Lo spagnolo David Aja è uno dei disegnatori più noti e amati da chi legge i fumetti di Marvel Comics. Insieme con lo sceneggiatore Matt Fraction ha realizzato la serie dedicata a Occhio di Falco (2012-15) che gli ha fatto meritatamente vincere ben 4 premi Eisner, di cui uno assegnato per l’episodio Pizza Is My Business, dove la storia è raccontata dal punto di vista del cane del protagonista (attraverso una sequenza narrativa che ricorda molto un’infografica).
Noto anche per aver lavorato alla serie The Immortal Iron Fist (2006-08), scritta sempre da Fraction, e alle copertine di Scarlet Witch (2016-17), nel 2018 ha firmato con Ann Nocenti la miniserie The Seeds, uno dei primi titoli dell’etichetta Berger Books, curata dall’editor Karen Berger per Dark Horse.
Frequentando il corso di Belle Arti all’Università di Salamanca, David Aja ha studiato a fondo il costruttivismo russo e la Bauhaus, per poi interiorizzare il pragmatismo proprio della grafica pubblicitaria lavorando come designer e guardare a Chris Ware per la sua capacità di esplorare le potenzialità narrative delle infografiche. Mettendo insieme questi stimoli, negli anni ha perfezionato uno stile minimalista in cui la pulizia della linea e i colori piatti sono costantemente ripensati in base alle esigenze narrative proprie del fumetto.
Il percorso artistico di David Aja, il rapporto con il fumetto supereroistico e la costante voglia di sperimentare sono alcuni degli argomenti affrontati nell’intervista che segue, raccolta in occasione della mostra De Sagittibus et Seminibus (visitabile a Roma fino al 9 luglio) organizzata dall’Istituto Cervantes di Roma e da ARF! Festival.

Vivi in Spagna, ma lavori molto per gli Stati Uniti. Come descriveresti questa tua condizione a metà strada tra due mondi? Quali vantaggi e quali svantaggi ha?
Al momento penso che non ci siano svantaggi, perché se vivessi a New York farei esattamente allo stesso modo, lavorerei nel mio studio e invierei alla Marvel le mie tavole per email. Penso che questa opportunità sia uno dei più grandi vantaggi per disegnatori della mia generazione, e non solo spagnoli ma anche per esempio italiani, lavorare per editori stranieri anche a distanza. Ci vedo solo un vantaggio.
Hai sempre voluto fare fumetti? C’è un titolo che leggevi da bambino o da ragazzo e che ti ha ispirato in questo senso?
Ho letto sempre tantissimi fumetti. A 6 anni già leggevo Judge Dredd e Swamp Thing, e poi ho cominciato a leggere i fumetti Marvel a 7-8 anni. Leggevo tantissimo. Tutti i fine settimana compravo montagne di fumetti, e non solo recenti, frequentavo i mercatini dell’usato per cercare fumetti vecchi. Mio fratello e io leggevamo in continuazione. Verso i 12-13 anni smisi di leggere i supereroi per scoprire altri tipi di fumetto. Penso che tutto quello che ho letto e che leggo mi ispira, non potrei scegliere un solo titolo.
Iron Fist, Occhio di Falco, Scarlet Witch e di recente anche Batman, sono alcuni dei supereroi su cui hai lavorato. Come ha influito sulla tua vita disegnarli? E, viceversa, disegnandoli, pensi di averli un pochino cambiati anche tu?
È complicato. Ho avuto fortuna perché ho potuto più o meno scegliere progetti su cui lavorare, sia per Marvel che per DC Comics. Provare affetto per un personaggio è meglio, ti rende più facile il lavoro. In ogni caso, cerco sempre di rendere il personaggio un po’ mio, cerco di prendere quelle caratteristiche che quando ero bambino mi piacevano e di svilupparle a modo mio, insieme a uno sceneggiatore e a un team con cui mi sento a mio agio. Cerco di raccontare delle cose che mi interessano.
Sono passati circa dieci anni dal tuo lavoro su Hawkeye con Matt Fraction: come si è evoluta nel frattempo la percezione dei supereroi presso il pubblico secondo te?
È una storia curiosa. Inizialmente per Hawkeye Matt si era accordato con Marvel per una storia stile James Bond, ma io gli dissi che non mi piaceva. Preferivo ricondurre il personaggio a un terreno più quotidiano, che raccontasse la vita di tutti i giorni, e quindi abbiamo cominciato a lavorare in questa direzione. A Marvel inizialmente non piacque l’idea, anche perché nel primo numero il protagonista è un uomo in cravatta che salva un cane.
Però successe che all’improvviso molte persone che non compravano questo tipo di fumetti presero a leggerli. Soprattutto le ragazze, che cominciarono a comprare i fumetti Marvel proprio con questa storia. Non so perché, ma attirammo moltissimo pubblico femminile che abitualmente non leggeva supereroi. E fu molto bello.

The Seeds, scritto da Ann Nocenti, ti ha consentito di affrontare un tipo di racconto diverso e di confrontarti con le tematiche ambientali cui oggi siamo tutti più sensibili. Che tipo di approccio hai avuto verso questo progetto?
Ann e io volevamo lavorare insieme da tempo, la tematica ambientale è arrivata dopo. All’inizio l’argomento principale di The Seeds era il giornalismo e le fake news, oltre al tema degli alieni. Solo che quando è arrivato Trump al potere il tema delle fake news è diventato all’improvviso obsoleto, non era più una distopia ma era la realtà quotidiana che stavamo vivendo. A me piace la distopia, mi piaceva l’idea di personaggi con maschere antigas, Ann era interessata al tema dell’ambiente e quindi abbiamo creato questa distopia ecologista.
Nel 2020, quando è stata pubblicata la serie completa, i giornali hanno dato effettivamente notizie relative a questioni di cui avevamo parlato in The Seeds, come la morte delle api, la sparizione degli insetti impollinatori e la pioggia di droni in Cina. Di recente ho tenuto una conferenza a Valladolid, in Spagna, in cui a un certo punto affiancavo delle notizie tratte dai giornali pubblicate dopo l’uscita di The Seeds a vignette tratte dal fumetto. Ci siamo sentiti un po’ come Nostradamus, volevamo fare della fantascienza, non un film di Ken Loach. [Ride]
The Seeds è stato uno dei primi progetti dell’etichetta Berger Books. Com’è stato lavorare con la mitica Karen Berger?
È stato incredibile. Credimi, mi viene ancora la pelle d’oca se ci penso. Tra i miei fumetti preferiti di quando ero ragazzo c’erano Swamp Thing di Alan Moore, uno dei primi lavori di Karen Berger come editor, V per Vendetta e Animal Man di Grant Morrison, un fumetto dove sono presenti tematiche animaliste ed ecologiste, oltre a un certo tono surreale.
Quando Ann e io cominciammo a lavorare su The Seeds, Karen aveva lasciato DC Comics, e io ero quindi convinto che non avremmo potuto più lavorare con lei. Poi però lessi che Dark Horse le aveva affidato una sua linea di fumetti. E quindi di corsa scrissi ad Ann di contattarla, Ann le mostrò il progetto di persona a New York, e Karen accettò. C’è una frase che dico spesso: per me era un sogno lavorare con loro, per loro è stato un incubo lavorare con me, perché sono un uomo un po’ ossessivo. [Ride]
Ti è mai venuta voglia di disegnare storie scritte da te?
Be’, per esempio, la storia breve di 8 pagine su Batman [The Devil is in the Detail, n.d.r], quella l’ho scritta io. Ho inoltre lavorato a sceneggiature mie, però la questione è che fare un fumetto come The Seeds, per esempio, richiede più di due anni di lavoro. Di solito lavoro da solo in una stanza, per questo è sempre meglio poter contare su qualcun altro, ti aiuta proprio a livello mentale discutere le idee, avere un feedback o un confronto. Fare fumetti è già un lavoro estremamente solitario, la ragione per cui mi piace collaborare con degli sceneggiatori è che si hanno più idee insieme, e avere gente stupenda come Ann con cui confrontarsi è ancora meglio.

“Less is more”: la sintesi sembra essere il senso ultimo della tua ricerca grafica. Sei d’accordo con questa descrizione?
È più difficile fare le cose che sembrano semplici. Passo la maggior parte del tempo a togliere linee. Il mio lavoro consiste prima, nella fase di bozza, nel mettere molte linee e costruire, e poi nella semplificazione e nella pulizia – togliere, togliere e togliere. Il fumetto è un’arte visiva, e a meno che tu non voglia un’immagine statica, funziona meglio se resta essenziale, pur contenendo tutte le informazioni giuste e necessarie, in modo che si possa passare alla vignetta seguente senza perdere il senso della storia.
Perché per un artista così apprezzato come te è importante andare sempre un po’ oltre i risultati già ottenuti e continuare a sperimentare?
Per me è necessario, non potrei fare sempre le stesse cose. Anche perché non penso che niente di quello che faccio sia perfetto, e quindi la perfezione devo sempre cercarla. Se facessi qualcosa di assolutamente perfetto, sarebbe noiosissimo, resterei lì perché avrei già raggiunto l’obiettivo. Mi piace cercare nuove soluzioni, innovare è una mia necessità.
Quali sono i tuoi strumenti e il tuo metodo di lavoro?
In genere si può riassumere con una frase: non so bene come lo faccio, ma alla fine funziona. È una continua ricerca anche per me stesso, non sempre lavoro con lo stesso ordine, a volte comincio da una cosa, poi la volta dopo cambio, finché non arriva il momento in cui capisco di essere arrivato a una soluzione che va bene. È un processo un po’ caotico, però funziona.

Hai dichiarato tempo fa che fare fumetti è un po’ come avere un amore platonico. È ancora così?
Ah ho detto così? [Ride] Per fare questo lavoro ti devono davvero piacere i fumetti, perché di certo non lo fai per soldi, dal momento che ci sono mestieri che con la stessa fatica ti fanno guadagnare di più. Tutti quelli che come me disegnano fumetti lo fanno perché li amano, e considerano il fumetto la forma espressiva più perfetta. Per me è il modo in cui posso esprimermi meglio. Quindi suppongo di sì, è un amore platonico.
A quale progetto stai lavorando adesso?
Mi piace alternare importanti progetti a fumetti con lavori più piccoli, come poster, illustrazioni, che richiedono meno sforzo mentale e mi consentono di passare tempo con la mia famiglia. Mi è piaciuto tantissimo lavorare a The Seeds, che mi ha richiesto molti anni di lavoro, ma ora sono in una fase di transizione in cui preferisco dedicarmi a lavori più brevi, pur continuando a pensare sempre a nuovi progetti più impegnativi da realizzare in futuro.
Leggi anche: Simone Di Meo, da Topolino a Batman
Entra nel canale Telegram di Fumettologica, clicca qui. O seguici su Instagram, Facebook e Twitter.