x

x

RubricheAnd So What?L'anno in cui è morto James Bond

L’anno in cui è morto James Bond

Pensiero critico e laterale attorno a quell'incrocio molto trafficato fra cultura, tecnologia e mercato. "And So What?", una rubrica di Fumettologica a cura di Antonio Dini. Il giovedì, ogni 15 giorni.

james bond daniel craig
L’attore Daniel Craig nei panni di James Bond

L’anno in cui è morto James Bond è l’anno in cui ha compiuto 70 anni. Ma non preoccupatevi, perché, salvo terze guerre mondiali (provocate da un cattivo che sembra uscito direttamente dalle pagine di un romanzo della serie, peraltro), sicuramente ripartirà. Chissà con quale faccia questa volta, però. La storia di James Bond, che è poi l’archetipo dell’agente segreto “al servizio di Sua Maestà” (morta pure quella) è una storia strana. È un personaggio letterario, ma tutti noi lo conosciamo per le incarnazioni cinematografiche, anche se dodici romanzi e due raccolte di racconti formano la base del suo mito (ci torno tra un attimo).

James Bond è stato inventato come forma di terapia anti-noia e anti-demoni personali da un signore britannico, Ian Fleming, che è morto prima che Bond diventasse il fenomeno planetario che tutti conosciamo, e che con il suo personaggio condivide un profilo da agente segreto. Fleming (1908-1964), figlio di un parlamentare britannico, educato nelle migliori scuole inglesi e poi nei migliori college europei (Svizzera e Germania, soprattutto), lavorò durante la Seconda guerra mondiale nell’Intelligenza della Marina britannica. Fu l’eroe che avrebbe poi raccontato, entro certi limiti. E proprio la sua conoscenza di meccanismi e mondi arcani – assieme a una buona dose di noia – lo spinse a scrivere la prima esplorazione letteraria per una penna già arguta e amata come giornalista colto di reportage.

James Bond, agente segreto con la licenza di uccidere numero 007, nacque così: per caso, durante un gennaio passato nella villa in Jamaica chiamata Goldeneye (poi la villa è stata usata da Daniel Craig nell’ultimo No Time to Die, una specie di cameo postumo). Alcune storie dicono che Fleming già durante la guerra aveva l’aspirazione di scrivere «la storia di spie definitiva che finirà tutte le storie di spie», altre che non sapesse cosa fare in quel fatidico gennaio del 1953.

Certo è che, dopo la guerra, il genere dello spionaggio, in voga già dall’inizio dell’Ottocento, era diventato un filone proficuo. Fleming, che non scriveva per l’arte ma da buon artigiano della macchina per scrivere cercava il prezzo migliore che potesse trovare, riteneva di essere davanti a un mondo potenzialmente molto ricco.

james bond sean connery
Sean Connery interpreta James Bond nel film “Agente 007 – Licenza di uccidere” del 1962

Il suo James Bond nacque con l’idea di avere un nome banale (quello di un ornitologo), un aspetto piuttosto piatto (era ispirato all’attore Hoagy Carmichael), ma con un qualcosa di freddo e spietato in fondo allo sguardo. Soprattutto, era un potpourri di agenti segreti, attori, avventurieri, soldati dei corpi speciali e altre creature che Fleming aveva conosciuto durante il servizio militare in tempo di guerra. Da ufficiale di Marina aveva comandato – senza partecipare alle azioni – unità che si occupavano di incursioni e sabotaggio oltre le linee del nemico. E aveva cominciato a costruirsi in mente l’idea di racconti che mettessero assieme le storie da circolo ufficiali che si raccontavano la notte, magari in attesa dei risultati di un’operazione in corso dall’altro lato della Manica.

Bond, James Bond, come lo conosce il mondo, nacque sulla carta del racconto ma ci restò poco. Fleming scrisse storie una volta all’anno fino alla sua morte (nel 1964). Storie che furono pubblicate con grande successo prima nei paesi di lingua inglese e poi in tutto il mondo. I film arrivarono dopo, e lui fece appena in tempo a vedere il successo di quello che in Italia conosciamo come Agente 007 – Licenza di uccidere ma il cui titolo originale è Dr. No, e di A 007, dalla Russia con amore (in inglese più sobriamente From Russia With Love). Il terzo, Agente 007 – Missione Goldfinger (in originale Goldfinger) uscì l’anno della morte di Fleming. Il successo però già c’era stato, e non si deve alla coppia di produttori Saltzman-Broccoli o al fascino di Sean Connery, un giovane modello scozzese alla sua prima, importante prova cinematografica (dopo un paio di B-movie dimenticabili).

Invece, furono i romanzi di carta ad affascinare per circa un decennio il pubblico mondiale, e furono trasposti in serie televisive, radiodrammi, strisce quotidiane per i giornali. Ci sarebbero stati anche i videogiochi, ma ovviamente molto, molto tempo dopo (però avrebbero fatto la storia lo stesso: il Goldeneye per Nintendo 64 del 1997 è una tappa storica nell’evoluzione del genere videoludico).

Poi, a partire dal 1962, cominciarono i film che, dopo venticinque titoli, hanno portato nelle casse di Eon Productions circa 7 miliardi di dollari in totale, cioè il quinto più grande franchising cinematografico di sempre. Nonché l’orgoglio del Regno Unito, che celebra James Bond come un eroe nazionale, al punto di averlo messo al servizio della vera regina Elisabetta durante la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Londra del 2012 (con scene fantastiche dell’attore Daniel Craig che la accompagna in elicottero).

Il tema vero e più profondo di James Bond è che di certo non è il primo ma sicuramente è l’ispiratore di molti, perché ha toccato con fermezza e precisione il cuore magmatico del mondo dello spionaggio. Ci sono tante alternative, certo, nell’immaginario collettivo. Nell’Ottocento, quando andavano di moda i bei tenebrosi e i cattivi a tutti i costi (alla Fantomas e alla Arsenio Lupin, per intenderci), l’idea della letteratura seriale aveva già preso la forma non più solo del romanzo di avventura ma anche di spionaggio, come “gioco supremo” che rispecchiava in forma letteraria le ansie di un grande impero sotto il triplice attacco del nuovo impero (gli USA), del mondo che non lo voleva più (le colonie) e dei nemici alle porte (Germania e Russia, ma anche la Cina).

La terapia di Fleming, che cercava di svuotare la mente dalle sue ossessioni rendendole funzionali e quindi produttive, creatrici, si sovrappose all’inconscio collettivo della società britannica e ai suoi timori, alla sensazione di vuoto a cui si oppongono solo pochi uomini geniali. Mentre noi, dal di fuori dei confini del Regno Unito, percepiamo solo il James Bond del jet-set, che viaggia in luoghi esotici, beve, fuma, vive al di sopra dei suoi mezzi (si presume con i soldi dei contribuenti) e ama intensamente donne che conquista e poi abbandona con una facilità estrema, per gli inglesi c’è molto di più. James Bond è l’ultimo uomo bianco che vigila sull’impero sempre più ripiegato su se stesso. È la virilità britannica delle scuole di élite che si scontra e domina un mondo fatto di nemici spaventosi ed etnicamente molto definiti (cinesi, svizzeri, austriaci, italiani, indigeni di altre parti del mondo).

Nonostante le sue contraddizioni culturali e il suo essere pochissimo politicamente corretto, la genialità del James Bond cinematografico sta nelle sue costanti palingenesi: come la fenice, o meglio come il Doctor Who, a ogni crisi segue una rinascita e un nuovo attore che lo impersona, allontanandolo da una storia non più socialmente accettabile e risintonizzandolo con il mondo a lui contemporaneo in quel momento.

Sean Connery, George Lazenby, Roger Moore, Timothy Dalton, Pierce Brosnan, Daniel Craig: questo gruppo di attori anglofoni (non tutti inglesi) hanno definito l’estetica del glamour capitalistico. Nei decenni, dal 1962 al 2021, i film di James Bond sono stati anche un clamoroso veicolo per il product placement: Rolex e Omega, ma anche Seiko, hano giocato una parte importante per quasi un decennio, assieme a Tag Heuer e soprattutto a Gruen, che Sean Connery indossava sotto il polsino dello smoking dopo aver rimesso a posto il Rolex Submariner da incursore della Marina.

E poi le automobili, le location esotiche, le danze, le popolazioni più lontane viste sul serio (e non ricostruite con delle quinte a Hollywood o nei teatri di posa di Londra), i cocktail Martini, i casinò, le canzoni, le spettacolari sigle iniziali nelle quali si sono confrontati decine di artisti e che hanno aiutato a capire anche i meno brillanti tra gli studenti di cinema che la settima arte è in realtà fatta della materia dei sogni. I film di James Bond sono stati e sono tutt’ora un clamoroso catalogo dell’Occidente, con tutti i suoi flirt e le sue contraddizioni.

Avveniristici ed esotici come una Expo universale su grande schermo, complicati come un racconto di un cantastorie che diventa saltimbanco e fenomeno da baraccone, pieni di così tante sospensioni dell’incredulità da far volare anche una montagna. E, infine, l’agente segreto nato “uomo” con Sean Connery e tornato a esserlo con Daniel Craig è soprattutto un personaggio letterario potente e benissimo scritto da Ian Fleming.

007 goldfinger ian fleming adelphi

A questo punto vale la pena citare il lavoro – che sarebbe da encomiare se non si fosse quasi fermato – di Adelphi: la casa editrice milanese da quasi un decennio sta pubblicando in nuova traduzione (brillante e ben fatta) i romanzi originali. È una vera riscoperta, perché in Italia erano arrivati tagliati e mal tradotti. Solo che si procede un po’ lentamente: in undici anni siamo arrivati solo a dieci libri, contando un corpus di 17 volumi in tutto.

Gli ultimi pubblicati sono La spia che mi ha amata (il romanzo più sperimentale di Fleming, uscito a ottobre 2021) e Solo per i tuoi occhi (uscito nel 2022). Abbiamo già visto uscire il primo, l’ottimo Casinò Royale, poi Vivi e lascia morire, l’avventuroso Moonraker, lo splendido I diamanti sono per sempre, il tragico Dalla Russia con amore, il memorabile Il dottor No e la doppietta incredibile di Goldfinger e Thunderball. Romanzi molto godibili e profondamente diversi da quelli che invece sono i film e l’immagine universale di James Bond, che valgono da soli la lettura del ciclo completo.

James Bond ha avuto influenze e ha figliato, lo abbiamo detto. Ci sono dentro un po’ tutte le cose: riferimenti, concorrenti, imitatori, giovani avversari che hanno cambiato il modo con il quale si tratta lo spionaggio. I grandi autori che hanno fatto la concorrenza a Ian Fleming (morto come abbiamo detto relativamente giovani e molto tempo fa), sono i colossi del mercato dei best seller, una cosa nata a cavallo della Seconda guerra mondiale e terminata in qualche modo alla fine del primo decennio del nuovo millennio. Sono autori come John Le Carré (che come Fleming aveva fatto davvero la spia), Robert Ludlum (il padre di Jason Bourne), Ken Follett (il più giovane e più prolifico), Frederick Forsyth e Tom Clancy. Ma si sono cimentati nel genere anche autori come Wilbur Smith da un lato e Ian McEwan dall’altro, che con Miele ha scritto una delle più belle spy story di sempre.

E poi ci sono i grandissimi autori di serie B, quelli che hanno fatto della produzione seriale la loro cifra esistenziale oltre che professionale. Jean Bruce, che ha creato il suo personaggio Hubert Bonisseur de la Bath cioè OS 117, Frederick Dard, ideatore del commissario San-Antonio (ma all’inizio era un agente del controspionaggio nella Francia occupata), Donald Hamilton, con il suo Matt Helm, Gérard De Villiers, creatore del principe austriaco Malko Linge, aka SAS, Sua Altezza Spia (nell’originale un gioco di parole tra Son Altesse Sérénissime e lo Special Air Service britannico).

Lo spionaggio, il gioco dei giochi, l’invenzione che Faraoni e Imperatori romani usavano per gestire i loro regni e imperi, a cavallo tra Otto e Novecento era diventato importantissimo. Ma fu solo con la Guerra fredda, cioè la guerra combattuta per procura (Indocina, Corea, Vietnam) ma soprattutto la guerra combattuta di nascosto dagli agenti segreti, che questa funzione si trasformò. L’agente segreto divenne un incrocio tra la Mata Hari che va nei salotti del potere e l’assassino che si infiltra fra le linee del nemico per uccidere un bersaglio importante.

James Bond ha intercettato e fatto suo tutto questo. A 70 anni è una icona, un prototipo di veterano (un James Bond novellino non avrebbe molto senso) che deve reinventarsi ancora una volta. È diventato glamour, divertente, surreale, cattivo, violento, elegante, bellissimo (non in questo ordine) sul grande schermo. E adesso, che prenda le fattezze di Idris Elba, Tom Hardy o di un altro attore, sarà ancora un personaggio al centro di una delle più colossali macchine dello spettacolo. Che reinventano un pugno di storie per parlarci delle ossessioni di un uomo e della nostra società.

Antonio Dini, giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. La sua newsletter si intitola: Mostly Weekly.

Leggi tutte le puntate di And So What?

Entra nel canale WhatsApp di Fumettologica, clicca qui. O seguici su Threads, Telegram, Instagram e Facebook.

Ultimi articoli

L’ultimo contributo di Akira Toriyama a Dragon Ball

Toyotarō, l'autore di "Dragon Ball Super", ha rivelato sui propri canali social qual è stato l'ultimo contributo al manga di Akira Toriyama.

Un corto animato inedito di Spider-Man, da vedere gratis online

È disponibile gratis online un corto animato inedito di Spider-Man, ambientato nell'universo dei film con protagonista Miles Morales.

“Orazio Brown”, il vecchio West secondo Giuseppe De Nardo e Bruno Brindisi

La casa editrice Green Moon Comics ripubblica i fumetti western di Giuseppe De Nardo e Bruno Brindisi con protagonista Orazio Brown.
Ads Blocker Image Powered by Code Help Pro

Ads Blocker Rilevato!!!

Abbiamo rilevato che stai utilizzando le estensioni per bloccare gli annunci. Il nostro sito è gratuito e il lavoro di tutta la redazione è supportato dalla pubblicità. Supportaci disabilitando questo blocco degli annunci.

Powered By
Best Wordpress Adblock Detecting Plugin | CHP Adblock