“Elemental” è tutti i limiti della Pixar di oggi

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La notizia, di poco tempo fa, che per motivi economici Pixar ha licenziato 75 persone sarebbe già di per sé motivo di riflessione, poiché parliamo di uno degli studi di animazione più importanti al mondo. Che tra queste 75 persone ci fossero anche Angus MacLane, regista del fallimentare Lightyear, e la produttrice Galy Susman, entrambi personaggi storici della Pixar, è emblematico della profonda crisi che sta vivendo lo studio. È evidente che un ciclo si sia chiuso, e che un cambio di rotta sia necessario.

Elemental, ultimo lungometraggio Pixar diretto da Peter Sohn, ne è la conferma: un film che vive di incertezze, che si accontenta, che imbocca la via più sicura, ma fallisce comunque al giudizio più severo, quello del mercato. Elemental è infatti il peggior esordio della storia della Pixar, avendo incassato solo 28 milioni nel weekend di debutto negli Stati Uniti. 

Il mondo di Elemental è composto dai vari elementi che convivono insieme: fuoco, terra, aria, acqua. Ciascuno ha le sue caratteristiche, le sue tradizioni, i suoi quartieri. La protagonista è Ember, una ragazza di fuoco che lavora nel negozio di famiglia. Il suo temperamento le impedisce di mantenere la calma e gestire al meglio le situazioni con i clienti, ed è per questo che suo padre non è ancora andato in pensione.

Tutto però è destinato a cambiare quando, in seguito a un incidente provocato dalla stessa Ember, il negozio si allaga e lei fa conoscenza di Wade, uomo d’acqua e ispettore che verifica che gli edifici siano a norma. I due sono attratti l’uno dall’altra ma le differenze sembrano insormontabili.

Elemental è un film godibile e perfetto per le famiglie. E, com’è giusto che sia, visto l’investimento economico che Pixar ha fatto e continua a fare sul fronte tecnico (in particolare sul software Renderman che sta spostando sempre di più l’animazione verso un effetto fotorealistico), la resa visiva è straordinaria.

È anche interessante la scelta di lavorare sul design dei personaggi che, proprio  in virtù delle loro caratteristiche intrinseche, mutano, cambiano forma e colore. In particolare il lavoro su Ember è affascinante, proprio perché legato al suo temperamento e alle sue specificità. 

Il film è per lo più ambientato a Element City, la città in cui convivono tutti gli elementi. Si intuisce qualcosa del mondo esterno, cioè che esistono altri luoghi dove vivono i singoli elementi, ma è tutto molto vago. Per esempio, si scopre che i genitori di Ember sono immigrati scappati dalla loro terra natia. Le caratteristiche di Element City ricordano, per dinamiche e proprietà, la città di Zootropolis in cui vivono assieme tutti gli animali nei differenti clima. 

E questo è un primo limite di Elemental: per quanto visivamente affascinante, il film è l’accumulo di esperienze cinematografiche Disney e Pixar già vissute altrove. Persino il rapporto tra i due protagonisti ricorda quel processo di attrazione/innamoramento di Zootropolis. C’è quest’ultimo, ma c’è in piccola parte anche Inside Out. E, nel rapporto con i genitori, anche Red. La sensazione, insomma, è che Elemental abbia pochi spunti davvero originali, sorprendenti, capaci di far scaturire quella meraviglia che, in passato, aveva ammaliato spettatori in tutto il mondo.

Per quanto riguarda l’impianto tematico, anche qui i problemi di Elemental sono diversi. Gli intenti di Peter Sohn e del suo staff sono nobili e gli argomenti più che validi, ma i concetti che costituiscono il cuore tematico di Elemental sono troppi e non hanno sufficiente spazio, risultando quindi troppo vaghi o appena accennati. 

In Elemental si parla di differenze (che nell’economia del film sono fisiche, ma che si riferiscono ovviamente a quelle razziali, culturali, sociali e persino economiche) che anziché allontanare dovrebbero essere appianate dalla forza dell’amore. C’è una linea narrativa più mystery, che rappresenta la parte più debole del lungometraggio. C’è la storia d’amore impossibile. C’è ancora una volta una storia di padri, di pesanti eredità morali, un punto questo che sembra ormai ricorrente in casa Pixar. 

E, soprattutto, il tema centrale: quello dell’immigrazione. Peter Sohn è figlio di immigrati coreani, e l’esperienza di integrazione o non accettazione è il cuore di Elemental. E avrebbe anche spunti interessanti, se questi fossero stati trattati con il giusto approfondimento e, soprattutto, mescolati a tutti gli altri elementi narrativi.

La crisi della Pixar è meno evidente di quella di Disney Animation perché, nonostante i molti passi falsi, è riuscita a sfornare ottimi film come Red o il sottovalutato Onward. Ma l’equilibrio fra l’attenzione alla storia e ai temi e l’aspetto tecnico/visivo è ormai rotto e scompensato a favore di quest’ultimo. Il flop preannunciato di Elemental (che per Sohn sarebbe il secondo, dopo Il viaggio di Arlo) potrebbe avere conseguenze serie per lo studio con sede a Emeryville.

Oppure, in una visione più ottimistica, potrebbe rappresentare quel momento in cui fare il punto della situazione e ritrovare una strada ormai smarrita, magari lavorando proprio su quelle potenzialità che solo l’animazione può riservare.

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