“Paolino Paperino e il mistero di Marte”, il primo fumetto Disney made in Italy

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Paolino Paperino e il mistero di Marte vive uno strano paradosso. Pur essendo un classico del fumetto Disney, storicamente importante e citato in numerosi saggi di settore, è quasi del tutto sconosciuto ai lettori contemporanei. Eppure stiamo parlando della storia che diede inizio (seppure indirettamente) alla “scuola Disney italiana”, nonché di una delle prime avventure di ampio respiro intitolate a Paperino. Per di più, è anche il primo fumetto in assoluto in cui sia mai comparsa la nostra penisola: piccola, ma ben visibile dal finestrino di un razzo diretto verso il pianeta rosso.

È un po’ strano che tutti questi record spettino a una storia scritta e disegnata da Federico Pedrocchi, pioniere del fumetto popolare d’avventura che utilizzò in pochissime occasioni i personaggi di Walt Disney. Eppure, se digitate il suo nome su Google, tra i correlati potrebbero comparire quelli di Guido Martina, Romano Scarpa, Luciano Bottaro e Giovan Battista Carpi, segno che il suo contributo all’evoluzione della scuola Disney italiana è stato fondamentale. Ma che cosa aveva davvero in comune Pedrocchi con gli autori della generazione successiva (quella che, per intenderci, esordì su Topolino libretto)?

Tutto ebbe inizio il 27 gennaio 1934, quando morì l’editore fiorentino Giuseppe Nerbini. Il Topolino giornale di cui era proprietario stava diventando un ibrido, dove, oltre alle prime strisce di Floyd Gottfredson, trovavano spazio alcuni fumetti avventurosi di taglio realistico che piacevano molto ai lettori, ma che rischiavano di fare ombra ai contenuti umoristici.

Rimasto solo alla guida dell’azienda di famiglia, il figlio Mario, in linea con questa tendenza, nell’ottobre di quello stesso anno lanciò L’Avventuroso, il primo giornale italiano interamente dedicato ai comics d’avventura, come Flash Gordon, Jungle Jim, Phantom e Mandrake, che gli permisero di vendere fino a 400.000 copie ogni settimana. Questo successo trovò però impreparato Nerbini junior, che l’anno seguente decise di vendere Topolino a un soggetto editoriale che da molto tempo era intenzionato a rilevarlo.

Si trattava naturalmente di Arnoldo Mondadori che, sempre nel 1934, con il contributo dello stesso Walt Disney e di Valentino Bompiani, aveva fondato la Società Edizioni Walt Disney Mondadori, facendo concorrenza a Nerbini con la pubblicazione di un giornale analogo al suo: I Tre Porcellini. Sperava così di sollecitare l’editore fiorentino a cedergli i diritti sul Topo e, una volta raggiunto questo obiettivo, nominò Cesare Civita procuratore della società. Sotto la direzione di quest’ultimo prese vita un gruppo di autori tra i quali, oltre a Guido Moroni Celsi, Walter Molino e Giovanni Scolari, c’era anche Pedrocchi.

L’eroe dei due mondi

Pedrocchi aveva vissuto una breve parentesi come pubblicitario in una ditta milanese di rubinetti ed era riuscito a mettersi in proprio poco più che ventenne, grazie alle sue capacità professionali e a un grande spirito d’iniziativa. Queste doti gli tornarono utili nel 1935, quando la sua prima sceneggiatura (I due tamburini, disegnata da Kurt Caesar) comparve su I Tre Porcellini, segnando anche il suo ingresso ufficiale nell’editoria Mondadori.

Coordinando tutte le attività legate ai periodici settimanali fino al 1942, diventò una sorta di factotum perfettamente a proprio agio sia sui giornali che dietro le quinte dell’azienda. Si occupava di qualsiasi cosa: dalla scrittura di un racconto al talent scouting dei giovani autori, dal monitoraggio delle vendite alla correzione delle bozze, senza grosse difficoltà. E in poco tempo fu nominato direttore editoriale e artistico della casa editrice.

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Federico Pedrocchi

Nel 1937 la società fondata da Mondadori cominciò a occuparsi di tutte le testate da edicola cambiando nome in A.P.I. (Anonima Periodici Italiani). Pedrocchi, nel frattempo, era diventato un punto di riferimento per tutti i suoi collaboratori, dando vita a una delle più importanti “scuole” italiane di fumetto sotto il Regime. Gli fu affidata anche la direzione di un nuovo settimanale che debuttò in dicembre e che gli permise di esprimere tutto il proprio potenziale. Il periodico, intitolato Paperino e altre avventure, fu il primo al mondo dedicato al personaggio, nato in animazione solo tre anni prima.

Il papero più sfortunato della Terra

Chissà cosa avrebbe pensato Wilfred Jackson, l’autore del corto The Wise Little Hen (1934), se avesse saputo in anticipo di aver battezzato un’icona, con il papero scansafatiche che si vedeva nel filmato. Forse l’avrebbe chiamato diversamente o magari avrebbe prestato più attenzione al suo look, ma non avrebbe comunque scommesso nulla su di lui. Paperino era nato più che altro per necessità: c’era bisogno di un personaggio che recitasse la parte del giovane indolente che non alza un dito né per sé né per gli altri, vivendo alle spalle del prossimo come un parassita, in bilico tra la macchietta e il semplice disegno animato.

I primi a dotarlo di una “psiche” vera e propria furono Ted Osborne e Al Taliaferro, già autori del fumetto tratto dal corto. Osborne si limitò a cucirgli addosso un ruolo da comprimario in un paio di storie disegnate da Gottfredson, facendone risaltare gli aspetti già noti. Taliaferro, invece, vi ritrovò parte della sua persona, con i suoi stessi vizi e il suo caratteraccio. Entrò in empatia con lui e tentò una strada alternativa, rendendolo protagonista di alcune tavole prive di testo, dove contava solo la fisicità del personaggio, la sua capacità di far ridere attraverso gesti e comportamenti nevrotici. Ebbero subito successo e diventarono presto strisce giornaliere.

Per l’arrivo di Paperino in Europa si dovette aspettare il 1936, quando il fumettista jugoslavo Vlastimir Belkić ottenne il permesso di utilizzarlo in coppia con Topolino in alcune avventure lunghe, ispirate a quelle americane. Inedite in Italia, anticiparono le storie di Pedrocchi sotto molti punti di vista, tra i quali l’inserimento di personaggi creati da Gottfredson e da lui usati una o due volte soltanto, come il capo dei banditi di Topolino agente della polizia segreta.

Nel frattempo in Inghilterra cominciavano a essere distribuiti i corti di Paperino. Uno di questi (Don Donald) fu di grande ispirazione per William A. Ward, un vignettista poco conosciuto a cui fu chiesto di scrivere e disegnare le prime storie britanniche con il personaggio. Di quel filmato, Ward ripropose i protagonisti: un papero iracondo e la sua fidanzata messicana, Donna Duck, e il 15 maggio 1937, con alcuni mesi d’anticipo sull’uscita del giornale di Pedrocchi, pubblicò la sequenza iniziale della prima storia lunga intitolata a Paperino.

Il primo Paperino britannico, che anticipa di qualche mese quello di Pedrocchi

Ward però era uno sceneggiatore mediocre. Non aveva capito quasi nulla dell’interprete che aveva tra le mani, né si era documentato troppo sul suo passato. Creò per lui un cast di comprimari che ben presto offuscarono la sua presenza diventando i veri protagonisti, buoni o cattivi che fossero. Tra questi ultimi un posto d’onore spettò a Eli Squick, ideato in precedenza da Gottfredson come antagonista di Topolino (e che anche Pedrocchi avrebbe ripreso in un secondo momento).

Tra Marte e Saturno

Molto più importante per la crescita di Donald Duck fu proprio Paolino Paperino e il mistero di Marte, storia pubblicata per 18 settimane, tavola dopo tavola, sul nuovo periodico Mondadori. Non brillò per originalità, anzi: Pedrocchi commise sicuramente molti errori, ma quantomeno offrì una lettura esaustiva del personaggio, che teneva conto di tutte le sue incarnazioni precedenti ed entrava quasi in dialogo con loro.

Più che renderlo maggiormente popolare, tutto lascia pensare che l’autore volesse dare continuità a Paperino, creando per lui un ciclo simile a quello del Topolino di Gottfredson. Paperino e il mistero di Marte doveva essere l’ideale tassello iniziale di un progetto più ampio che si interruppe dopo soltanto 6 storie nel 1940, poco prima che si incrinasse il rapporto tra Pedrocchi e Mondadori.

Nell’incipit del Mistero di Marte Paperino ha dimenticato le chiavi di casa ed è costretto a dormire sulla panchina di un parco pubblico. Al suo risveglio rischia di dover pagare una multa per oltraggio a pubblico ufficiale, ma per sua (s)fortuna due folli scienziati lo rapiscono e lo conducono su Marte. Qui entra in contatto con il capitano Bluff, anche lui vittima dei cattivi, e grazie alle sue indicazioni riesce ad accumulare sufficiente energia solare per sconfiggere tutti e riportare la pace sul pianeta.

L’odio di Paperino per le zanzare secondo Taliaferro (sopra) e Pedrocchi (sotto)

Già da questa breve descrizione si intuisce che la storia abbraccia più generi, dal thriller (la fuga dal poliziotto) alla fantascienza (il viaggio nel cosmo), dal noir (il mistero a cui allude il titolo) all’epica (la lotta contro i malviventi che si risolve solo dopo tre tavole, un sesto del totale) e si serve di molti leitmotiv della letteratura popolare. Uno di questi è il mistero, che però non riveste il cuore della vicenda come ci vuole far credere il titolo, perché si esaurisce nel giro di poche tavole. Gli inganni che subiscono i due protagonisti, oltre a richiamare un altro topos del romanzo d’appendice, rispecchiano invece la differenza di acume tra di loro: se Bluff subisce un raggiro premeditato, come lui stesso ricorda in un flashback, Paperino si lascia catturare con molta più ingenuità.

Si nota già una prima differenza con Ward: l’autore britannico aveva creato per Paperino una figura di contorno che aveva molte cose in comune con Butch lo sgozzatore, un personaggio ideato da Gottfredson nel 1930 e che aveva stretto amicizia con Topolino dopo aver prestato servizio in una banda di criminali. Ward, però, non era riuscito a sfruttare la ricchezza di una dinamica simile e aveva dato per scontato che a Paperino servisse una spalla più “tonta” di lui. Al contrario, Pedrocchi capì di avere bisogno di una controparte più brillante, che interagisse con Paperino più per esigenza che per volontà. Ed è proprio ciò che accade in Paolino Paperino e il mistero di Marte: il protagonista sgomina gli scienziati cattivi e l’aiutante lo riporta a casa.

L’influenza di Gottfredson si percepisce anche nell’intreccio e nei disegni. Non a caso, nel 2012, i critici americani descrissero la storia come «la più importante di ispirazione gottfredsoniana senza Topolino», riferendosi soprattutto alle matite di Pedrocchi, che aveva copiato le fattezze dei personaggi delle strisce mantenendone le espressioni facciali. Per raffigurare il parco pubblico della prima tavola si era invece rifatto agli one-shot di Taliaferro.

Ma la principale fonte d’ispirazione fu senza dubbio Saturno contro la Terra, storica serie di fantascienza che aveva debuttato nel 1936 sulle pagine de I tre porcellini proprio su testi di Pedrocchi, che infatti sulle prime aveva pensato di ambientare sul pianeta ad anelli anche l’esordio italiano di Paperino.

Sebbene le due storie abbiano molto in comune, per la presenza in entrambe di un perfido scienziato che ostacola l’aiutante dell’eroe, di fatto dialogano pochissimo. Al contrario del ciclo di Saturno, a Paperino e il mistero di Marte manca una scrittura che renda merito alle comparse, che assuma il punto di vista delle due tribù marziane (i Pindo, buoni e i Pondo, cattivi) e che si interessi di più ai loro problemi sociali.

Il razzo dei saturniani (Scolari) a confronto con quello di Paperino (Pedrocchi)

E questo non è nemmeno il difetto più evidente. La storia presenta infatti anche alcuni errori grossolani che si aggiungono alle tante debolezze figlie del loro tempo, come quando Bluff realizza di non aver mai commesso il reato di cui era stato accusato e non prova alcuna sofferenza, o come quando Paperino non batte ciglio scoprendo di non aver assorbito sufficiente energia solare per diventare «l’essere più forte dell’universo».

Molto strano per uno come lui, ma tutto sommato giustificabile, vista la scelta di Pedrocchi di renderlo un personaggio ricco di contraddizioni. Il papero va su tutte le furie se qualcuno lo sveglia, ma è il primo a disperarsi se teme di non rivedere Clarabella, che per l’occasione veste i panni della sua fidanzata; scappa di fronte ai marziani pacifici, ma è disposto a battersi con quelli più ostili; viene rapito con facilità dai due furfanti, ma si finge morto per liberarsene. È un adolescente in balia della trama, che prende poche decisioni con la propria testa e che di rado impara dagli errori.

Le nuove stelle del firmamento Disney

Il primo Paperino animato era poco più che una comparsa. Osborne aveva scommesso su di lui facendolo recitare con Topolino e fissando preliminarmente i suoi tratti distintivi. Taliaferro l’aveva reso protagonista di una striscia di successo, che dopo la Seconda guerra mondiale avrebbe assunto un atteggiamento più critico sulla società statunitense. Ward aveva scritto un personaggio completamente diverso dall’originale, destinato a non influenzare nessuno, e Pedrocchi doveva essersene reso conto.

Paperino bombarda (o viene bombardato da) una cometa, quasi in slow-motion

Nel 1938, infatti, in un suo promemoria definì le storie prodotte in Gran Bretagna «troppo ingenue» per meritare una pubblicazione italiana. Ciononostante, nei suoi cinque fumetti successivi con Paperino avrebbe commesso gli stessi errori del collega: trame infantili, comprimari inopportuni e un eroe infallibile al posto dello sfortunato protagonista, oltre a buchi narrativi molto simili a quelli del Mistero di Marte.

Pochi mesi dopo la pubblicazione dell’ultima di queste storie, in America nacque una nuova testata che inizialmente ripubblicò strisce e tavole di Topolino già apparse sui quotidiani, ma che già dopo alcune uscite propose molto materiale inedito. Era Walt Disney’s Comics and Stories, sulle cui pagine, nell’aprile 1943, esordì come autore unico Carl Barks. Il cartoonist dell’Oregon, per l’occasione, sviluppò un soggetto ricevuto qualche tempo prima con queste indicazioni: «Ecco una storia di dieci tavole con Paperino. Spero ti piaccia. Naturalmente devi elaborarla, e se ritieni che debba essere rinforzata, o che devii da Paperino nella narrazione o nell’azione, ti prego di apportare le necessarie migliorie».

Barks era reduce da una lunga militanza nello Studio Disney, dove aveva progettato e scritto alcuni cortometraggi con Paperino, di cui conosceva bene sia le potenzialità sia gli errori che si rischiava di commettere utilizzandolo. Questa breve storia (Victory Garden) lo rese il primo fumettista a misurarsi con lui proprio dai tempi di Pedrocchi, e gli permise di impratichirsi con un linguaggio che masticava ancora poco. Inutile dire che quasi tutti gli autori successivi, sia italiani sia stranieri, si sarebbero fatti influenzare più da quelle dieci tavole che da Paolino Paperino e il mistero di Marte. Per un motivo molto semplice, che esula dai (tanti) difetti della storia dell’autore italiano.

“Victory Garden” (pubblicata in Italia con il titolo “Paperino e i corvi”), testi e disegni di Carl Barks

All’umorismo avventuroso delle strisce di Gottfredson, Barks preferiva un’ironia genuina, che lo rendesse partecipe del racconto e gli facesse assumere di volta in volta il punto di vista di tutti i personaggi, criticando il loro comportamento o premiando le loro scelte. Lo si capiva fin da quella prima storia, dove tre corvi dispettosi impedivano a Paperino di coltivare un orto nel giardino di casa: tutto si risolveva grazie a un colpo di fortuna inatteso che vanificava l’azione dei “cattivi” e rendeva giustizia agli sforzi dell’eroe.

Victory Garden non fu certo un capolavoro, ma rispetto alle storie di Pedrocchi diede l’idea che quel papero non stesse soltanto recitando un copione. Non era la star di un blockbuster ambientato su Marte, né cadeva ingenuamente nelle mani di due banditi. Come molti privati cittadini americani rispondeva a una richiesta del governo, amministrando un “giardino della vittoria” e proteggendolo dalle mire dei corvi. Era ancora un personaggio monodimensionale, molto lontano dal salto evolutivo che avrebbe compiuto negli anni Cinquanta, ma ricopriva un ruolo idoneo al proprio spessore, senza doversi spostare di casa per far ridere i lettori.

Nonostante le premesse interessanti, Pedrocchi aveva fatto muovere Paperino in una realtà troppo simile a quella di Topolino per poterne approfondire sul serio il carattere. Aveva adottato lo stesso umorismo, rubato le stesse situazioni e copiato persino gli stessi disegni di Gottfredson. Si era deciso a spedire il papero su un altro mondo, ma non aveva pensato così in grande da creare per lui un mondo altro, come invece avrebbe fatto Barks.

In Italia, per realizzare nuove storie con i personaggi Disney, solo Guido Martina si rifece in parte alla produzione di Pedrocchi. Anche lui elaborò i suoi primi soggetti accostando diversi episodi narrativi poco in dialogo fra loro e, sul modello di Biancaneve e il mago basilisco e I 7 nani cattivi contro i 7 nani buoni, scrisse tutti i suoi sequel a fumetti del classico Disney Biancaneve e i sette nani. L’unico insegnamento che rifiutò fu proprio quello di Paolino Paperino e il mistero di Marte, che aveva aperto la strada a un papero più complesso e sfaccettato. Il “professore” preferì esplorare la sfumatura più accidiosa del suo carattere, tralasciando quasi sempre le altre.

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Il “Mistero di Marte” (1937) a confronto con “Paperino 3D” di Guido Martina (1954)

Il fumetto di Pedrocchi era quindi destinato a fare la fine di quelli prodotti in Inghilterra, passando alla storia più per i primati stabiliti che per il suo valore. In poco meno di 90 anni è stato ristampato integralmente solo cinque volte, due delle quali per un pubblico ristretto di collezionisti e quasi sempre in occasione di celebrazioni del personaggio titolare.

Di sicuro ciò è dovuto alla difficoltà di stampare le tavole pensate per un giornale (20×19 cm) nei formati più piccoli delle classiche testate Disney. Ma in ogni caso, anche quando la storia è riapparsa in edizioni di lusso senza subire censure, la bontà dell’operazione non ha potuto riscattare la scarsa qualità della storia, quasi del tutto indigeribile per il pubblico moderno.

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