
Il sogno di molti tra quelli che leggono fumetti è fare fumetti. Il disegno attrae tutti noi appassionati fin da bambini, perché ispira la creatività e le storie ci piacciono: è bello ascoltarle e leggerle, ma è anche bello raccontarle a nostra volta. A parte i pochi che effettivamente ne fanno una professione, tutta la fan fiction e la maggior parte dei comportamenti degli appassionati che nascono dalla cultura pop vanno in quella direzione: l’imitazione legata al desiderio mimetico di diventare l’oggetto del proprio godimento. Ci sono tantissimi fili che si legano insieme e interi dipartimenti universitari che studiano il fenomeno da molto tempo.
Non ci sono regole scolpite nella pietra per analizzare questi comportamenti: le attività sociali sono per definizione mutevoli e cangianti perché cambiano con l’evolvere della cultura sociale di un determinato periodo storico. Dopotutto, chi studia questi fenomeni lo fa all’interno di discipline umanistiche “soft”, come la sociologia, l’economia, i cultural studies e via dicendo, non scienze esatte come la fisica, la chimica o la biologia. Quindi, sì: sono fenomeni studiati ma anche molto volatili nel corso del tempo. Le cose non durano per sempre.
È particolarmente vero se pensiamo che vicino a noi c’è un punto di discontinuità che conosciamo tutti e che separa le generazioni presenti da quelle passate: Internet. Quando è arrivato è cambiato tutto: la rete delle reti ha messo in corto circuito la società precedente. Ieri le biblioteche erano il posto per trovare le informazioni, oggi YouTube è il posto dove cercare le istruzioni per aggiustare il soffione della doccia o imparare a programmare la nuova lavatrice. TikTok e Instagram definiscono le estetiche dei gruppi e i loro comportamenti sociali (avete presente le challenge?). Facebook e Twitter valgono più dei giornali per restare informati, anche se poi le informazioni non sono buone. E via dicendo. A ogni social, soprattutto se visivo, si può associare una serie di attività che arricchiscono e cambiano quel che c’era prima.
Poi ci sono gli strumenti per la comunicazione: di gruppo o singola, sincrona o asincrona, da Twitter a Whatsapp fino a Reddit. Ancora, poi ci sono – e hanno un ruolo fenomenale – gli strumenti software che hanno eroso moltissimo le barriere alla difficoltà per produrre le cose, tra cui le illustrazioni e quindi i fumetti (che di questo tipo di ambito artistico-culturale sono un sottoinsieme). Grazie a tablet e software non solo si disegna “con il computer” o in tecnica mista, ma si fa come è accaduto quasi due secoli fa con l’avvento della fotografia. All’epoca, si temeva che la pittura scomparisse, ma non è andata così: la fotografia dell’Ottocento e primi del Novecento non ha sostituito la pittura e il disegno. Tuttavia, li ha cambiati per sempre, aprendo la strada all’arte astratta, concettuale o comunque slegata dal bisogno di documentare il mondo, che è diventato appannaggio di molti fotografi.
Allo stesso modo, oggi il software e le tavolette grafiche e i programmi vettoriali hanno trasformato prima di tutto i pittori e gli illustratori. Oggi non c’è artista della penna o del pennello che non abbia fatto i conti con la dimensione visiva della rappresentazione fotografica. E, anche se questi artisti si esprimono in maniera completamente analogica, hanno incorporato (se non altro per superarli) gli elementi della tecnologia digitale per l’illustrazione. Alla fine sono linguaggi diversi ma che si ibridano.
Rimane centrale la persona, l’individuo. Basta Illustrator o Photoshop o un iPhone per fare sì che chiunque sia un artista? La risposta ovviamente è no: gli strumenti moderni sono più democratici e facili da usare, ma anche la matita e il gessetto erano strumenti democratici e facili da usare, una volta fatta la mano. Oppure no? E comunque, l’intelligenza artificiale è in grado di trasformare chiunque, anche una persona senza alcun gusto e competenza, in un artista semplicemente chiedendo a ChatGPT: «Ehi, scrivimi una storia di Superman contro Paperino». E poi a Midjourney: «Ehi, disegnamela?». Basta veramente questo, oppure viene fuori una schifezza?
La sto prendendo molto, molto larga, come avrete capito, perché sto andando in una direzione che richiede un po’ di premesse. E la direzione è quella dell’intelligenza artificiale. Uno strumento plurale (ne esistono di tipi molto diversi per fare cose molto differenti) che sta cambiando in questi mesi le carte in tavola in talmente tanti ambiti che è difficile fare una lista. Tuttavia, stiamo capendo che il cambiamento avviene adesso perché gli strumenti basati sull’intelligenza artificiale sono giunti non solo a un livello di maturità ma anche di diffusione tramite Internet e i dispositivi smart che permette di usarli in maniera pervasiva.
Finalmente arriviamo alla domanda che, per chi è appassionato di fumetti, diventa: «Quindi ora finalmente chiunque può creare da zero il suo fumetto, usando ChatGPT e Dall-E o MidJourney, anche se non sa scrivere e non sa disegnare, o almeno una delle due?». Scrivere e disegnare il nostro “Superman-v-Paperino” automaticamente, anche se a chiederlo è un bimbo di cinque anni? La risposta, in una parola, è «no». Almeno, secondo me. Ma possiamo anche provare a spiegare perché.
Intanto, mi contraddico subito. Tecnicamente è certamente possibile farlo. Si può usare un’intelligenza artificiale di tipo conversazionale per creare il soggetto, la trama, il trattamento, la sceneggiatura, i dialoghi e tutto quel che serve a raccontare una storia a fumetti. O anche solo una parte, magari quella che viene meno bene o richiede più tempo e fatica all’autore. E, simmetricamente, si può usare Dall-E, Midjourney o altri strumenti analoghi per creare la parte visiva del fumetto. Magari partendo da una propria storia, oppure usando quella creata precedentemente con ChatGPT e i suoi fratelli.
O, terza via (molto intrigante), si possono anche mettere in collegamento le due metà, cioè quella che produce la storia testuale e quella che produce la storia visiva, facendo in modo che si “aumentino” a vicenda e generino un prodotto finito pronto per essere pubblicato, magari solo sul web. Un “Superman-v-Paperino” totalmente automatico.
Si può fare ma il problema è che non funziona così. Nel senso: gli strumenti possono farlo, il problema è l’utente, cioè siamo noi. Un paio di esempi permettono di capirlo, ma il concetto di base è che occorre una doppia competenza, a mio avviso, per poterlo fare. Prendete la calcolatrice, anche quella meccanica con il foglietto di carta che viene su man mano che si fanno le somme o le sottrazioni.
Prima dell’invenzione della calcolatrice meccanica, i calcoli per la contabilità venivano fatti da stuoli di contabili. Il commercialista o l’attuario erano figure brave a gestire questo tipo di operazioni senza fare errori. La calcolatrice ha azzerato la capacità manuale di fare i conti (che non è affatto scontata) ma non ha reso inutili i commercialisti. Perché questi ultimi si muovono a un livello di astrazione più alto che richiede un bagaglio di competenze e conoscenze più sofisticato. Non è tanto il fare i conti, quanto il conoscere i principi della contabilità, il saper leggere e gestire le cifre, più che manipolarle.
Uno scrittore, ma anche un giornalista come nel mio caso, non ha solo competenze sull’uso della penna a sfera o della tastiera, oppure una conoscenza (più o meno nozionistica) della grammatica e della sintassi. Se anche non deve scrivere un articolo, ha una serie di competenze a un livello di astrazione maggiore. Un articolo scritto da un giornalista (in teoria) rispetta una serie di requisiti sia stilistici che contenutistici, è fatto in maniera tale da raggiungere certi obiettivi di comunicazione, di completezza dell’informazione, di notiziabilità. È una scrittura tecnica, non tanto artistica, ma la stessa considerazione si può azzardare per un racconto o un romanzo: il narratore è necessario anche se non scrive lui la storia ma semplicemente la modella. Perché serve la competenza dell’architetto, più che quella solo artistica. La struttura, il gusto, la partizione dell’opera.
Un altro punto di vista: il direttore d’orchestra. Non suona nessuno strumento, eppure è lui (eventualmente assieme al solista) che interpreta con la sua sensibilità l’opera del compositore che viene materialmente suonata dai maestri dell’orchestra. Certo, ognuno porta il suo contributo e la sua sensibilità, ma l’insieme si trasforma in una proiezione ed espressione del direttore e della sua sensibilità musicale.
Si possono fare molti esempi di questo tipo, alcuni convergenti, altri divergenti rispetto all’idea che sto cercando di spiegare, ma in generale il concetto è questo. Per molte attività di creatività artistica con una forte componente anche professionale e manuale (la pratica della scrittura seriale, il disegno), si fa di solito fatica a distinguere tra le competenze della prima componente rispetto a quelle della seconda. Ma la differenza esiste. E va notata perché, se pure l’intelligenza artificiale è capace di sostituire il lavoro della parte più “artigianale” (la scrittura, il disegno), la gestione di tutto questo, la regia o la conduzione richiede una competenza su quel che si sta facendo.
Prima di tutto perché le AI in questo momento non hanno la capacità e la complessità di fare di più, e quindi devono essere costantemente monitorate e guidate. E poi perché comunque il lavoro fatto dallo strumento è di aiuto e integrazione e non di sostituzione. Ci vuole un buon autore per pulire e ripulire la storia sino ad arrivare a una versione che funziona, una iterazione con la AI dopo l’altra. E ci vuole un illustratore per trovare una prospettiva interessante, una campitura della tavola che comunichi qualcosa, una cromìa azzeccata, un tratto soddisfacente.
Su Twitter e gli altri social circolano immagini spettacolare fatte da Midjourney o altri analoghi, e la sensazione è che noialtri comuni mortali non potremo mai fare qualcosa del genere. Intanto, però, sono le selezioni migliori di decine e decine di prompt generati e scelti da persone che hanno capito il ragionamento logico e analitico, cioè lo strumento che si usa per costruire il prompt, ma che sono al tempo stesso persone che hanno gusto e cultura visiva, spesso anche competenze di disegno e illustrazione.
Come all’inizio della vita di Instagram, quando emerse un primo gruppo di utenti sconosciuti e apparentemente “qualunque”, che postava foto “bellissime” (e faceva un sacco di follower) salvo poi capire che si trattava di anonimi sì ma comunque fotografi professionali, gente che aveva studiato fotografia, magari faceva per lavoro matrimoni o foto pubblicitarie e industriali. Anonimi dal punto di vista artistico ma tecnicamente molto competenti e con una capacità autoriale nettamente superiore a quella di chi non era neanche appassionato ma semplicemente faceva foto con un telefonino un po’ a casaccio (come la maggior parte di noi).
Ecco, questa idea che “andando a casaccio” sia possibile fare qualsiasi cosa, incluso un fumetto da zero, grazie all’aiuto dell’intelligenza artificiale, è completamente sbagliata. Un discorso è il dilettante, che non è professionalmente di successo o non è un artista, ma ha comunque studiato e assimilato in qualche modo le competenze magari semplicemente perché le ha studiate ed esercitate per lavoro. Un discorso completamente diverso è la folla degli utenti che non sa fare assolutamente niente, non ha talenti particolari (esiste l’eccezione, certo, ma c’è anche chi vince la lotteria, però non fa media) tuttavia pensa, questa folla di utenti, che con lo strumento giusto possa “magicamente” conquistare il mondo e far vedere al mondo sua creatività. Inesistente, in realtà.
Questa idea, o meglio questo equivoco di fondo, è quello che fa vendere milioni di chitarre ad aspiranti Segovia e Jimi Hendrix ogni anno, che faceva comprare macchine fotografiche sempre più facili da usare (automatizzate dall’intelligenza artificiale) e poi telefonini con un solo pulsante virtuale (quello dello scatto) perché così le aziende non “spaventano” gli acquirenti di fotografia, che si sentono tutti dei piccoli Henri Cartier-Bresson.
Fare fotografia è diventato estremamente facile dai tempi della pellicola e prima ancora da quelli delle lastre di vetro su cui spalmare il liquido sensibile tenendo un telo nero sulla testa. E con il digitale prima e l’intelligenza artificiale poi è diventato sempre più facile, con l’obiettivo di vendere più apparecchi perché anche quelli meno capaci e meno dotati si sentono finalmente liberi di provare a scattare delle immagini.
Nell’era di Instagram e TikTok, dove si vedono ogni giorno fenomeni che fanno qualsiasi cosa senza apparente fatica («solo dovete usare lo strumento giusto»), compreso disegnare i fumetti con il pennino a china in 90 secondi meglio di Magnus, tutti ci sentiamo a un passo dall’acchiappare il successo e dalla soddisfazione personale dell’auto-espressione, che poi è semplicemente copia di un livello di espressione fatto da altri. Le ultime difficoltà le superiamo con ChatGPT e Midjourney: a fare tutto il pesante lavoro ci pensano loro (pensiamo noi).
Prendete il fumetto, così come le altre forme di creatività codificata (racconti, romanzi, canzoni, immagini fotorealistiche, fake-film). In questo ambito c’è chi pensa di sfruttare le intelligenze artificiali per fare tutto, a prescindere dalle competenze e dalle abilità. Milioni e milioni di persone riempiono i social di creazioni personali, fuori da qualsiasi circuito tradizionale. Alcuni, statisticamente quantificabili come una minoranza anche rispetto ai vincitori del massimo premio delle grandi lotterie planetarie, hanno una padronanza dei mezzi digitali e una inventiva naïf talmente forti (oltre a una dose di fortuna sfacciata) da uscire fuori dalla massa.
Sono i nuovi artisti “primitivi” di domani, che tendenzialmente non fanno altro dalla mattina alla sera per anni e alla fine diventano bravi, cioè capaci di esprimere qualcosa di originale che hanno dentro. Poi, se vogliono continuare, devono continuamente studiare e sperimentare, confrontarsi con altri lavori e far crescere il proprio bagaglio di capacità. Gli altri, tutti gli altri, si schiantano contro il muro dei propri limiti. Il loro destino è scritto nel loro carattere: i loro confini, la loro incapacità di superarli (per motivi anche non dipendenti da loro) li definiscono.
Il prossimo grande autore di fumetti potrebbe essere sicuramente qualcuno che fa tutto con l’intelligenza artificiale, testi e disegni. E diventerà un artista di rottura, un caposcuola. Statisticamente ci sta. Ma tutti gli altri non riusciranno a fare niente che valga la pena o che abbia senso leggere. A sfruttare davvero l’AI saranno i professionisti, quelli che sanno già scrivere e disegnare. L’AI si occuperà di fare i boilerplate al posto loro, mentre loro sapranno scegliere, rifare, modificare, aggiungere, togliere.
Noialtri comuni mortali sporcheremo qualche muro virtuale con il nostro fango digitale in salsa GPT ma non ne resterà traccia, almeno fino a quando il prossimo Elon Musk non farà addestrare il suo cervello digitale leggendo anche queste tonnellate di inutilità che abbiamo supervisionato e messo in rete. Il nostro sogno di fare fumetti rimarrà quello che è in realtà sempre stato: una fantasia del nostro ego, non un desiderio e una chiamata sulla quale abbiamo investito tutta la nostra vita. Ma è destino che sia così, intelligenza artificiale o no.
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Antonio Dini, giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. La sua newsletter si intitola: Mostly Weekly.
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