Iniziato come una battuta, poi diventato meme e, infine, vero e proprio fenomeno cinematografico dell’estate, il Barbenheimer – il nome dato all’uscita in contemporanea di due film diametralmente opposti, Barbie di Greta Gerwin e Oppenheimer di Christopher Nolan – è un tormentone che ha generato un potentissimo passaparola tra gli spettatori. Potevamo allora noi non declinare questo meme diventato strumento di marketing fenomenale in tema fumettistico? Ovviamente sì, e così abbiamo raccolto un po’ di fumetti riguardanti i due argomenti.
Di fumetti di Barbie, prevedibilmente, sono piene le edicole. Anche perché la bambola deve le sue origini proprio a un fumetto. Nel 1952 il quotidiano scandalistico tedesco Bild si trovò, al primo numero, con uno spazio vuoto tra le pagine che doveva essere riempito alla svelta. La redazione chiese perciò al disegnatore Reinhard Beuthien di inventarsi qualcosa che colmasse il rettangolo alto e stretto che era rimasto scoperto nell’impaginato.

Beuthien propose un fumetto con un neonato protagonista, che fu rifiutato, e poi una serie con una giovane ragazza di nome Lilli, una bionda sempre alla ricerca di un fidanzato. Nella prima vignetta, Lilli si rivolge a una sensitiva chiedendole l’indirizzo di un ragazzo che le piaceva. Lilli fu un successo immediato e diventò presenza fissa di Bild. Così, nel 1955, fu realizzata una bambola per adulti, che la compravano come regalo scherzoso, ma era apprezzata anche dai bambini che si divertivano a cambiare gli abiti (venduti separatamente) di Lilli.
All’epoca le bambole destinate ai bambini avevano l’aspetto di neonati o infanti, ma Ruth Handler, futura creatrice di Barbie, si accorse che sua figlia era altrettanto interessata a giocare con manichini di carta a cui affidava ruoli e lavori da adulti. Durante un viaggio ad Amburgo, Handler incappò in Lilli, rappresentazione perfetta della sua idea. Ne comprò tre esemplari e, una volta in America, la utilizzò come base per il primo design di Barbie. Barbie debuttò nel 1959 e nel 1964 la casa produttrice di Barbie, Mattel, acquisì i diritti di Lilli, per evitare qualsiasi causa potenziale, ponendo così fine alla sua produzione. Lilli smise di essere pubblicata nel 1961, non prima di vedersi adattata al cinema, in un film comico diretto da Hermann Leitner.

Il primo fumetto di Barbie fu invece pubblicato da Dell Comics nel 1962, quando la bambola era nei negozi da appena tre anni. Tra gli anni Ottanta e Novanta, quando Barbie diventò un vero franchise fatto di cartoni animati, videogiochi e fumetti, fu invece Marvel Comics a investire nel personaggio dedicandole diverse serie, tra cui due (Barbie e Barbie Fashion, le cui copertine dei rispettivi numeri 1 furono disegnate da John Romita) che superarono i 50 numeri.
Le storie erano pensate per un pubblico di bambine e adolescenti ed erano avventure con risvolti comici, amorosi o pedagogici (per esempio qual è il percorso per un certo tipo di lavoro, come si balla a una festa). Barbara Slater e Lisa Trusiani scrissero gran parte di questi fumetti, mentre i disegni furono affidati a un gruppo variegato di disegnatori Marvel, tra cui Mary Wilshire e una giovane Amanda Conner (futura disegnatrice e sceneggiatrice di Harley Quinn e altri fumetti di DC Comics).

A metà degli anni Novanta, complice il tracollo del mercato fumettistico statunitense, l’esperienza a fumetti di Barbie si concluse, per poi riprendere nel 2016 grazie a Papercutz, un editore che si occupa di realizzare graphic novel attinenti alle produzioni televisive della bambola di Mattel.
In Italia, Barbie è presenza fissa nelle edicole dagli anni Ottanta, con varie produzioni e editori (come Il giornale di Barbie e Barbie, quest’ultima diretta prima da Gaudenzio Capelli dopo la sua gestione di Topolino e poi da Elisabetta Gnone, co-creatrice delle W.I.T.C.H.) e un ottimo riscontro di pubblico (nel 2004 Barbie vendeva 130.000 copie al mese), anche se alcune erano prive di fumetti al loro interno – anzi, era più comune trovare dei fotoromanzi realizzati con i vari set di Barbie. Attualmente, Panini Comics pubblica Barbie Magazine e La mia prima Barbie, in cui appaiono i fumetti tratti dalle serie tv a cartoni come Barbie: Dreamtopia, Barbie: Dreamhouse Adventures e Barbie: Siamo in due.
Ma anche il fisico J. Robert Oppenheimer è stato una fonte d’ispirazione molto importante per i fumetti. La nascita della cosiddetta “era atomica” generò un’ondata di supereroi nati da incidenti ed esperimenti con l’energia nucleare o che si muovono in contesti post-atomici (Spider-Man, Hulk, Ken il guerriero e tanti altri), in parte come reazione alle paure che la bomba atomica aveva generato nella popolazione.
Il caso più famoso è probabilmente il Dottor Manhattan, uno dei protagonisti di Watchmen, il cui nome è una citazione al Progetto Manhattan, il programma di ricerca e sviluppo che portò alla creazione della bomba atomica. Come Oppenheimer nella fase tarda della sua vita, Manhattan è martoriato dal dubbio di aver salvato o distrutto l’umanità.
Oppenheimer è però anche stato protagonista diretto di alcune storie di quei supereroi. Nei fumetti Marvel, Oppenheimer fu citato come personaggio storico per la prima volta soltanto nel 1985, in Rom 62 di Bill Mantlo e Steve Ditko, poi nel 2003 in Iron Man 73 di John Jackson Miller e Jorge Lucas, e infine ancora in un’altro paio di occasioni.

Nel 2010 venimmo a conoscenza di due importanti fatti relativi al fisico statunitense all’interno del mondo Marvel: nella storia dei Fantastici Quattro Quando tutto è perso la battaglia è vinta (Fantastic Four 581 di Jonathan Hickman e Neil Edwards), scopriamo che un giovane Victor von Doom (alias Dottor Destino) pranzò con Oppenheimer negli anni Cinquanta e in quell’occasione rubò tutti i suoi segreti.
Sempre nel 2010, Kathryn Immonen e Tonci Zonjic nell’albo Heralds 1 rivelarono che dopo la morte di Oppenheimer lo S.W.O.R.D. (un’agenzia di antiterrorismo e intelligence che si occupa di minacce extraterrestri alla sicurezza mondiale, è praticamente la controparte spaziale dello S.H.I.E.L.D.) prelevò un campione di DNA per i propri archivi, insieme a quello di altri grandi scienziati come Albert Einstein.

Oppenheimer è anche uno dei personaggi presenti in Resistance (Wildstorm, 2002), prosecuzione fumettistica dell’omonimo franchise videoludico, ed è stato protagonista di due biografie a fumetti, una del 2001, molto apprezzata, Fallout di Jim Ottaviani, Janine Johnston, Steve Lieber, Vince Locke, Bernie Mireautt e Jeff Parker, l’altra del 2009, Atomic Dreams: The Lost Journal of J. Robert Oppenheimer di Jonathan Elias, Jazan Wild, David Miller e Rudy Vasquez.
Tuttavia, il suo ruolo fumettistico più importante è quello che lo vede protagonista della serie The Manhattan Projects di Jonathan Hickman e Nick Pitarra, in cui si immagina una versione alternativa della Storia in cui il Progetto Manhattan è impegnato a trattare idee fantascientifiche molto più esoteriche della bomba atomica, tra teorie del complotto e scienza occulta, con protagonisti i fisici più importanti del Novecento, da Albert Einstein a Enrico Fermi (che nel fumetto è un alieno sotto mentite spoglie).

Al centro di The Manhattan Projects c’è Joseph Oppenheimer, gemello malvagio di Robert violento, imprevedibile e dedito al cannibalismo, convinto che mangiare la carne delle altre persone permetta di incorporarne l’anima e i saperi. Ed è proprio quello che Joseph ha fatto con Robert. Per questo, nella sua mente va avanti una guerra civile tra i due gemelli. Come a voler rappresentare visivamente i tormenti e i successi di Oppenheimer, Hickman scinde in due lo scienziato e mette su carta le tensioni che hanno animato la vita di questa figura storica.
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