
Alla fine, sapete cosa: il reboot dei Transformers è decisamente meno peggio di quel che temevo. Anzi, nonostante ci sia ancora in circolazione Michael Bay (fondamentalmente nel ruolo di quello che prende i soldi, tanti soldi), l’idea di ripartire dal film del 2018 Bumblebee (che ho rivisto pochi giorni fa per prepararmi a questo ed era “non male” anche lui) è stata una buona idea ed è venuta abbastanza bene. Transformers – Il risveglio è infatti il prosieguo – uscito con un ritardo di un anno circa causa covid e altri problemi – di quello con il solo Bumblebee ed è decisamente un film decente.
Certo, la storia di Transformers – Il risveglio (ma in inglese il titolo è meglio: Rise of the Beasts) non sarà studiata nelle scuole di cinema. Certo, la regia non è di quelle che creano un nuovo stile (nonostante Steven Caple Jr. sia quotato, ma diciamo che non è esattamente un regista da Oscar). Certo, le recitazioni di Anthony Ramos (più bravo a cantare che non sul set, evidentemente) e di Dominique Fishback (marginalmente più brava del collega, ma è una gara dura verso il basso) si dimenticano prima ancora di essere usciti dalla sala del cinema. Per fortuna.
Certo, ci sarebbe poi il cast di voci dei vari bestioni, che avrebbe anche dei nomi importanti (Ron Perlman, Peter Dinklage, Michelle Yeoh e Liza Koshy, per dire), ma tanto il doppiaggio italiano li fa scomparire nell’anonimato più mediocre dei vari “bro” e “yo” detti da attori di teatro che cercano l’inflessione da periferia romana seguendo il “metodo” di famiglia.
Certo tutto quello che volete, però a vedere questo film ci si diverte. Le ambientazioni sono in tutto tipo sei, ma curate bene. Hasbro e SkyDance non si ono risparmiate, si vede che hanno quattrini da spendere. C’è Brooklyn, c’è Ellis Island, c’è il Perù, c’è sotto il Perù, c’è nello spazio profondo. Cosa volete di più? Gli alieni sono automobili o bestie meccaniche e vagamente pelose che passano le loro giornate a trasformarsi, parlare con voci amplificate e a darsele di santa ragione. Ripeto, che volete di più?
I criteri con cui i Transformers e i loro alleati e i loro nemici (a un certo punto c’è lo spiegone per ricapitolare i nomi delle diverse razze) si fanno male sono totalmente alienati, nel senso che qui non c’è alcuna credibilità da sospendere. Semplicemente, si menano e tanto, e questo basta. L’unica volta che da ragazzino sono cascato dalla Vespa, per dire, l’ho segnata a sangue sul cofano laterale e su parte dello scudo (e mi sono sbriciolato un piede, ma questo per me era secondario rispetto al danno meccanico). Invece, questi rotolano da tutte le parti, spaccano i monti, incassano le fucilate e si rialzano senza un graffietto, una riga sulla vernice, un pezzetto ripiegato che poi fa la ruggine.
Qui ci sono solo le solite ferite dei combattimenti simbolici: quelle tutte sul fianco, perché sono più facili da recitare di quelle classiche sulla spalla dei film western. E ovviamente sono ferite totalmente simboliche, di quelle che scompaiono dopo poche inquadrature, quando il personaggio ha ripreso coraggio. Anche io dopo che ero caduto con la Vespa ho ripreso coraggio. Però sono stato al Pronto Soccorso lo stesso e poi ho zoppicato per due mesi. Forse non avevo ricaricato abbastanza la pila del coraggio, chissà.
La storia. Perché c’è una storia. Anzi, c’è un soggetto, scritto da Joby Harold, che è il nuovo “uomo di punta” del momento per creare l’universo a cui appartengono Transformers, G.I. Joe e varie altre cose. Harold ha avuto bisogno di sei (dico sei) sceneggiatori, probabilmente perché ha scritto il soggetto sul retro di un tovagliolino in discoteca alle tre del mattino con il rossetto di una tipa, mentre ballava la macarena. Chissà. Però gli è venuto un film che funziona: ha un inizio che è totalmente psicotico (introduce il filone delle Beast Wars, che non c’entra niente se non per consentire di vendere altri giocattolini anni Ottanta), poi si finisce nella pancia della solita balena e alla fine la storia punta come un vaso di petunie che cade da un balcone verso un finale aperto, con G.I. Joe come ipotesi, passando però da altri probabili crossover.
Alla fine, più che la coerenza della storia, bisogna andare a cercare chi ci mette i soldi (tal Lorenzo di Buonaventura) e quali altre proprietà intellettuali può schierare, per capire di cosa stiamo parlando: un universo con dei crossover. Tanto sono tutti grossi e si menano che è un piacere, mentre il cielo ci sta cadendo sulla testa assieme alla minaccia spaziale del super-cattivone.
Transformers – Il risveglio è un film di manovalanza, ma al tempo stesso è una produzione bella grossa: di quelle che ci vogliono due anni per fare il film, si mettono giù tipo 200-300 milioni di dollari, ci lavorano alla fine cinquemila e passa persone, ma poi al botteghino il film totalizza il solito miliardo di dollari e tutto finisce in gloria. Ville a Malibù e Lamborghini per tutti (i produttori), anche se a Michael Bay gli è sempre rimasta l’ansia e l’invidia che lui, con i Transformers, ha fatto i soldi tanto quanto la Marvel o la DC, ma non se lo fila nessuno perché non c’è “l’operazione culturale” come negli universi che vengono dai fumetti.
Infatti, i film dei Transformers di solito sono odiati dalla critica, e sostanzialmente a chi li fa questo fa rosicare. Però è anche vero che i film dei Transformers sono il McDonald’s del cinema. Fanno sembrare i cinepanettoni un filone esoterico del cinema meditativo svedese in bianco e nero degli anni Quaranta. La gente li va a vedere, i film dei Transformers, con la stessa gioia con cui addenta i panini, sapendo che è una “zona sicura” per i più piccini e tu adulto non devi neanche far finta di divertirti alle battute da intellettuale di sinistra dei film Disney/Pixar. Quelle battute con un registro “alto” messe dentro dai tre registi gender fluid per intrattenere i genitori intanto che i figli si divertono con le torte in faccia che volano da tutte le parti.
No. Nei Transformers ci si può arrendere all’evidenza che anche ai genitori piacciono le torte in faccia che volano, soprattutto se di metallo. Le trasformazioni sono fantastiche, gli effetti speciali l’unica cosa su cui la produzione non si risparmia, e alla fine capisci che è tutta una grande presa in giro. Ma divertente perché genuinamente senza pretese. E che vorresti pretendere, poi? Si esce da un film dei Transformer più o meno come una laureanda in filologia romanza con una passione per Ken Loach uscirebbe da un film della Marvel: apparentemente indignata, ma in realtà segretamente soddisfatta di aver dato fondo a una pulsione visiva inconfessabile. È la nevrosi, baby.
I Transformers non sanno neanche cosa sia, la nevrosi, e se lo sapessero probabilmente la distruggerebbero a legnate IN NOME DELL’AMICIZIA e FACENDO SQUADRA. La guerra contro il male non finisce ma almeno questa battaglia LA VINCIAMO NOI. L’unico rimpianto è pensare che l’incasso delle due ore di questo film avrebbe potuto debellare qualche malattia endemica in Africa o togliere dalla povertà mezzo subcontiente indiano. Ma vuoi mettere Optimus Prime che tira le mazzate con la voce tutta effettata? Yo, bro!
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