggetti di scena dei film. Succedono le stesse cose anche in quell’ambito?
Quel mondo è più indietro rispetto alle tavole originali, proprio come le tavole originali erano indietro rispetto al mondo dei fumetti in generale. Si stanno iniziando a vedere alcune dinamiche e speculazioni, ma non così tanto come nel fumetto. C’è ancora tantissima roba da collezionare ed è un mercato ancora puro per la maggior parte.
So che hai una tavola originale di Calvin e Hobbes. Quella come l’hai comprata, dato che sono rarissime?
Tutto quello che ho visto di Bill Watterson di cui sono sicuro al 100% essere autentico era un disegno a colori, molto spesso dedicato da Watterson a qualcuno che l’autore conosceva, un amico o un conoscente. Ci sono un paio di persone che Watterson conosceva bene che avevano un paio di originali a testa. Da quello che ho capito, erano in parte regali o scambi con altri pezzi d’arte che Watterson collezionava. E solo le tavole che sono arrivate sul mercato. Molti anni fa, quelle persone hanno deciso di vendere quei pezzi, e io ho avuto la fortuna di comprarne uno.
Ho letto che il tuo fumettista preferito è Steve Ditko…
Non so se sia il mio preferito, ma di sicuro è lì in cima.
Chi è il tuo preferito?
Oddio, forse… ci sono un paio di nomi, ma penso che… d’accordo, dirò Ditko! Dai, ha creato Spider-Man! È magico, non so come desciverlo. Mi piace Ditko in generale, dal Dottor Strange ai primi lavori per la Warren, ma mi piacciono perfino le ultime cose che fece con Robin Snyder. Ma Spider-Man… leggere quei fumetti, specie i primi numeri in cui lo vedi che sta cercando di capire il personaggio tra le pagine, mentre lo disegna, e ogni numero nuovo è migliore del precedente, resta un’esperienza abbastanza incredibile.
Chi sono gli altri due che avevi in mente?
Frank Miller, in particolare la sua gestione di Daredevil. Amo tantissimo alcuni dei disegnatori che lavorarono con Claremont, Dave Cockrum, Paul Smith, John Byrne… Dai, Giorni di un futuro passato è una bomba!
Sei tornato a leggere gli X-Men?
Sì, con la gestione di Jonathan Hickman. Mi piace la piega che sta prendendo quell’angolo di mondo Marvel, non so come finirà ma di certo mi sta divertendo. Sono tornato un lettore degli X-Men, ecco. Non ho ancora comprato degli originali, però. Ci ho pensato, mi piacevano alcune copertine di House of X/Power of X, ma non c’è stata l’occasione. Quello di Hickman è un reset molto diverso da quello di Grant Morrison, ma con delle idee molto chiare su come dovrebbero essere i mutanti.
Mi dà l’idea che non sia una lettura esattamente a misura di neofita, nonostante sia un reboot.
Capisco quello che dici. Però veniamo da anni in cui ci si preoccupava sempre dei nuovi lettori, e molta continuity – che è poi il premio che i lettori ricevono per seguire assiduamente le storie dei personaggi – è stata gettata alle ortiche. Per anni, le hanno provate tutte per attirare nuovi lettori, e non mi pare che ci siano riusciti. Io però sono sempre qui.
Quindi, a un certo punto, se piace a me, mi va bene, chi se ne frega dei nuovi lettori. Non credo nemmeno esista questa mitologica figura del “nuovo lettore”. Poi siamo d’accordo che bisogna fare pulizia perché puoi arrivare solo fino a un certo punto senza incasinarti o diventare una cosa talmente complicata da risultare incomprensibile anche ai lettori forti.
Dopo tutti questi anni di collezionismo, senti ancora lo stesso trasporto?
Se riguardo quella pagina di Facce di Matt Wagner, non solo mi ricorda la storia in sé, ma anche l’inizio della mia collezione e quello è un ricordo a sé. Quella carica, quella connessione emotiva che ho con l’opera, è più forte che mai, e sono passati quasi trent’anni.
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