
Sul finire dello scorso millennio, il futuro era visto come un evento deflagrante. Un’esplosione incontrollabile, qualcosa da tenere sotto controllo, da inquadrare, e quindi da raccontare. Lo “Shock del futuro” recitava il sottotitolo della rivista Cyborg, uscita agli inizi degli anni Novanta sotto la guida di Daniele Brolli, in cui una manciata di autori italiani – come Onofrio Catacchio, Francesca Ghermandi, Davide Fabbri, Massimo Semerano, Gianmarco Nizzoli, Antonio Fara, Giuseppe Palumbo, Davide Toffolo e Pasquale Del Vecchio – provò a dare forma a questo futuro indefinibile.
Non fu l’unico tentativo a quei tempi: un sentimento generale serpeggiava tra i giovani autori italiani, un desiderio febbrile e angoscioso di dare forma a questi nuovi immaginari. Lo shock era presente e vivo nella pelle degli anni Novanta. «Shock in My Town», avrebbe cantato pochi anni dopo Franco Battiato nell’album Gommalacca (1998), «stiamo diventando come degli insetti, simili agli insetti»: testo che fu ripreso integralmente da Catacchio come introduzione e dichiarazione poetica al volume Stella Rossa (Kappa Edizioni, 2001), una raccolta di tre episodi del personaggio nato nelle pagine della rivista Fuego (1990) e poi ripreso a puntate su Nova Express (Granata Press, 1991-96). Il cosmonauta Gregory Vostok è il vecchio protagonista di avventure ambientate in un futuro alternativo in cui l’Unione Sovietica ha vinto la sfida dello spazio e l’universo intero è un territorio da “terraformare” per adattarlo alle esigenze di un’umanità bulimicamente in cerca di nuove risorse.
Forse il capolavoro di Catacchio, Stella Rossa è già la rappresentazione di un futuro venato di nostalgia, dove le macchine producono mondi virtuali in cui sfuggire alla morte, estendendo all’infinito gli ultimi istanti prima della fine, e un’anziana umanità vagheggia una promessa di vita eterna de-mortalizzando la propria anima in giovani corpi indistruttibili. Non ci sono bambini, in Stella Rossa, non c’è un’idea di futuro, ma un’umanità ormai dedita solo alla propria sopravvivenza, come quegli insetti che compaiono sulle pareti delle astronavi e disgustano i personaggi succhiandone la pelle sintetica.
«Shock in My Town», cantava Battiato sui geniali testi finto-colti di Sgalambro. E in quella shockante confusione ci specchiamo ancora tutti. Negli anni Novanta il futuro era davvero uno shock presente, l’avvento della rete e della comunicazione diffusa stava imponendosi a una velocità tale da modificare rapidamente le nostre vite. Ora che quello shock sembra appartenere al passato, ci guardiamo indietro per ritrovare i segnali di quel futuro. Un futuro rassicurante al quale ancora chiediamo risposte per interpretare un mondo ormai superato. Il cyberpunk è ancora capace di spiegare questo nostro presente in- e post-covid? Forse no.
Esistono oggi delle avanguardie in grado di intercettare, se esistono, dei possibili segnali del futuro che ci attende? La fantascienza ecologista di Jeff Vandermeer (Borne e Trilogia dell’area X, Einaudi, 2018), ma anche i lavori di scrittori meno etichettabili come Antoine Volodine (Terminus Radioso, 66thand2nd, 2016), provano a dare forma all’era che sta nascendo. L’antologia Le Visionarie (a cura di Claudia Durastanti e Veronica Raimo, Nero 2015), che raccoglie racconti di fantasy e fantascienza femminista di sole donne, da Ursula K. LeGuin a Tanith Lee, da Leonora Carrington a James Tiptree Jr., sotto la supervisione di Ann e Jeff Vandermeer, propone un interessante punto di vista sulle narrazioni del futuro.
La raccolta di articoli e saggi I sogni si spiegano da soli di Ursula K. LeGuin (a cura di Veronica Raimo, Big Sur, 2022) persegue la medesima ambizione, nel definire un immaginario che non sia solo critica radicale del tempo presente ma anche visionaria proposta di futuro, cercando di superare gli schemi consolidati e umano-centrici per ambire ad essere «realisti di una realtà più grande».
Il concetto di “iperoggetto” (cui Vandermeer deve più di qualcosa) ideato dal pensatore inglese Timothy Morton (Iperoggetti, Nero, 2018), è uno strumento prezioso per spiegare quello che sta accadendo. L’iperoggetto è un’idea di oggetto, di costrutto sociale e prodotto dall’uomo, completamente nuova, estesa temporalmente e spazialmente, ma capace di avere effetti sulla realtà quotidiana. Iperoggetto per eccellenza è il riscaldamento globale. Un fenomeno che, come ci spiega Amitav Ghosh (La grande cecità, Neri Pozza, 2019), è ancora relegato a una narrazione fantascientifica, distopica e lontana dalla nostra quotidianità. Occupati a guardare il futuro alle nostre spalle, ancorati a un’idea di futuro nostalgica e passatista, non ci accorgiamo che la distopia è diventata invece la narrazione esatta del nostro presente.
Nell’era dell’Antropocene, nella quale l’uomo per la prima volta si trova a percepire l’effetto che la sua presenza sta provocando sul mondo, narratori, artisti e filosofi stanno iniziando a riflettere sul concetto di post-umano, immaginando un futuro al di là dell’umanità, interrogandosi sulla direzione che l’astronave-mondo sta prendendo, con o senza di noi. Una narrazione del Collasso di cui lo scrittore e antropologo Matteo Meschiari in diversi testi (per esempio in La grande estinzione, immaginare ai tempi del collasso, Armillaria, 2019) fornisce delle coordinate utili a orientarsi.
Non si esce vivi dal cyberpunk, dicevamo altrove. Ma forse immaginare il futuro non è più solo una questione da demandare alla fantascienza o alla fiction tradizionale. Come ci insegnano le avanguardie, intercettare il futuro serve invece a capire il mondo in cui viviamo. Narratori acuti come Giacomo Nanni provano a cambiare punto di vista, sfuggendo alle maniere dell’egocentrismo (e dell’antropocentrismo) per raccontare i pensieri di un capriolo, gli effetti di un terremoto, la nascita di una nuova specie di esseri viventi (Atto di Dio, Rizzoli Lizard, 2018).
Il racconto del post-umano è un tentativo di andare oltre il nostro sguardo, con la consapevolezza che la fine dell’uomo non è per forza la fine del mondo. La sfida della narrazione in generale sta proprio nella sua capacità di cogliere i mutamenti, le paure, le opportunità che si affacceranno nei prossimi anni. Non è più tempo di cercare il futuro alle nostre spalle. Lo shock del futuro è di nuovo davanti a noi.
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