
L’inizio di The First Slam Dunk è di quelli spiazzanti: dopo un breve preambolo incentrato su Ryota Miyagi – quello che sarà il protagonista principale del film – lo schermo diventa totalmente bianco. Da qui, come per magia, riappare lo stesso Ryota, come se qualcuno lo stesse disegnando proprio in quel momento. A disegno concluso, il personaggio si anima e cammina verso lo spettatore. E, uno dopo l’altro, insieme a lui appaiono gli altri quattro membri principali dello Shohoku, la squadra di basket protagonista della storia, pronta ad affrontare i campioni dello Sannoh. Quando la squadra è al completo, lo sfondo si colora ed entriamo nel vivo del film (e della partita).
Con questa sequenza, Takehiko Inoue – autore del manga originario di Slam Dunk e qui anche regista – ha voluto subito mettere le cose in chiaro nel definire il passaggio e lo stretto collegamento tra l’origine cartacea della storia e questo film animato. Non è un caso che The First Slam Dunk inizi in media res: dopo l’incipit dedicato al passato di Ryota ci ritroviamo infatti subito catapultati nel bel mezzo di una partita decisiva. Mentre i secondi passano, il distacco fra la Shohoku e gli avversari si fa sempre più importante, fino a quando i giocatori non decidono di mettercela tutta, nonostante la stanchezza e le difficoltà individuali.
The First Slam Dunk è un anime atteso da tanti anni, poiché il finale della storica serie animata – trasmessa in Giappone dal 1993 al 1996 per la bellezza di 101 episodi e arrivata in Italia nel 2000 – escludeva il torneo interscolastico narrato invece nel manga. Questo lungometraggio è, quindi, innanzitutto un modo per chiudere un discorso iniziato molto tempo fa, dimostrando come l’universo narrativo di Slam Dunk sia lontano dall’essersi esaurito.
La scelta di Inoue è inoltre stata coraggiosa ma inevitabile, nel suo muoversi contemporaneamente su tre fronti: accontentare i fan che hanno amato il manga e che lo conoscono a menadito, cercare di coinvolgere chi invece non è così tanto appassionato dell’opera originaria e allo stesso tempo esporsi a una nuova generazione di spettatori che all’epoca della pubblicazione del manga o della trasmissione della serie tv era troppo piccolo o addirittura nemmeno nato.
Il primo elemento di congiunzione generazionale è narrativo: da una parte le dinamiche di gioco che già si conoscono, perché chi ha letto o visto Slam Dunk sa benissimo come si svilupperà la partita contro il Sannoh; dall’altra la scelta interessante di prendere un personaggio come Ryota, il playmaker dello Shohoku, e costruirci attorno una narrazione che giustifichi le sue scelte e le motivazioni. Ma Inoue, che con The First Slam Dunk ha esordito in veste di regista, ha optato anche per una frattura con il passato dal punto di vista visivo, scegliendo di realizzare questo film con una tecnica lontana da quella usata per la serie animata, che era in animazione 2D classica.
Per realizzare il film ci sono voluti più di dieci anni, dovuti infatti soprattutto al forte desiderio di Inoue di esplorare nuovi territori visivi (come raccontato qui molto bene). I fondali, in particolare, con la loro relativa gamma cromatica, sono frutto del lavoro combinato di Kazuo Ogura e Shiori Furusho, che hanno lavorato ai colori e ai dettagli degli sfondi combinando CGI e disegno analogico e che, nella resa finale, ricorda molto i risultati ottenuti dallo stesso Inoue per le copertine del manga.
L’incrocio tra analogico e digitale è il cuore pulsante di The First Slam Dunk: i personaggi, il cui character design è stato curato da Yasuki Ebara, sono stati realizzati in 3D, ma vi è stata applicata sopra una texture per creare le ombre e restituire allo spettatore una sensazione di disegno fatto a mano. I movimenti dei personaggi esplodono in tutta la loro dinamicità coadiuvati dal 3D, e le loro espressioni sono decisamente credibili. Insomma, la scelta anomala di realizzare un’opera tecnicamente ibrida è stata nettamente vincente.
In questo modo, Inoue è riuscito infatti a ottenere risultati sorprendenti nelle sequenze di azione di gioco che, a tratti, culminano in una sperimentazione linguistica e visiva straordinaria. Tutto, in The First Slam Dunk, concorre a generare un ritmo narrativo crescente e dinamico, e il film è adrenalina emozionale animata. Non solo le animazioni, ma anche il montaggio, le scelte registiche, l’uso del suono e della (ottima) colonna sonora. L’alternanza serrata tra suono, musiche e silenzio assoluto esaspera il ritmo, trasformando The First Slam Dunk in uno dei prodotti animati di genere spokon (ovvero anime e manga di genere sportivo) più affascinanti e convincenti degli ultimi anni, assieme a Ping Pong the Animation di Masaaki Yuasa e la serie Haikyu! tratta dal manga di Harauichi Furudate.
Ma ciò che convince di più del film è la scelta di Inoue di dare maggiore profondità ad alcuni personaggi che nella serie originaria erano più in disparte. La creazione in particolare di un mondo intorno Ryota, con i suoi traumi, le sue ferite interne, ha costituito la base stessa del del film. La forza e la bellezza di The First Slam Dunk stanno nel modo in cui il film racconta i lutti, i vuoti, i silenzi e le esplosioni di rabbia attraverso la caduta di Ryota nell’antro oscuro del dolore e della sofferenza e la conseguente voglia di proiettarsi verso un futuro che, fino a un certo punto, gli sembrava negato.
La partita contro il Sannoh assume così un significato diverso da quello che ci eravamo immaginati fino a oggi: se prima era un momento sportivo con cui realizzare il proprio sogno, ora è lo strumento con cui accettare la vita nonostante il dolore. E, in questo modo, The First Slam Dunk offre squarci di bellezza poetica e sospesa, una poesia del vivere e del soffrire attraverso l’esperienza intima e straordinaria dello sport.
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