di Ali Raffaele Matar

Quando il serpente è donna, l’uomo finisce immancabilmente per diventare preda: carne da assaggiare, tentare, deturpare. In principio, nella narrazione biblica, il peccato originale individuava il serpente come un essere senza sesso che, da perfetto tentatore mefistofelico, muta forma e genere in base alle circostanze e alle vittime del momento. Demonio o serpente, l’istigatore può apparire sulle scene come un affascinante uomo, un’ammaliante femme fatale o con le fattezze di qualunque altro essere che sia simbolo di scaltrezza. Nel folklore nipponico, invece, al serpente vengono perennemente attribuite solo e soltanto sembianze femminili.
Lo dimostra, tra i tanti, anche Kazuo Umezu, classe 1936, che da bravo erede della tradizione del kaidan – i popolari racconti del brivido su fantasmi, vendette e maledizioni – ha incentrato tutta la propria carriera di fumettista sulle storie dell’orrore, divenendone una sorta di guru. Per quanto prolifico in Giappone, la pubblicazione in Italia delle sue opere più rappresentative è avvenuta soltanto di recente, in particolare grazie a Star Comics che gli ha dedicato un’apposita collana, inaugurata nel 2019, la Umezz Collection, con titoli del calibro di Io sono Shingo, Baptism e Orochi.

Tuttavia, il modo più immediato e meno dispendioso per conoscerlo e assaporarne forma, stile e poetica, è quello di immergersi nei variegati racconti contenuti nel dittico Horror Theater, dato alle stampe nel 2022. Delle nove storie raccolte in questi tomi – originariamente pubblicate tra il 1964 e il 1983 su varie riviste dal target differente, da Shonen Sunday e Bessatsu Shojo Comics al magazine seinen Big Comic della Shogakukan – in ben quattro racconti ricorre il personaggio della donna-serpente.
Oltre all’ipnotico pezzo intitolato Il serpente (1975), contenuto fra le pagine del primo volume, tutto il secondo tomo si concentra interamente su storie dell’orrore con protagoniste ragazze perseguitate da donne serpente, tanto da apparire a tutti gli effetti come un monografico. Non a caso, in Francia, l’editore Lezard Noir ha pubblicato il secondo tomo di Horror Theater come un volume unico intitolandolo La femme-serpent (Hebi Shoujo).
Le storie di Umezu con protagoniste donne serpente, per quanto possiedano tinte orrorifiche, non raggiungono mai toni eccessivamente scabrosi o violenti, in quanto concepite negli anni Sessanta per un’audience di ragazze (come dimostra il nome della rivista di pubblicazione originale, Shojo friend). Decisamente diverse dalle donne serpente ritratte nelle storie di Kamimura Kazuo, in opere come Il parco dei cervi e Tredici notti di rancore, entrambe edite da Coconino Press, in cui questo archetipo femminile è reso nella sua versione più lasciva, brutale e soffocante, in quanto riprende, tra le peculiarità simboliche del serpente, non solo l’astuzia ma anche la lussuria e la spietatezza.

Rettili a parte, particolarmente degno di nota, tra le short stories di Horror theater, è il racconto più recente nonché più breve di tutti: Digiuno (Zesshoku, 1983). In sole sei pagine, questa chef-d’oeuvre presenta tutti i temi cardine più ricorrenti di Umezu: dall’ossessione femminile per il fascino e l’apparenza fisica all’inaspettato e macabro finale a sorpresa. Scioccata dal rifiuto del ragazzo di cui è innamorata, che le dice di essere troppo grassa per i suoi gusti, Tomoko decide di far ricorso al digiuno per cambiare aspetto. Dopo giorni di fame e sforzi, rendendosi conto di essere dimagrita, la ragazza si presenta al coetaneo che l’aveva allontanata e questi, non riconoscendola, decide di lasciarsi ammaliare dalla ragazza, la quale, per via della tremenda fame, finirà involontariamente per mangiarlo.
Iconica, pur nella sua concisa brevità, Zesshoku è stata scelta anni dopo dall’illustratore Hisashi Eguchi, celebre autore della commedia queer Stop! Hibari-kun, per un remake a fumetti, pubblicato tra le pagine del secondo numero tematico di Comic Cue (Cover version, 1996), nel quale a ogni artista era stato chiesto di reinterpretare in chiave personale un’opera di un particolare autore. La versione di Eguchi, leggermente più allungata, gode di un sapore più scenico rispetto alla versione originale di Umezu, e vanta uno stile di disegno più raffinato, come da consuetudine dell’illustratore, che non fa che risaltarne l’espressività, tanto che la Tomoko dimagrita di Eguchi appare più spregevole di quanto non fosse in origine.

Non è difficile capire perché un artista pop che predilige contenuti più patinati come Eguchi abbia scelto una short story dai toni cannibalistici. Umezu, in Giappone, è amato e riverito alla stregua di una leggenda vivente e viene costantemente omaggiato da artisti di ogni caratura, tra loro diversissimi. E, proprio da questa piccola gemma del manga horror, nel 2005 è stato tratto un omonimo film diretto da Tadafumi Ito, prodotto dalla storica casa cinematografica Shochiku, per celebrare il cinquantesimo anniversario del debutto professionale di Umezu, vero re del manga horror.
Articolo originariamente pubblicato su Diari di Cineclub 114 e qui riproposto in una versione editata.
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