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RubricheAnd So What?Il maledetto supplemento da edicola

Il maledetto supplemento da edicola

Pensiero critico e laterale attorno a quell'incrocio molto trafficato fra cultura, tecnologia e mercato. "And So What?", una rubrica di Fumettologica a cura di Antonio Dini. Ogni 15 giorni una mezza coccola e soprattutto qualche pizzicotto all'industria culturale e alla macchina dei generi.

supplemento da edicola

Lo confesso, all’alba del mezzo secolo (già spuntata da un po’) sono una vittima dei collaterali. Non un bisticcio linguistico per dire che mi hanno sparato, a me civile, nel corso di un conflitto militare rendendomi un “danno collaterale”, come dicono nei film d’azione americani. No, sono una vittima dei prodotti che si trovano in edicola in allegato o parallelamente o sopra o sotto i giornali. Che peraltro non compro più da tempo perché preferisco gli abbonamenti sul tablet, ma questo è un altro discorso.

Sono una vittima dei cosiddetti “collaterali”. Si tratta dei libri (soprattutto, ma anche altri prodotti) che vengono venduti in edicola assieme ai giornali. Ne cito solo uno: Urania. Non la serie di fantascienza più longeva della storia pubblicata da Mondadori in edicola, assieme al Giallo e a Segretissimo che, per i simpatici capricci della normativa italiana deve essere anche una testata giornalistica registrata (così può essere distribuita in edicola con un’Iva più bassa). No, mi riferisco all’iniziativa editoriale di Mondadori con il gruppo RCS, cioè Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport per pubblicare un florilegio un po’ schizoide di romanzi che sono più o meno passati da Urania e far “assaggiare” la fantascienza a chi non la pratica d’abitudine. Sperando in un travaso di lettori, in buona sostanza, con la scusa di festeggiare i 70 anni della testata.

Ne avevamo già parlato qui quando i volumi erano 25, poi qui quando sono diventati 45 e speriamo di poterci fermare perché ho dovuto prendere una mensolina dedicata a loro per poterli infilare in casa. I romanzi sono edizioni “pulite”, senza colpe né pregi particolari, con copertine piacevoli del buon Franco Brambilla (che ho intervistato qui), ma non è questo quello di cui voglio parlare qui. Invece, quello che costituisce il nocciolo del problema, per me e quelli come me che hanno sessanta-settanta scatole sparse in un paio di soffitte piene di libri ed enciclopedie comprate in edicola un pezzettino alla volta, è la bulimia del sistema.

Viviamo in una società dell’abbondanza drogata dal bisogno di generare una crescita trimestrale. Per questo, ogni giorno che passa, c’è qualcuno che vuole vendervi qualcosa in più per cercare di tornare a casa non con un bilancio in attivo (che andrebbe benissimo e del quale sarei molto felice), ma con un bilancio in crescita (e non necessariamente in attivo, cosa per me un po’ folle).

I collaterali non hanno una data di nascita certa. Però sono quasi quarant’anni che esistono nella loro forma moderna. Da quando Walter Veltroni, allora direttore dell’Unità, decise di pubblicare buoni libri e buoni film del cinema italiano e poi internazionale. Veltroni era un giornalista e politico italiano che in quella fase storica apparteneva alla tradizione del Partito comunista e come tale voleva educare e far crescere le masse per emanciparle. Secondo la mia personalissima ricostruzione della storia di quello che è successo alle edicole, uno dei locali che frequento più assiduamente fin da ragazzino, fu l’Unità di Veltroni ad aprire le danze.

All’epoca la triade Giorno-Carlino-Nazione non era andata molto oltre il Bingo e il SuperBingo, mentre la concorrenza dei giornali tradizionali stava scoprendo i rotocalchi in allegato, cioè riviste patinate con cadenza settimanale dove raccogliere pubblicità a colori (i giornali degli anni Ottanta e Novanta erano in bianco e nero) perché più preziosa. Veltroni invece decise di mettere cose tangibili, addirittura le VHS, a prezzi popolari. Oppure le edizioni dei libri: una dozzina di collane diverse che si sono sovrapposte nell’arco di un decennio e che sono tutte stipate in due scatoloni della mia soffitta (le videocassette in tempi non sospetti le ho girate invece al mio ex suocero, che a casa ha un videoregistratore).

Ora, il mercato dei collaterali, che negli ultimi due-tre anni è riparto alla grande, è stato spesso preso in giro, ma è in realtà enorme. E fattura moltissimo. Attraverso i giornali – e la finzione giuridica che si tratti realmente di allegati – non sono passati solo libri e fumetti, ma anche dischi (CD, vinili, videocassette, tutto praticamente), modellini di qualsiasi cosa, case di bambole, collezioni di repliche di orologi, penne, aeroplanini, automobili da corsa, moto da corsa, moto storiche, mezzi dei Carabinieri e della Polizia di Stato, giochi educativi, rompicapo e chi più ne ha più ne metta. Se anche ci accontentiamo solo dei libri, sappiate che ogni giorno nelle edicole italiane spuntano almeno tre titoli nuovi allegati ad altrettanti quotidiani. Sono poco meno di ottomila titoli all’anno. Un diluvio.

E allora chi è che non ha almeno: un paio di cicli di opere di Salgari, una raccolta di romanzi di Agatha Christie o di Ellery Queen, un florilegio di saggi per apprendere la lingua e la cultura giapponese, imparare la matematica, la fisica e pure l’astrologia, una riedizione critica dei Vangeli (più gli apocrifi e vari altri rotoli trovati in qualsiasi mare morto o vivo che sia), o uno stock di vecchi album storici di figurine Panini? Chi non li ha scagli la prima pietra. E la scagli anche se ha qualche pezzo tra le collezioni dei romanzi moderni, le collezioni senza fine di fumetti, le collezioni di storie del rock, del pop o del jazz. Oppure, propongo un altro gioco: cercate di indovinare quali di queste collezioni parziali o complete io abbia accumulato, prevalentemente nelle suddette soffitte (tra l’altro, mai una figura retorica è stata più aderente alla realtà, visto che le soffitte sono in alto, nel sottotetto).

La “terza gamba” del reddito dei giornali (dopo prezzo del giornale stesso e ricavi pubblicitari) oggi è data in maniera importante da queste iniziative sulle quali hanno lavorato generazioni di creativi e commerciali, per cercare di far girare con l’idea di un marketing “antico” concetti piacevoli e nuovi. Ai tempi d’oro valeva fino al 10% del fatturato di un giornale, oggi forse è sotto il 5% ma, con i chiari di luna di questi anni di depressione della vendita dei quotidiani, nessun amministratore e direttore sano di mente farebbe il gesto di “chiudere il rubinetto”. Anzi, tappare la falla nella diga e riportare i giornali ad essere semplici giornali.

Tre articoli da leggere per restare aggiornati
• Pubblicato da Marvel Comics nell’estate del 1991 e diventato il fumetto più venduto di sempre con oltre 8 milioni di copie, X-Men 1 fu il frutto di una strana miscela che tirava e spingeva, e affastellava storie editoriali e dinamiche distanti. Questa è la sua storia.
• Nel Tempo Medio in cui viviamo la quantità delle immagini che accumuliamo le rende inutili, senza costruire un discorso che ci arricchisca.
• 20 anni fa usciva Pluto di Naoki Urasawa. Un manga struggente e potentissimo.

Ricordate il Sole 24 Ore, con la sua lunghissima serie di racconti lunghi e romanzi estremamente brevi? Era un’idea geniale, perché consentiva di guadagnare di più con il minimo sforzo: i piccoli libretti di 80 pagine scarse costavano un’inezia, ma aggiungevano un paio di euro al prezzo del giornale. Ma il giornale di Confindustria ha pubblicato anche intere enciclopedia d’arte, di storia e addirittura di orologi, sovraccaricando pericolosamente i tavolini da caffè di decine di migliaia di case della piccola e media borghesia, del ceto imprenditoriale che vuol fare la sua figura con opere di pregio – tipo quelle pubblicate dalle Fondazioni delle banche – in bella mostra quando vengono gli amici. L’arredo ideale per la libreria dietro le spalle del direttore generale.

Oppure, ricordate la fenomenale serie di edizioni di libri fuori catalogo ma anche fuori dal diritto d’autore? Le infinite edizioni dell’opera di Emilio Salgari, ad esempio, trattato come il proverbiale maiale del quale non si butta via mai niente. Anche se poi vengono pubblicati sempre i soliti venti-trenta romanzi a fronte di un corpus molto più robusto di opere.

La mia dipendenza dai collaterali in edicola è seconda solo alla dipendenza dalle serie (Urania, nello specifico) e dalle riviste (poche, per fortuna, ma ogni volta che ne taglio una è come togliersi un dente senza anestesia). Oggi il volume di carta che entra in casa si è per fortuna fortemente ridotto. Non dico che sia scomparso (non lo è), ma ci sono segnali di un forte rallentamento. Occorre trovare un equilibrio sperando che un giorno, prima che sopraggiunga per me come per tutti il tristo mietitore e che le decine di scatole nelle varie soffitte finiscano direttamente su qualche bancarella, si possa raggiungere la vera omeostasi: per uno che entra, uno ne deve uscire. Certo, se non ci fossero i maledetti supplementi da edicola sarebbe più facile. Forse.

Antonio Dini, giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. La sua newsletter si intitola: Mostly Weekly.

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