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Mondi POPAnimazionePeter Pan, la costruzione di un classico Disney

Peter Pan, la costruzione di un classico Disney

peter pan disney

Da ragazzini, Walt Disney e suo fratello Roy svuotarono due salvadanai pur di assistere alla rappresentazione teatrale di Peter Pan che una compagnia itinerante aveva portato a Marceline, la briciola del Missouri in cui viveva la famiglia Disney. La fiaba del ragazzo che non voleva crescere, inventata da J.M. Barrie agli inizi del Novecento, fu una delle storie che si incise nella memoria di Walt Disney tanto da spingerlo prima a interpretare il ruolo di Peter in una recita scolastica e poi, da adulto, a produrne l’adattamento animato, condividendo quel ricordo con il mondo e facendolo diventare una memoria e un’ispirazione per generazioni di spettatori.

Adattare Peter Pan per il grande schermo era un obiettivo che Disney aveva fin dai tempi di Biancaneve e i sette nani. La storia di Peter Pan – personaggio creato dallo scrittore britannico J. M. Barrie nel 1902 e comparso per la prima volta nel romanzo L’uccellino bianco – era perfetta per lo schermo in generale e per l’animazione in particolare.

La trama è incentrata sull’incontro fra tre fratelli di Londra (Wendy, Gianni e Michele) e lo stesso Peter Pan, un ragazzo che non vuole diventare grande, capace di volare grazie alla polvere della fatina Campanellino (che nell’adattamento italiano del film diventerà Trilli). Peter porterà i tre sull’Isola che non c’è, luogo dove i bambini non crescono mai. Lì faranno la conoscenza delle creature che popolano l’isola ma soprattutto dell’arcinemico di Peter, il pirata Capitan Uncino.

Rappresentate a teatro, le tante invenzioni di Barrie, da Campanellino a Nana passando per le ambientazioni immaginifiche, dovevano fare i conti con i limiti di quella forma d’arte. E nemmeno il cinema dal vivo era riuscito a fare di meglio: un fortunato film muto del 1924 aveva portato sul grande schermo il libro di Barrie con effetti speciali allo stato dell’arte, per l’epoca, ma solo l’animazione avrebbe potuto rendere giustizia al testo di partenza.

Nel 1939, due anni dopo l’uscita di Biancaneve, Disney si assicurò i diritti di Winnie the Pooh, Il vento tra i salici e proprio Peter Pan. Diede poi mandato esplorativo a Dorothy Ann Blan, sceneggiatrice che si occupò – come era avvenuto per Bancaneve e i sette nani – di redigere un trattamento e analizzare storia e personaggi per capire in quale direzione sarebbe potuto andare un potenziale adattamento.

peter pan wendy disney

Nel frattempo, l’illustratore David Hall fu messo a lavorare sullo sviluppo visivo, immaginando le atmosfere del film, inizialmente più oscure e sinistre. L’autore rappresentò i principali momenti della storia ispirandosi allo stile europeo di Arthur Rackham, che aveva illustrato Peter Pan nei Giardini di Kensington, e a quello di Howard Pyle, noto soprattutto per le sue illustrazioni di pirati a cui viene accreditata la paternità dell’abbigliamento da pirata moderno, sgargiante e influenzato dagli abiti gitani.

Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, il lavoro sulla storia di Peter Pan fu prima fermato per «fare spazio» al documentario propagandistico Victory Through Air Power, come raccontò una pubblicazione interna dello studio, e poi bloccato insieme al resto delle produzioni. Lo sviluppo riprese solo alla fine degli anni Quaranta, questa volta con il contributo di Mary Blair, il cui vivido senso del colore influenzò la versione finale della pellicola, come già era successo per Alice nel paese delle meraviglie e Cenerentola.

Prendendo spunto da Peter Pan nei giardini di Kensington, gli autori realizzarono una prima versione in cui veniva mostrata la nascita di Peter Pan e il suo arrivo sull’Isola che non c’è. Disney cassò l’idea perché voleva entrare nel vivo della storia e gli sembrava che le origini del protagonista fossero soltanto un lungo prologo senza scopo narrativo.

Nonostante un’iniziale presenza attiva di Disney (fu lui che ruppe con la tradizione di far interpretare Peter Pan a una donna e pretese che fosse un maschio, forse per esaudire in contumacia il desiderio che aveva avuto da bambino di vestirne i panni, e tentò di assoldare Cary Grant per la voce di Capitan Uncino), il mogul si allontanò dal film lasciandolo nelle mani dei suoi collaboratori più fidati. Alla fine di una presentazione di una prima versione della storia, durata due ore, Walt tamburellò le dita dicendo «sapete… sto pensando a Cenerentola». 

capitan uncino

Lo studio si stava infatti dividendo la produzione di più film allo stesso tempo ma se, prima della guerra, Disney imponeva la sua visione e districava le dispute, ora era egli stesso incerto e dubbioso. Frank Thomas, che animò Capitan Uncino, ammise che Walt non sapeva scegliere se il personaggio dovesse essere un cattivo sopra le righe o una minaccia temibile, e lasciò scegliere a Thomas.

Inizialmente, gli autori modellarono Capitan Uncino sulla versione minacciosa che ne aveva dato l’attore Ernest Torrence (nel film muto del 1924), salvo poi trasformarlo in un damerino sopra le righe, per farlo meglio interagire con il coccodrillo – il ragionamento era che se Uncino fosse stato troppo serio, le scene comiche e slapstick avrebbero stonato con il contesto. Quando vide le prime scene animate, Disney disse a Thomas: «Penso tu sia nella direzione giusta». Era un cambio di rotta importante rispetto all’uomo che tempo prima sudava sopra ogni fotogramma dei film e ora li lasciava che crescessero senza controllo.

Al film lavorarono i più importanti animatori dello studio, tra cui Marc Davis (Trilli), Ollie Johnston (Spugna) e Milt Kahl (a cui furono affidati Peter e i Bimbi Sperduti). Quello di Peter era un ruolo ingrato, perché era il protagonista eroico, e la parte andava animata come un attore l’avrebbe recitata: dritta, realistica, senza concessioni alla commedia o all’esagerazione.

Per portare in vita quel tipo di personaggi, bisognava essere disegnatori molto bravi e soffocare ogni velleità esibizionista. A Kahl veniva spesso assegnata la supervisione di quei personaggi (Geppetto, il principe Filippo, Biagio) che lui accettava, non senza lamentarsi, per senso dell’orgoglio e per far vedere ai colleghi quanto fosse bravo. «Le proporzioni di Peter Pan sono tutto» ha scritto l’animatore Andreas Deja (Aladdin, Il re leone, Lilo e Stitch). «Un po’ più di realismo e sarebbe stato un personaggio sterile. Un po’ più cartoonesco e avrebbe perso di credibilità. Milt sapeva come trovare il perfetto equilibrio.»

Peter Pan, disegnato da Milt Kahn, dal sito Deja View

Dalla parte opposta dello spettro ci stava il ruolo succoso ed estroverso di Uncino. Lo animò Frank Thomas, realizzando una delle prove migliori della sua carriera: nelle espressioni e nel linguaggio corporeo, Uncino sa essere un damerino buffo ma anche un sadico; nelle scene dove elabora il suo piano o decide il da farsi, lo spettatore lo vede pensare, dimenticandosi di star guardando dei disegni che si muovono a ventiquattro fotogrammi al secondo.

Com’era d’abitudine, il gruppo di lavoro girò molte scene con attori dal vivo, per avere un riferimento su cui basare le animazioni, senza però ricalcare pedissequamente i movimenti del girato (il cosiddetto rotoscoping). Un tempo fondamentali per la buona riuscita del film, le scene dal vivo stavano però diventando sempre di più un’ispirazione e meno un riferimento da seguire alla lettera, specie nel caso di Peter Pan, che era interpretato nelle scene d’azione da Roland Dupree, ballerino la cui figura troppo muscolosa non si adattava al design esile di Peter.

Come scrissero Frank Thomas e Ollie Johnston nel manuale Disney Animation: The Illusion of Life, «quando iniziammo a lavorare su Peter Pan, eravamo ormai in grado di prendere le distanze dalle riprese dal vivo, trovavamo i punti deboli delle scene e le ripensavamo usandole semplicemente come trampolino di lancio».

Costato 4 milioni di dollari (la cifra più alta fino ad allora per una produzione animata Disney), spalmati su tre anni di lavoro, Le avventure di Peter Pan fu un grande successo di pubblico e critica. Una recensione pubblicata all’epoca sul Corriere della Sera affermò che «poche volte Disney ebbe così propizia occasione di spezzare i ceppi del concreto e di spaziare nell’irreale».

«È difficile trovare dei difetti in Peter Pan» scrisse invece Leonard Maltin nel libro del 1973 The Disney Films. «È uno dei film Disney più diretti e brillanti, un film in cui tutto funziona.» Il giudizio di Maltin è forse fin troppo generoso. Le avventure di Peter Pan è un film con una trama evanescente e che vive di sequenze. Aspetto comune a molti film animati Disney, in questo caso anche per via della modalità di produzione: per accelerare i tempi, Disney obbligò i realizzatori a lavorare sulle singole sequenze prima ancora di aver scritto tutta la sceneggiatura.

peter pan capitan uncino disney

Il risultato fu un film illuminato da grandi momenti, che però dialogano poco tra di loro, e su cui aleggia l’ombra di passaggi critici: la rappresentazione dei nativi americani sarebbe degradata da lì a pochi anni, per non parlare di una scena in cui Peter Pan si gode le violenze che Wendy subisce per mano delle sirene, gelose della ragazza.

Poi, certo, il lavoro sull’estetica, il design, la recitazione dei personaggi, le canzoni, e alcuni temi cardini (come la riflessione sul ruolo di adulti e bambini, su come vengano rappresentati e su come entrambe le categorie spesso adottino, nel bene e nel male, comportamenti l’uno dell’altro: l’adulto Capitan Uncino è in realtà infantile, mentre Peter Pan è una figura paterna per i Bimbi Sperduti) elevarono il film facendolo diventare un classico, ma Disney stesso ammise di essersi sentito intrappolato dalla reputazione letteraria del testo e di non averlo “disneyficato” in maniera libera. Gli fu anche difficile «trovare l’elemento emotivo in Peter Pan. Non credo di esserci riuscito. C’è molta avventura, ma si fa fatica a immedesimarsi in Peter Pan».

Nel 1968, Richard Schickel scrisse The Disney Version, uno dei primi libri a criticare duramente l’operato di Disney, in cui rilevava proprio questo problema, che opere letterarie canonizzate come Alice e Peter Pan nelle mani di Disney diventavano «proprietà intellettuali che andavano rimpolpate con canzoni e gag e sentimentalismi. Non c’erano obblighi nei confronti del testo originale. Non era più il Peter Pan di J.M. Barrie ma il Peter Pan di Walt Disney».

Al netto delle lacune, Le avventure di Peter Pan è stato l’ennesimo tassello nella costruzione del mito disneyano. È rimasto un film molto amato dal pubblico e, attraverso Disney o altri cineasti, ha continuato a vivere sullo schermo, cercando sempre una quadra tra la magia della storia e la contemporaneità del suo messaggio.

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