“Nato in Iran” di Majid Bita è una testimonianza preziosa

nato in iran majid bita

Majid Bita ha trentotto anni. Vive a Bologna e ha conseguito da poco un diploma in Linguaggi del Fumetto. Il suo esordio editoriale, Nato in Iran, è una raccolta di racconti autobiografici. Da esiliato, la distanza sia geografica che linguistica l’hanno aiutato nel conferire consistenza ai ricordi attraverso tavole in cui  immagini e parole trovano un magico equilibrio. O forse sarebbe meglio dire dove le parole lasciano il posto alla complessità di immagini evocative e, per certi versi, consolatorie.

Immergersi nel flusso narrativo di Majid Bita è difficile: non per la complessità di quello che narra o per la maniera, ma per il tono. La memoria è un meccanismo strano, che quando cerca di ricostruire il passato non sempre restituisce l’evento alla propria oggettività: lo interpola, lo sublima, lo ridefinisce. Tutto ciò dona ai ricordi di Majid un gusto onirico ma attraversato da una strana immediatezza, una specie di familiarità che lascia senza fiato il lettore. Le prime pagine di Nato in Iran, ambientate nel 1989, quando Majid era poco più che un bambino, hanno qualcosa di perturbante. Ci si sente pervasi da una strana sensazione, come se fossimo vittime di una paralisi ipnagogica.

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Il tratto di Majid Bita è sospeso tra un nero claustrofobico che rimanda al trattamento materico di Andrea Bruno e il tratto naïf di David B., ma conserva una sua precisa identità. Nelle deformazioni anatomiche e nel tratteggio nervoso sembrano affiorare tanto le lezioni dei fregi persiani quanto una gestualità infantile. In questo improbabile intreccio di forze, le chine di Bita assumono un andamento rabdomico, quasi a voler scalfire la superficie del foglio. Il gesto è una forma di catarsi: la sensazione è quella di muoversi in una di quelle vecchie soffitte dove la polvere, illuminata da imprevedibili fasci di luce, acquista a un tratto  consistenza materica, un’aura che circonda gli oggetti e li pone in una dimensione metafisica. 

Dopo aver tentato la strada della scrittura creativa, Majid Bita ha capito che le parole, soprattutto di una lingua straniera, non bastavano a comprendere i suoi vissuti, e ha cercato di posizionarsi a metà strada tra parola e disegno. Sono nati così i racconti a fumetti. Il fumetto come linguaggio di confine ha permesso all’autore di parlare della peculiare natura dell’esiliato, un essere dislocato, a metà strada tra il passato e il presente. Una sensazione di disagio – non si è mai a proprio agio nella casa d’altri – e che mette a disagio gli altri, perché l’esiliato è inconsolabile, sa di aver perso irrimediabilmente qualcosa e vive l’irrequietezza del nuovo sotto la categoria della sconfitta. 

In Nato in Iran è possibile toccare con mano l’urgenza di una scrittura biografica che trascende l’individualità per farsi un apologo sulla necessità della libertà, sul rischio di essere semplicemente se stessi in una terra in cui ascoltare musica, leggere un libro, guardare un film – gesti routinari e scontati per noi – sono illegali. Nei racconti di Bita è possibile toccare con mano l’oppressione, la claustrofobia, l’idea di essere intrappolati in un tempo alieno dove il respiro della modernità sembra essersi spento e lo spettro di una burocrazia acefala incombe dappertutto: anche richiedere un semplice visto diventa un’esperienza alienante. 

Nato in Iran – a vent’anni da opere importanti come Persepolis e Pollo alla prugne di Marjane Satrapi – è un esordio tardivo ma prezioso, che in un momento importante come questo per il paese mediorientale diventa una testimonianza fondamentale da parte di un autore e un intellettuale sospeso tra memoria e desiderio.

Nato in Iran
di Majid Bit

Canicola, aprile 2023
cartonato, 360 pp., B/N
25,00 € (acquista online)

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