
Che fine ha fatto Doonesbury? Che fine ha fatto il suo autore, Garry B. Trudeau? Ogni tanto qualche conoscente me lo chiede. Ne ha ben donde. Doonesbury è un pezzo di storia dei comics, ma anche del giornalismo americano. La daily strip nata nel 1970 sulle pagine di 28 quotidiani americani tramite il circuito di Universal Press Syndicate è stata l’equivalente di una delle grandi firme del giornalismo americano. Sul serio. Ha anche vinto il premio Pulitzer, prima striscia quotidiana ad averlo fatto (era il 1975). E poi?
Beh, le cose sono complicate. Perché 52 anni sono tanti. Uno si stanca. Il mondo cambia. Oppure no. Non è quello. Cominciamo con dire che Doonesbury non è sospeso, è solo ridotto. Dal 2014 esce la tavola della domenica sul Washington Post e basta, durante la settimana sono invece riproposte vecchie strip. Garry B. Trudeau non è in pensione e non è neanche perso dietro ad altri progetti. Era già successo, ad esempio nel 1983-1984, quando si prese quasi due anni di pausa (per l’esattezza 22 mesi) e si dedicò ad altro, tra cui la scrittura di un musical incentrato su Mike Doonesbury e gli altri personaggi della serie, che però non andò benissimo.
Ed è successo di nuovo nel 2013, perché Trudeau era stato convinto da Jeff Bezos (grande tifoso della strip e proprietario del Washington Post, oltre che new entry nel mercato dei servizi di streaming con il suo Prime Video) a scrivere i testi di una serie tv ambientata nella politica americana. Gli Amazon Studios produssero Alpha House, con uno spettacolare John Goodman: due stagioni, 21 episodi e tanto lavoro, perché fare tv sembra facile, ma in realtà è un impegno a tempo pieno, soprattutto per un autore. E poi gli americani sono delle macchine per creare riunioni e appuntamenti.
La serie peraltro non era niente male e richiedeva la capacità di Trudeau di rendere la politica “reale”. Alpha House era ispirata ad alcuni veri senatori democratici e repubblicani, che condividevano una town house a Washington. La serie ha avuto anche varie guest star, come Bill Murray e politici come Chuck Schumer nel ruolo di se stesso. Serviva la mano di Trudeau perché il suo talento è semplice: “vede” la politica americana. E la sua ossessione, alla fine, è sempre quella: la politica americana. Fin dal principio.
La prima cosa che Trudeau creò artisticamente fu la serie di strisce giornaliere Bull Tales, apparsa dal 1968 al 1970 sul giornale degli studenti dell’università di Yale, cioè lo Yale Daily News. Bull Tales raccontava storie centrate sul campus di Yale e aveva come protagonisti i prototipi di quelli che sarebbero diventati i protagonisti di Doonesbury. Con due peculiarità. La prima è la fisica dell’universo in cui abitano e la seconda è la strategia della forchetta (tra un attimo mi spiego meglio su questo secondo punto).
Il tempo è la caratteristica che costituisce uno degli aspetti chiave dell’opera di Trudeau. L’autore è nato il 21 luglio del 1948, cioè ha 74 anni, è coetaneo di George Bush Jr., presidente degli Stati Uniti messo alla berlina (come il padre) dalla daily strip di Trudeau, che era anche suo compagno di università a Yale.
Trudeau era benestante di famiglia e studiò nelle scuole “giuste”, tra cui Yale, che all’epoca (negli anni Cinquanta e Sessanta) era la fabbrica dell’establishment americano. Studiare là voleva dire far parte del boys club giusto, della cricca di potere. Trudeau lo interpretò come una opportunità per studiare dal vivo quelle creature, sia democratiche che soprattutto repubblicane, di cui poi ha deciso di raccontare le gesta nelle sue strisce. Per farlo però scelse un gruppo di protagonisti che avevano la sua età e che stavano invecchiando come lui.
Perché nel mondo di Mike Doonesbury – che si ricollega peraltro direttamente con quello di Bull Tales – il tempo passa come da noi e i personaggi crescono in maniera naturale, “organica”. I figli dei personaggi crescono. I nipoti dei personaggi crescono. E il cast, che è molto ampio (ce ne sono 24 “stabili” più tantissimi che passano, ognuno con una sua caratterizzazione), è arricchito dai personaggi reali della politica o della cronaca. Sulle strisce di Doonesbury sono passati tutti i presidenti americani e tanti altri politici che hanno lasciato il segno – soprattutto negativo – sulla società.
Lo spazio-tempo di Doonesbury infatti coincide non solo con il nostro tempo reale, ma anche con lo spazio: l’America che la striscia racconta (ma anche la Cina, l’Afghanistan, l’Iraq e altre parti del mondo) è quella vera. Certo, con piccoli angoli inesistenti (il college di Walden, le case dei membri del cast), ma tutto il resto è verissimo. Il mondo dove vive Doonesbury è il nostro mondo, solo che si legge sui giornali. E spesso si intreccia con la realtà, permettendo di averne una visione differente, satirica, nella migliore tradizione degli umoristi politici americani.
L’altro aspetto che avevo sottolineato prima è la “forchetta”. È una parola che viene dal mondo degli scacchi: si stratta di una mossa che mette sotto attacco da parte di un pezzo due pezzi avversari. Chi subisce la forchetta si trova nell’impossibilità di sottrarre alla cattura uno dei due pezzi minacciati e lo perde (a meno che non riesca a fare fuori il pezzo che attacca). Ecco, Trudeau ama questo approccio alle sue sequenze di strip o meglio ancora alle sue tavole domenicali.
Forse è dovuto alla maturità raggiunta con l’età o forse alla presenza di uno spazio diverso per mettere in sequenza la storia (le otto vignette su quattro strisce della sunday page contrapposte alle 3-4 vignette in linea della daily strip), fatto sta che da anni ormai praticamente ogni nuova uscita di Doonesbury è una storia costruita su due piani. In uno procede la vita dei suoi personaggi, con colpi e innovazioni alle volte sostanziali, e nell’altro si dà invece un colpo alla politica o alla cronaca nazionale americana.
Un esempio: nella pagina domenicale del 19 marzo, Trudeau sposa sia la politica nazionale americana (il ritrovamento di documenti top secret nella casa di Mar-a-Lago dell’ex presidente Donald Trump da parte dell’FBI, che ha portato alla sua incriminazione e probabile condanna) che la storia personale di Zonker Harris, personaggio che rappresenta l’hippie “puro” del gruppo di amici di Walden, un incrocio fra Pierrot Lunaire e il Candide di Voltaire.
Zonker anni fa comprò un titolo nobiliare britannico e fece un tour nel Regno Unito piuttosto divertente, durato per un pezzo degli anni Ottanta. Adesso, per via del memoir del principe Harry che ha riacceso vecchi ricordi, va a rivedere in soffitta due o tre vecchi scatoloni con i documenti del suo periodo “nobiliare” e scopre di avere anche dei documenti top secret. Esattamente come Donald Trump.
Giocando in questo caso addirittura su tre piani diversi, Trudeau porta avanti sia la storia personale di Zonker e di suo nipote, che hanno aperto da alcuni anni una attività di produzione di marijuana legale, sia quella della politica americana, mettendo in ridicolo ancora una volta Donald Trump, vero arcinemico non solo letterario di Trudeau.
Ai miei amici che mi chiedono quale sia stata la fine di Doonesbury e quindi di Trudeau rispondo che non è finito niente, e che in questa stagione della vita il mondo creato dall’autore americano prosegue, anche se a una velocità minore, ma sempre gustosa. E sinceramente ancora più fruibile che non con un diluvio di dialy strip che non sarebbero più qualitativamente all’altezza degli anni migliori (cioè la seconda metà degli anni Settanta e tutti gli Ottanta e Novanta).
Trudeau ha vinto tutto e di tutto (compreso premi per il cinema e la televisione, oltre al Pulitzer), ha ottenuto una trentina di lauree honoris causa e in realtà non si è proprio mai fermato. Sta facendo molte altre cose all’interno di una carriera estremamente densa, che secondo me è ingeneroso racchiudere solo nella categoria dell’autore di comic strip. Dai tempi della guerra in Iraq all’inizio degli anni Novanta, infatti, Trudeau si è concentrato moltissimo sui combattenti e sui veterani americani, con un’idea di fondo simile a quella che ebbe Pier Paolo Pasolini quando scrisse, all’indomani degli scontri di Valle Giulia: «Io simpatizzavo coi poliziotti. Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da subtopie, contadine o urbane che siano».
Il lavoro di Trudeau per i veterani è stato tale e talmente ampio. L’autore la dedicato lo spazio online sul suo sito web The Sandbox a chi ha combattuto o stava combattendo per gli USA, dandogli la possibilità di scrivere quel che pensava e sentiva, e ha ospitato più di 800 saggi di militari impegnati a esportare la democrazia a giro per il mondo. Trudeau ha dato una attenzione non comune nei media statunitensi alla parte più vulnerabile, complessa, ferita e spesso anche fisicamente o psicologicamente mutilata (ci sono due personaggi chiave di Doonesbury che sono ex militari, entrambi con addosso i segni della guerra, e un assistente psicologico). Tanto da ricevere molti riconoscimenti, sia da parte di associazioni di ex combattenti che addirittura da parte di alcune unità operative.
Insomma, a chi mi chiede che fine ha fatto Garry B. Trudeau rispondo che è là fuori e lotta insieme a noi. Con i suoi tempi e il suo modo. Ma va alla grande.
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Antonio Dini, giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. La sua newsletter si intitola: Mostly Weekly.
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