
Tra le note del telefono ne ho una intitolata “salone” in cui avevo buttato gli appuntamenti e tutte le cose che avevo bisogno di annotarmi per la mia permanenza al Salone del Libro di Torino, tenutosi dal 18 al 22 maggio 2023 (sono sicuro esistano modi migliori di organizzarsi la vita, l’ultima volta che ho visto Antonio Dini mi ha spiegato almeno due o tre scorciatoie del telefono, ma tant’è). Dentro “salone”, tra la lista di posti che mi avevano consigliato dove andare a mangiare, il promemoria di andare a prendere i crubik alla Farmacia del Cambio (sì, sta emergendo un sottotesto gastronomico involontario) e l’elenco degli incontri, ho appuntato diverse parole, tra cui “chiarezza”.
Ora, per me è stata la prima volta al Salone, provo a risparmiarvi considerazioni che potrebbero sembrare sconcertanti superficialità («Ah, sì, qui ci sono stato per una Torino Comics da piccolo», «raga ho appena dato indicazioni a Goffredo Fofi», «servizi 10/10 would recommend») o un’opinione mal nutrita, dato che mi è impossibile fare confronti.
Ma per quello che ho vissuto, l’ultimo anno di direzione di Nicola Lagioia (il testimone passerà ad Annalena Benini) mi pare sia stato un anno di estrema chiarezza, nelle intenzioni e negli obiettivi, soprattutto per quanto riguarda i fumetti, la cui presenza al Salone sta diventando più di una semplice medaglietta da appuntarsi al petto per farsi fregio di biodiversità editoriale o per accalappiare i lettori di manga.
Al Salone gli spazi sono promiscui, il fumetto si mescola alle altre attività con salutare noncuranza. Gli stand delle case editrici di fumetti – alcune come Bonelli e Panini tornavano al Salone dopo anni – si alternano a quelli degli editori di libri e, allo stesso modo, con l’eccezione della Sala fumetto (dedicata a incontri fumettocentrici), nell’area dedicata alle presentazioni o ai panel l’agenda del giorno avvicendava gli argomenti più disparati.
Erano presenti grandi e piccoli editori di letteratura e varia che hanno iniziato ad avvicinarsi al fumetto ma che solitamente non partecipano alle fiere di settore, come L’ippocampo, che quest’anno festeggiava i vent’anni di attività e aveva allestito uno stand fuori di testa (ovvero: il più bello), minimum fax, ADD o 21lettere – tutte occasioni per i lettori di scoprire letture nuove. Di contro, grandi e piccoli editori di fumetto che al Salone non sono mai venuti, quest’anno hanno avuto la possibilità di intercettare nuovi lettori.
Insomma, ci sono state commistioni a ogni latitudine: si è parlato di cinema e videogiochi applicati al fumetto, anche con sguardo storico, i fumetti Disney hanno mostrato il loro lato letterario con gli adattamenti manzoniani o la collaborazione con Licia Troisi; Francesca Mannocchi ha dialogato con Igort, Christian Raimo con Manuele Fior, a sua volta autore della copertina del podcast su Giovanni Falcone di Roberto Saviano, che era lì a presentarlo. Zerocalcare, grazie anche alla presentazione della sua nuova serie tv per Netflix, è poi stato il protagonista di uno degli eventi con più partecipazione di pubblico in assoluto, riempiendo i 600 posti dell’Auditorium che solitamente ospita incontri con personalità della popolarità di Alberto Angela.
È stato un programma fumettisticamente variegato, pensato per bambini, adulti e professionisti (autori, editor, insegnanti, bibliotecari). Si andava da incontri su icone com Tex ed Eva Kant a eventi e laboratori con grandi nomi del fumetto italiano (Zerocalcare, Milo Manara, Silvia Ziche, Sio, Altan), passando per convegni sul manga, su Spider-Man, sui fumetti per bambini, omaggi a Oreste Del Buono o Tatsuki Fujimoto, fino a presentazioni di opere alternative come Bicycle Day di Brian Blomerth.
Margini di miglioramento, ce ne sono: penso al panel che ho avuto il piacere di moderare, “Fumetti bambini”, con cinque relatori e un tema talmente vasto – i fumetti per piccolissimi – da aver limitato le possibilità di approfondimento. Casi del genere non sono stati frequenti durante il Salone, ma sicuramente un’idea più circoscritta sulle tematiche avrebbe irrobustito la conversazione. Nulla di grave, comunque. Su oltre 1.000 eventi, sbavature del genere sono fisiologiche.
Gli incontri a cui ho assistito, tra laboratori per adulti e bambini, presentazioni e panel tematici, erano quasi sempre al completo o molto frequentati, anche nel caso di argomenti specifici o con relatori non particolarmente di richiamo per il pubblico generalista. In altre manifestazioni fumettistiche quegli stessi panel non credo sarebbero stati così affollati. La mia impressione, per forza di cose parziale, è confermata dai dati ufficiali: sui 215.000 visitatori, quest’anno 112.000 persone hanno presenziato ai 1.520 eventi. È il segno, forse, di un pubblico del Salone abituato, curioso e più incline a seguire questo tipo di formato, un pubblico che compra e consuma, ma ascolta anche.
Mi pare sia questo lo scarto importante. Investendo, portando cioè ospiti anche internazionali (quest’anno solo Tunué ha offerto una proposta di ampio respiro, invitando Paco Roca e Will McPhail) e facendoli scontrare con gli autori e il catalogo nostrani, ci sono tutti i presupposti per far accadere cose meravigliose – spingendo nella direzione delle commistioni di cui sopra – e far diventare il Salone del Libro anche un po’ quello del Fumetto.
In una recente intervista, il regista Paul Schrader ha detto che è diventato impossibile colpire il centro del bersaglio dello zeitgeist, creare eventi di cui tutti parlano e fruiscono, un discorso comune che ci tiene uniti come collettività, perché lo zeitgeist è andato in frantumi e «il bersaglio non ce l’ha più, un centro». Ecco, il Salone è la manifestazione libraria più importante d’Italia, e che il fumetto ne faccia parte – in maniera rilevante – penso sia un ottimo modo per provare a ricostruire quel bersaglio.
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