di Giovanni Nahmias*

C’è una piccola sfida che mi appassiona: cercare una singola parola che possa descrivere la personalità di un artista. Più questa è sfaccettata più è difficile trovarla. Maurizio Bovarini è stato un grafico, un illustratore, un autore, un umorista, un fumettista dalla personalità sempre spiazzante, nutrita di passioni diverse, che ha saputo esprimere in forme artistiche di forte impatto e imprevedibili. La parola che ho scelto per Bovarini è “graffiante”. Come tutte le sintesi è imperfetta, ma riesce ad alludere sia alla forma sia ai contenuti della sua opera.
Ogni suo disegno – dalla copertina di un libro, di una rivista, alla vignetta satirica, dalle immagini di costume ai ritratti jazz, dalle tavole western a quelle storiche e politiche – colpisce, lascia il segno, graffia. Allo stesso modo la sua tecnica, decisamente espressionista, incide con l’inchiostro il foglio, lo macchia indelebilmente, lo sporca di genio. Eppure, nonostante la forza del suo lavoro, che ha significativamente caratterizzato più di un’epoca editoriale, la sua memoria oggi è debole: paga il prezzo di una morte prematura (nel 1987, a soli 53 anni) e di uno spirito autenticamente indipendente.
Per tutto questo, grande lode va a Paolo Valietti che nell’ultimo anno ha curato con gli eredi Bovarini uno splendido volume (Maurizio Bovarini Disegnatore, MoltiMedia, 2022) e due incredibili esposizioni. Si tratta di una vera e propria riscoperta, assolutamente necessaria. Nella prima mostra, l’epifania di un artista dalla voce ancora vivida e contemporanea era amplificata in modo stupefacente dalla scelta della sede espositiva. “Habeas Corpus. Maurizio Bovarini Disegnatore” (dal 10 giugno al 10 luglio 2022) è stata allestita nell’ex Carcere di Sant’Agata in Città Alta a Bergamo, la città dove l’artista è nato nel 1934 e dov’è sepolto. Un edificio del XIV secolo, prima monastero e nell’Ottocento carcere duro (anche nazista tra il 1943 e il 1944).
Le opere di Maurizio Bovarini, in una progressione cronologica dagli anni Sessanta agli Ottanta, occupavano gli spazi delle celle anguste e dell’infermeria, organizzate in 4 sezioni: Jazz, Fumetti, Ritratti, Eia Eia Trallalà. La suggestione che ne derivava era molto intensa: passando dalle inferriate aperte era come se l’arte di Bovarini fosse liberata da un’ingiusta detenzione dell’oblio. Gli ambienti fatiscenti, carichi di dolore passato, gli intonaci scrostati e scoloriti, i buchi nelle pareti, accrescevano la portata emozionale presente in ogni disegno di Bovarini, contesto ideale e drammatico per rievocare i fantasmi imprigionati dalle illustrazioni, che siano politici d’altri tempi, cardinali corrotti, ridicoli fascisti, donne fatali, pistoleri spavaldi. O per contrasto musicisti jazz, la musica libera per definizione. Quei luoghi e quei disegni erano un unico assordante urlo silenzioso.

Allo WOW Spazio Fumetto di Milano la mostra è rivissuta dal 4 febbraio al 30 aprile 2023, accomunata dalla stessa iconica immagine in locandina: un uomo con la bocca spalancata e le fauci nere, il dito puntato e la scritta: «Voglio tutto! Mi aspetto poco, non chiedo niente!». Perfetta sintesi delle contraddizioni, fondamenta della satira pungente di Bovarini. A Milano la mostra si è arricchita di materiali editoriali (memorabile: Bovarini è autore anche dell’impianto grafico leggendario della rivista Cronaca Vera!) e proponeva un percorso cronologico.
Per prime le illustrazioni pubblicate in Francia, dove avviene l’esordio nel 1962 sulle pagine della rivista Bizzarre, cui seguiranno Sinè Massacre, Hara Kiri e L’Enragé del 1968. Sono immagini di lotta o protesta, ritratti di famiglia operaie o borghesi, riti sociali, guerra, ricchi signori, donne in ghingheri, politici, figurine dinamiche e strillanti dei protagonisti di tutte le tensioni sociali e delle espressioni di costume degli anni Sessanta e Settanta, fino a primi anni Ottanta. Un mondo che continua a rappresentare anche sulle pagine delle molte riviste italiane come ABC, L’Arcibraccio, Ca Balà, L’Anamorfico, Humor Graphic e gli almanacchi o supplementi di linus. Ma la violenza grafica dello stile unico di Bovarini si esprime al massimo nelle tavole dei suoi libri illustrati e a fumetti come RiccoRidens, Schizzofrenia, La Dinastia dei Miller, Ultimo Tango a Fumetti (quest’ultimo, nato come una parodia del film, ne subì la stessa sorte e fu sequestrato).
«Pennini e pennelli, con buona scorta di china», si legge nei testi della mostra: quanto avremmo voluto vederlo disegnare, perché è impossibile capire come facesse la magia. Il suo nero tratto marcatissimo si muta improvvisamente in fili leggerissimi, interrotti da graffi bianchi. Sono evidenti le decise pennellate di prima intenzione, ma stupiscono anche i mille dettagli. I due estremi stilistici, veri capolavori, sono le illustrazioni Jazz, dove la sovrapposizione tra musica e segno è lampante e il libro Eia Eia Trallallà, del 1975, disegnato a partire da testi reali di epoca fascista: esplodono il grottesco, il disumano, la farsa, la ferocia, serviti ancora caldi e sconcertanti dalle invenzioni grafiche e dalla forza del tratto di Maurizio Bovarini.
Ne scrisse Guido Crepax: «Mi piace il Bovarini quando è arrabbiato, arrabbiatissimo. Ricordo una serie di facce per un discorso del Duce, con una bocca autofagocitante, mostruosa. Eccezionale». Un genio, adesso non dimentichiamocelo più.
*La versione originale di questo articolo è disponibile sul mensile Fumo di China 329, ora in edicola, fumetteria e online.
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