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Il nichilismo di Officina Infernale

Tendenze e direzioni della pop culture viste da chi non riesce a farne a meno, anche se vorrebbe. "Sofisticazioni popolari": una rubrica di Fumettologica a cura di Marco Andreoletti. Il giovedì, ogni 15 giorni.

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officina infernale
Un’immagine da “Harsh Comics” di Officina Infernale

Come tutti i lettori compulsivi di fumetti ben sapranno, la gestione dello spazio vitale nella propria abitazione non è un problema da poco. Per quanto il processo di digitalizzazione, l’ennesimo tentativo di decluttering alla – ormai arresasi – Marie Kondo o, più tristemente, i mostruosi rincari della vita quotidiana ci illudano di poter riprendere il controllo delle nostre scaffalature, prima o poi ci ritroveremo con pile di libri ammonticchiate dove non dovrebbero essere. Una ricorrenza piuttosto fastidiosa, che si succede in maniera ancora più rapida se si è lettori e appassionati dell’opera di Officina Infernale. Forse il più produttivo e bulimico tra i rappresentanti dell’autoproduzione in Italia.

Per scrivere questo pezzo ho battuto al tappeto la mia libreria e ne sono uscito con un numero impressionante di albetti, box confezionati a mano, volumi da centinaia di pagine. Senza contare le follie come albi giganti o stampati su pellicola trasparente o in 3D o così via. L’impressione è quella di avere a che fare con una produzione inarrestabile e febbrile, aspetto ulteriormente esasperato dalla caotica suddivisione in diversi filoni da parte dell’autore stesso.

Calarsi nell’universo di Officina Infernale significa sapersi destreggiare tra il progetto di un decadente universo supereroistico targato Harsh Comics, le uscite ancora più estreme etichettate Black Church, gli sporadici ritorni della Deadly Iron Gang, gli artwork per il progetto harsh noise Bestial (ex KhamerDeathNoise, ensemble musicali che si compongono unicamente di Officina Infernale), la nuova collana Necrotic T, la stampa di t-shirt a tiratura limitata, la partecipazione a un numero infinito di progetti collettivi (Progetto Stigma, This Is Not A Love Song…) e le uscite ufficiali per case editrici come Shockdom, BeccoGiallo, Edizioni BD, Eris Edizioni, Sergio Bonelli Editore e, da pochi giorni, Feltrinelli Comics. 

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Una tavola di Officina Infernale da “Black Devil”

Il tutto seguendo un ritmo a singhiozzo che vede accelerazioni iperproduttive seguite da momenti dove tutto sparisce, il BigCartel della situazione viene chiuso e il Nostro millanta un totale allontanamento dal mondo del fumetto e dell’illustrazione. Almeno fino alla prossima infatuazione in grado di dare un senso a tanto lavoro. Uno dei punti cardine della poetica di Officina è l’ossessione per il decadimento e la perdita di significato di ogni cosa, aspetto che riesce a veicolare in maniera efficace nel metodo produttivo dei suoi fumetti oltre che nei contenuti.

In un vecchio dossier di Nocturno Cinema dedicato a Jess Franco – sui numeri 60 e 61 di luglio e agosto 2007 – si sosteneva che vedere e valutare un solo film del regista spagnolo fosse una pratica priva di senso. Questo perché la sua sterminata filmografia – si parla di oltre 180 lungometraggi – costituisce un corpus unico e inscindibile. 99 Donne o Vampyros Lesbos saranno anche buoni film inscrivibili all’exploitation, ma per diventare titoli intramontabili devono essere incorniciati all’interno della produzione fiume del cineasta e del suo approccio alla macchina cinema. 

Con Officina Infernale funziona alla stessa maniera. Non è possibile prendere la singola uscita e pensarla come un’opera di per sé, ma bisogna inserirla in un flusso costante di progetti e di idee rilasciate con ritmo scostante e umorale. Andrea Mozzato, questo il vero nome del fumettista, può mettere in piedi un piano di uscite mensili autoprodotte come Harsh Comics e al contempo lavorare su un numero folle di altre idee che non vedranno mai la luce. O che saranno subito dimenticate dopo essere state stampate. L’approccio alla progettazione e alla pianificazione del lavoro sono parte integrante della sua poetica. Difficile immaginarsi il nichilismo e l’assenza di speranza che emergono dai suoi lavori inseriti in un contesto più tradizionale. Il fatto che siano autoproduzioni costruite in totale libertà, senza nessun piano di rientro e spesso abbandonate a se stesse, rafforza il senso di impotenza rispetto alla propria spinta interiore.

Una pagina di Officina Infermale da “Nekrotik”, pubblicata su “Harsh Comics” 5

Ripercorrere a ritroso la carriera di Andrea Mozzato significa risalire fino alla fine degli anni Novanta. I primi passi nell’editoria con Bompiani e Mondadori, la nascita di In Your Face Comix ma soppratutto l’amore per l’hardcore e la musica estrema. Risalgono a questo periodo gli artwork per etichette di culto come Soa Records, Green Records e Macina Dischi. In quegli anni il nome di Officina Infernale cominciò a girare tra chi frequentava i negozi di dischi votati alle sonorità più dure, e i suoi lavori raccolsero sempre più entusiasmo. 

Da appassionato e vorace ascoltare onnivoro qual’ero ricordo con piacere un triplo cofanetto per l’anniversario di Soa Records che mi rimase ben impresso. A questo si alternavano una militanza in diverse band, una fuga a Londra, il rientro in Italia e la fondazione del brand di abbigliamento e attrezzatura tecnica per skateboard Murder. La tradizione grafica indissolubilmente legata a questo sport partiva da gente come Marc McKee e Sean Cliver, provocatori beffardi e senza nessun pudore nello spingere sempre più il pedale dell’acceleratore. Le tavole di acero canadese si erano già dimostrate un ottimo supporto per un tale tipo di ferocia, quindi perchè non provare ad avvicinarle a una certa foga grafica da flyer per concerti grind?

A questo punto dobbiamo dividere in due segmenti il percorso di Officina Infernale, riconducendo  i due segmenti ad artisti che definire agli antipodi è un eufemismo: Simon Bisley e Bill Sienkiewicz per gli esordi, il misterioso Give Up per la claustrofobica seconda parte della carriera. Se si prende la produzione dell’autore fino al lavoro de Le cinque Fasi con il collettivo Dummy (dove trovavano spazio anche Ausonia, Alberto Ponticelli, Squaz, Akab e Tiziano Angri) è impossibile non notare una predilezione per un certo fumetto pittorico iper-elaborato, fatto di linee spigolose e di continue sovrapposizioni di layer e tecniche diverse. 

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Dylan Dog secondo Officina Infernale

Con le dovute asciugature e divagazioni più pop, questo aspetto è tornato a galla con il quarantesimo numero del Dylan Dog Color Fest. Si tratta di un fumetto ancora disegnato, tutto sommato tradizionale nel suo impianto di base. Tutto cambiò con la scoperta dei lavori dello street artist Give Up e della sua fanzine HateFuck. Andando a riesumare il blog dell’artista campeggia ancora una bio che pare una dichiarazione di guerra: «photographs and photocopiers. scissors and glue sticks. screen printing. ink and glue. all original content. no photoshop, no computers. est. 2001».

La fotocopiatrice come mezzo espressivo, la perdita di ogni dettaglio come poetica. Infinite campiture di nero sgranato e misteriosi riferimenti esoterici. Anche se nel corso degli anni la poetica pare essersi raffinata (tra le altre cose nel 2022 è uscito, dopo anni di silenzio, il diciannovesimo numero della sua fanzine) tutta la prima parte della sua carriera pareva una versione black metal di Fuck This Live, ‘zine di a opera di Weirdo Al fondamentale nel deleterio processo di patinatura di certa cultura underground.

Si tratta di un approccio alla composizione grafica – inutile parlare di disegno – che Officina Infernale fece immediatamente suo. Nacquero così i collage digitali che hanno composto gran parte della sua produzione più recente. Come un fiume in piena Mozzato continuava a pubblicare materiale, inventandosi di volta in volta nuovi filoni. Abbiamo fumetti di supereroi che paiono disegnati da Art Chantry, volumi che richiamano alla memoria famigerati artwork dei Carcass o i collage di Norihiro Sekitani. 

Dalla Officina Infernale Manufacturing è uscito un flusso costante di autoproduzioni marchiate come Failure, Officina Infernale’s Black Church, Iron Gang, Black Church, the Doomrider, Black Devil, Millenial Reig, Putrid Shit 1/2/4/5 e i volumetti della già citata Harsh Comics. In ognuna di queste uscite disegno, collage, fotocopia ed elaborazione digitale si sono modulati di volta in volta per adattarsi all’idea del momento. «Ogni albo deve essere diverso dall’altro, come impostazione, come narrazione, come impatto» è uno dei punti del manifesto in apertura del numero zero della serie supereroistica conclusa lo scorso anno, anche se potrebbe essere esteso a tutta la bibliografia del fumettista.

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La Iron Gang di Officina Infernale, dal volume “The Mighty and Deadly Iron Gang” (Shockdom, 2017)

Unico aspetto che pare accumulare tutte le uscite è appunto la propensione al decadimento e al pessimismo cosmico. I supereroi di Harsh Comic sono perennemente impegnati nella loro ultima missione, probabilmente inutile e ancora più facilmente suicida. «Prendi dei personaggi, li riempi di buone intenzioni, gli fa fare delle cose, li fai morire» chiosava l’autore sempre nello stesso manifesto. Così i protagonisti di questi folli albi si perdono in lunghi monologhi mentre affrontano minacce che non possono risolvere, e nel frattempo ogni forma di eroismo perde di significato.

Dopo essersi preso la briga di mettere in piedi un piano per la pubblicazione di dodici volumetti autoprodotti in dodici mesi (da dicembre 2020 a dicembre 2021) con tanto di volume conclusivo in formato gigante (l’ultimo uscito Gigantic Giant Size Annual) ed essere riuscito a portare a fondo una simile impresa, Officina Infernale smontava così i suoi sforzi sulla sua pagina Facebook: «Quando apro qualche file x recuperare delle immagini, non mi rendo conto del lavoro che è stato fatto, di costruzione dei personaggi, di world building, di idee buttate pagina dopo pagina. Speravo suscitasse più interesse, mettiamoci poi la tempesta perfetta, pandemia, rare attività live, disillusione cronica mia, algoritmo… Tutto questo lavoro finito nel vuoto, soprattutto quando è uscita la seconda parte di albi, così nel nulla, il nulla totale… limiti miei? Dovevo sbattermi di più? Chi lo sa… In programma cmq Harsh Comics Season 02». 

Tutto è andato malissimo, ma la stagione due del progetto arriverà comunque. Ecco tornare il senso di impotenza di cui si parlava prima. La spinta a scrivere e a disegnare sempre nuovi fumetti continua a dibattersi inarrestabile, anche se ogni sforzo sembra inutile. Spesso i protagonisti dei fumetti di Mozzato sono stanchi, a un passo dal baratro, totalmente disillusi e pronti all’annientamento finale. Portano avanti la loro missione in maniera sconsiderata, come se fossero costretti. Consci che, eliminato il mostro della settimana, ne arriverà sicuramente un altro. Ancora più grosso, ancora più pericoloso.

Anche il protagonista del suo ultimo libro, Glitch (pubblicato da Feltrinelli Comics), è un giornalista esausto e disilluso. Prigioniero in un corpo vecchio e sovrappeso in un mondo che non comprende più la morte. Come prevede il canone del noir si ritroverà invischiato in un pasticcio ben più grande di lui e di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Il classico antieroe recalcitrante, forzato a fare la cosa giusta nonostante non ne abbia nessuna voglia.

Per una volta Mozzato ha deciso di prevedere un briciolo di speranza in una sua storia e ha inserito persino quello che potrebbe essere il primo lieto fine della sua bulimica carriera. Certo, è un happy ending che prevede il crollo di un mondo apparentemente perfetto a favore di un sistema più caotico e fallibile, ma è già qualcosa. 

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La copertina di “Glitch” di Officina Infernale

L’idea di costruire una narrazione più luminosa è trasmessa anche dalle tavole, portando avanti un percorso di metabolizzazione del fumetto popolare ripreso sulle pagine della storia di Dylan Dog già citata in precedenza. Qui l’influenza di certo fumetto seriale degli anni Ottanta – decennio da cui ha preso anche una serie di suggestioni cyberpunk – non è mai nascosta, seppure filtrata attraverso l’inconfondibile chiave di lettura di Officina Infernale. 

Conosco Andrea da una vita e ho perso il conto di quante volte l’ho sentito ritirarsi dal mondo del fumetto. Eppure ogni volta, dopo pochi mesi dall’ennesimo abbandono, eccomi arrivare a casa un nuovo plico con la sua ultima autoproduzione. Sempre più ferale, sempre più ripiegata su se stessa. A questi episodi di nichilismo criptico e inaccessibile ecco alternarsi sortite in un mondo più “patinato” – virgolette d’obbligo – fatto di libri pubblicati per le maggiori case editrici italiane. 

Il tutto senza perdere mai un briciolo di coerenza. Per quanto ogni nuovo stadio nella carriera di Officina Infernale possa apparire come sconclusionato e randomico in realtà si tratta solo di un nuovo tassello nell’enorme mosaico costituito da decadi di lavoro instancabile. Potrà non piacere, ma non riconoscerne la vastità e l’unicità all’interno di un panorama come quello italiano sarebbe quantomeno disonesto.

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