RubricheSofisticazioni PopolariDobbiamo tornare a stigmatizzare la cultura nerd?

Dobbiamo tornare a stigmatizzare la cultura nerd?

Tendenze e direzioni della pop culture viste da chi non riesce a farne a meno, anche se vorrebbe. "Sofisticazioni popolari": una rubrica di Fumettologica a cura di Marco Andreoletti. Il giovedì, ogni 15 giorni.

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cultura nerd
Una scena della serie tv “Big Bang Theory” ambientata in fumetteria

Ormai sono anni che la cosiddetta sfera nerd definisce l’agenda culturale del mondo. Al cinema continuano ad andare (anche se non forte come prima) i supereroi, i videogame fatturano come multinazionali, nonostante il momento della peak tv sia ormai alle spalle si continuano a produrre ore e ore di prodotti per lo streaming (ma forse ancora per poco), mentre pareti di manga tappezzano le pareti delle librerie generaliste. Proprio come la rana della famosa storiella di Noam Chomsky siamo a bagno in questo brodo sempre più caldo da talmente tanto tempo che è difficile definire il momento in cui le cose hanno cominciato a cambiare. Individuare il fatidico punto di svolta in cui essere sfigati è cominciato a essere figo risulta di giorno in giorno sempre più faticoso.

Se volessimo prenderla alla larga potremmo pensare all’arrivo nei cinema di Il Signore degli Anelli. All’improvviso essere appassionati di nani, elfi e maghi non era più una cosa da reietti. Ricordo chiaramente la mia sorpresa nel vedere tante persone presentarsi al cinema munite del tomo cartaceo tolkieniano senza che nessuno ne approfittasse per trasformarlo in un’arma contundente contro le stesse. Poi è arrivata The Big Bang Theory: Non bisogna certo essere paladini della cultura woke per rendersi conto di quanto c’era di sbagliato in quella sit-com. Oltre ai sapidi meccanismi comici destinati a perdere di efficacia nel giro di mezza stagione, si intende.

Si è parlato molto del razzismo e della misoginia nascosti tra una risata registrata e l’altra, perdendosi spesso per strada la superficialità con cui venivano trattati temi estremamente complessi come la depressione o l’autismo. Però… ehi! C’era una puntata in cui uno dei protagonisti era indeciso tra Xbox e PlayStation, si parlava di Indiana Jones con cognizione di causa e infine si andava in fumetteria. Cosa chiedere di più?

In seguito si è arrivati a tutta quella serie di finti b-movie in digitale girati solo per il gusto di essere assurdi, dal passabile Iron Sky al tremendo Kung Fury. L’estetica laser degli anni Ottanta veniva sdoganata del tutto da Nicolas Winding Refn e fraintesa dalla massa, rinchiudendosi per sempre in una San Jupinero eterna. Poi i videogiochi sono diventati del tutto mainstream, superando di gran lunga quanto fatto dalla PlayStation e dalla perpetua operazione di coolizzazione del mondo videoludico da parte di Sony. 

Marvel ha portato il concetto di crossover al cinema e guadagnato miliardi di dollari inserendo scenette dopo i titoli di coda. Infine una pandemia ha costretto troppa gente in casa a colorare miniature, Stranger Things ci ha cementato ancora di più in un passato mai esistito, D&D e le cover dei Metallica sono diventati fighi e i giochi da tavolo hanno finito per colonizzare anche la birreria puzzolente sotto casa (questo a ora unico punto positivo di tutta questa serie di tragedie). 

Oggi siamo al punto che chi spende di più in giocattoli sono gli adulti, e per rendersene conto basta sfogliare un catalogo Lego qualsiasi. Due paginette dedicate ai bambini e poi pagine e pagine di set enormi e costosissimi per costruttori ormai cresciuti.

Senza contare poi tutto il fiorire di portali di cultura nerd e di canali Twitch, in un fiume incessante di informazioni che ha trasformato un mondo dove tutti gli appassionati di fantasy/fumetti/attività ludiche varie sono passati da emarginati e bullizzati a signori di un nuovo Eden culturale.

Siamo arrivati nella terra promessa quindi? Direi proprio di no, anzi. La situazione pare sfuggita di mano, e l’eccesso di benevolenza nei confronti della cultura nerd ha prodotto più danni che altro. A questo punto meglio chiarire una cosa: io stesso sono il primo che continua a considerare i videogame un passatempo davvero divertente, che legge fumetti e tanta narrativa fantastica, oltre a passare ore a giocare con i propri figli all’ultimo gioco da tavola uscito. Come se non bastasse tengo una rubrica sul più grosso portale italiano dedicato al fumetto e in questo contesto mi occupo prevalentemente di intrattenimento. Non sono solo tangente alla faccenda, sono praticamente nell’occhio del ciclone.

Questo però non mi impedisce di vedere ogni giorno la china pericolosa che abbiamo intrapreso da troppo tempo, la totale indifferenza verso qualunque altro aspetto della nostra vita che non sia la continua ricerca di distrazione e il costante abbassamento degli standard di qualità a cui ci adeguiamo – Netflix docet – pur di continuare a riempire il nostro tempo. Tornare a stigmatizzare la cultura nerd è una provocazione esagerata e antipatica, ma una ricontrollata alle nostre priorità forse andrebbe fatta davvero. Veniamo quindi a noi, ed ecco qualche motivo per ricacciare miniature, action figure e serie da quattro soldi nelle camerette fetide dove erano confinate:

La cultura nerd, innanzitutto, uccide le storie. Perché nel fantastico mondo modellato su di essa tutto deve sempre e solo essere fanservice, asservito a un passato idealizzato e immutabile. Super Mario Bros. – Il film sarà sicuramente ben fatto e starà battendo ogni record di incassi, ma poteva essere molto di più. Prendiamo qualche esempio dalla lunghissima storia dell’icona Nintendo. Pur parlando sempre di un idraulico italo americano che prende a pugni cubi di mattoni fluttuanti, chi gli si è approcciato con qualcosa da dire è sempre riuscito a trarne opere straordinarie. 

Il Super Mario Galaxy di Yoshiaki Koizumi era epico, pieno di poesia e favolistico allo stesso tempo, mentre l’umorismo surreale e logorroico della serie Paper Mario rimane impareggiabile. Non dico di volere una nuova iterazione di questi due titoli. Dico che se dallo stesso personaggio sono nate due letture così diverse probabilmente c’era spazio anche per una terza. Magari ancora più sorprendente. Eppure noi siamo ancora qui a esaltarci per le citazioni nascoste del mondo 1-1.

Rende tossica e del tutto incomprensibile la questione dell’inclusività. Riflettere su come il linguaggio e le storie possano aiutarci a portare la società a un livello di civiltà successivo non può essere compromesso da quarantenni con troppo tempo libero che si lamentano della presenza di attori non caucasici in narrazioni fantastiche. Alla stessa maniera questo atteggiamento finisce per dare corda agli estremisti della fazione opposta – i social justice warrior da Twitter, perfettamente riassunti da questa incredibile gag da Lo straordinario mondo di Gumball – con il risultato che oggi ogni dichiarazione pubblica diventa la proverbiale passeggiata sui gusci di uova. Mettere sullo stesso piano una dichiarazione di simpatia filonazista e un pronome sbagliato, magari per distrazione, non aiuta la causa. Ma proprio per niente.

Toglie importanza a tutto perché tutto deve sempre essere divertente e leggero, seppure radicato in un contesto totalmente tossico. Il risultato è un magma inoffensivo e privo di peso specifico. Dove tutto è uguale a tutto il resto. Provate a distinguere un trailer Marvel dall’altro. Da anni ci siamo già accorti di come dai film siano spariti i temi musicali memorabili, mentre scrivere e mettere in scena un’opera cercando di prendersi sul serio merita come minimo il dileggio

Lo Star Wars di George Lucas era un film divertente, ma non era apertamente umoristico. Per alleggerire la situazione erano stati sfruttati meccanismi narrativi di base, come quello della spalla comica. Da un faccendiere e scavezzacollo come Han Solo mi aspetto come minimo qualche uscita brillante. Fa parte del personaggio e lo rafforza. Le parti comiche non erano SUL gioco – come in un contesto metanarrativo – ma parte integrante DEL gioco. 

Lucas aveva alzato ulteriormente l’asticella con la seconda trilogia, dando tanto spazio a politica, trattati commerciali e inserendo aspetti “realistici” in un contesto favolistico. Non tutto ha funzionato, ma ad anni di distanza quell’approccio così rigido ha pagato molto di più del disastro Disney e della sua ossessione per gli angoli smussati.

Produce una marea di immondizia, e non parlo per metafore. Davvero, cosa ce ne faremo delle tonnellate di gingilli, action figure, gadget tecnologici e altre stupidate che ci stiamo portando in casa? Il collezionismo di giocattoli potrà anche avere il suo fascino, ma entrare in casa di qualcuno appena conosciuto e vedere che in sala troneggia la riproduzione a grandezza naturale del guanto di Thanos non mi mette esattamente nel mood di passare una buona serata. Stessa cosa vale per i muri di Funk Pop! nelle camere di gente che ha superato i 12 anni di età.

Rafforza posizioni iper conservatrici e reazionarie. Ne abbiamo già scritto parecchio.

Dà troppa importanza a cose che dovevano solo riempirci il tempo tra un evento davvero importante e l’altro. Oggi si parla di schiavitù dell’intrattenimento perché quel riempitivo è diventato la parte principale delle nostre vite. Ce ne abbuffiamo per non pensare ad altro. Per non passare al livello successivo della nostra vita e cominciare a prenderci le nostre responsabilità. Che non significa per forza di cose trasferirsi in periferia e mettere su famiglia come nella più banale delle proiezioni medio-borghesi, ma avere un minimo di pretesa di capire come gira il mondo e prendere scelte che definiscano il nostro ruolo nello stesso. 

Non augurerei mai a nessuno di frequentare quel tipo di persona che ti consiglia di posare il telefono per leggere un BUON libro, uscire ad accarezzare l’erba, iscriverti in palestra o infilare la mano in un sacco di legumi, ma questo non toglie che smettere di vivere immersi in una sorta di inquinamento cognitivo obnubilante non sarebbe male.

Rende pop argomenti potenzialmente pericolosi. Se preferisci stare chiuso in casa a giocare centinaia di ore a qualche RPG nipponico di terza categoria invece di uscire con gli amici o anche solo farti una passeggiata in solitaria non ci devi fare un TikTok per passare come eccentrico, incorreggibile e un filo dark. Devi parlarne con qualcuno, perché probabilmente è il principio di un problema più grosso. Viviamo già in tempi abbastanza difficili, non vedo perché sforzarci per renderli ancora più pericolosi.

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