“Gli strati” di Pénélope Bagieu: se l’ironia non basta

di Valeria Righele

gli strati penelope bagieu bao publishing

Se glielo avessero chiesto dieci o venti anni fa, Pénélope Bagieu avrebbe risposto che no, non avrebbe mai e poi mai pubblicato un libro dedicato ai ricordi della sua giovinezza. Nelle interviste tuonava: «Tutto tranne l’autobiografia». Certo, il suo primo blog (Ma vie est tout à fait fascinante, attivo dal 2007 al 2014) nasceva dall’esigenza di raccontare in maniera disimpegnata, attraverso i fumetti, le sue disavventure lavorative e amorose. 

Si trattava però di una narrazione filtrata attraverso la voce del personaggio di Pénélope Jolicoeur, brillante shopaholic divisa tra fidanzati sgradevoli e abitazioni minuscole. Pur essendo un suo dichiarato alter ego, rimaneva comunque una mediatrice. A suo dire, tradurre su carta piccoli accadimenti del quotidiano per strappare una risata era ben diverso rispetto al mettersi a nudo, in prima persona, senza curarsi di poter risultare troppo esplicita o poco comprensibile.

Sopraggiunta l’alba dei quarant’anni, l’autrice francese ci ha però ripensato. Rileggendo vecchi diari si è sentita finalmente pronta a parlare di sé senza dover scomodare altri personaggi o camuffare la sua voce. In quei taccuini polverosi c’era infatti materiale a sufficienza per il suo nuovo libro: Gli strati (in originale Les strates). Uscito a marzo in Italia per Bao Publishing (che in precedenza aveva portato nel nostro Paese i lavori più recenti e interessanti di Bagieu, come California Dreamin’ e Indomite) Gli strati è composto da quindici brevi storie incentrate su eventi che hanno traghettato l’autrice verso l’età adulta. Storie scritte nel corso degli ultimi anni, nei momenti di pausa da altri impegni di lavoro.

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Sketchate, spontanee, libere nei dialoghi e nel tratto. Non sono state “ripulite” per la pubblicazione, per questo lo stile e l’impaginazione variano da un capitolo all’altro, assieme ai toni, ora più malinconici, ora più scanzonati. In Francia, per rimarcare l’intimità dell’oggetto o perlomeno del suo contenuto, il libro è stato pubblicato in un’edizione limitata con l’elastico per richiuderlo a mò di carnet d’artista.

Delusioni amorose, esperienze all’estero, lutti, amicizie, violenza di genere: la carne al fuoco ne Gli strati è molta. Da un lato è apprezzabile l’assenza di un preciso ordine cronologico a collegare i diversi capitoli – ordine che talvolta rende monotona e rallenta la fruizione di alcune opere autobiografiche –, dall’altro non si può fare a meno di notare come il registro ironico che da sempre costituisce la cifra stilistica caratteristica dell’opera di Bagieu risulti qui distrattamente calibrato, se non fuori controllo, finendo per restituirci un’opera meno coinvolgente (o catartica) di quanto forse lei stessa avrebbe desiderato

Considerato che si tratta di storie scritte col senno di poi, ci si aspetterebbe che Bagieu volesse “fare un punto”, riportare a galla questi ricordi per un motivo. È difficile in realtà trarne qualcosa di più di un banale incoraggiamento ad accogliere quello che la vita ci para davanti, nel bene o nel male.

In alcune delle storie del volume, l’autrice appare divisa tra la necessità di ironizzare su quelli che considera i suoi difetti (scarsa abilità negli sport, piccolo seno, timidezza nel rapportarsi ai ragazzi) e l’urgenza di “stemperare” queste confessioni enumerando quelli che considera i suoi successi. Due approcci che finiscono col contraddirsi e restituirne un ritratto frivolo

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Ne è un esempio L’ultima estate prima del 2000, dedicata alla sua tardiva scoperta dei metodi contraccettivi. Il racconto ribalta la sua biografia di adolescente impacciata e sfortunata in amore per dirci che Bagieu alla fine del liceo aveva tutto quello che desiderava, risultati scolastici, piercing e fidanzato da paura inclusi. Andare al mare in Corsica per un mese, ospitata da sua nonna, era la cosa peggiore che pensava potesse succederle.

Una simile ambiguità emerge anche da L’effetto orsacchiotto, storia in cui per raccontare la genesi della sua competitività ritorna al lontano momento della sua vita in cui, bambina, frequentava una scuola di sci. Nella vignetta di apertura, Bagieu si premura di inserire una didascalia per spiegare come in Francia sia imprescindibile abitudine dei ricchi mandare i figli in settimana bianca, ogni inverno. Un “cappello” che farebbe pensare ad una successiva riflessione su differenza di classe ed eventuale riscatto sociale delle meno fortunate, ma che invece viene presto dimenticato per rivelare che anche Bagieu frequentava questi corsi di sci: la stilettata era riferita più ai compagni di classe che a se stessa.

Questo difetto tocca in parte anche Il doudou, la storia dedicata alla memoria di sua nonna, che conclude il volume. Nella prima parte Bagieu rievoca il loro ultimo saluto, in una stanza d’ospedale a Parigi. È un dialogo frastornante: di fronte alla serenità con cui l’anziana si dichiara pronta ad andare incontro all’inevitabile («Voglio avere un po’ di pace»), la nipote reagisce con furore e rabbia, implorandola di restare («A me non va bene»), e a nulla servono i tentativi di consolazione («Queste frasi non vogliono dire niente lo capisci?!»). Un melò che riesce a salvarsi in corner nelle pagine finali, mute, dove è soltanto la matita di Bagieu, spontanea e flessibile, a comunicare il terribile dolore di questa perdita e svelare il significato del titolo.

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Tutto questo non significa che Bagieu sia una cattiva narratrice, di per sé. Le pagine in cui utilizza il testo con parsimonia sono le migliori de Gli strati. Quando affronta ad esempio il delicato tema dell’abuso sessuale e delle molestie (subite personalmente o da un’amica) lo fa in maniera esemplare e rispettosa. Presentandole inoltre come scene non isolate, ma ripetute in diversi momenti del libro, ci mette di fronte al fatto che le sue reazioni (paura paralizzante, impotenza, vergogna) rimangono le stesse a distanza di anni: questo, oltre a essere potente, è dolorosamente realistico.

È frustrante tuttavia osservare come il dolore privato di queste poche pagine – che spingono a riflettere sulla pervasività del male di genere – sia completamente disperso nel resto del libro dall’ironia autoriferita dell’autrice. Da un’autobiografia scritta in età adulta ci si sarebbe aspettate una riflessione più matura sul senso del vivere, una messa in discussione del proprio universo di comfort, una ricerca ponderata di parole che rappresentino il mondo e la società circostanti.  

Gli strati è invece una millefoglie dal forte connotato confessionale che ci presenta senza troppe sorprese una donna libera e sincera, ma a tratti francamente insopportabile. La Bagieu che eravamo abituate a considerare un’abile cantastorie altrui, ci guida attraverso il racconto di ciò che ha vissuto, senza però riuscire a scendere nella profondità del singolo episodio. Per l’opera della maturità di Pénélope Bagieu dovremo così aspettare ancora.

Gli strati
di Pénélope Bagieu
traduzione di Francesco Savino
Bao Publishing, marzo 2023
cartonato, 144 pp., B/N
20,00 € (acquista online)

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