
Da quando ci hanno cacciato dal Paradiso Terrestre, per colpa dell’unico Peccato Originale che abbiamo mai commesso (da quel momento, chiaramente, solo imitazioni di imitazioni), ci siamo trovati un po’ abbandonati a noi stessi, in preda a un sentimento del futuro non ben identificato. Fuori dal suo Eden (diremmo oggi: dalla sua Comfort Zone), in preda ai capricci del tempo e dello spazio, l’Umanità si è ritrovata un po’ spaesata.
Non a caso, forse, ha cominciato a disegnare: tracciando sulle pareti del suo rifugio il mondo che vedeva al di fuori, ha provato a controllarlo, a renderlo vero. Ha costruito un futuro nel quale potesse abitare. In parole povere, ha trasformato la sua immaginazione in immaginario. Quel cavolo di cervo che il nostro antenato ha dipinto sulla caverna con l’intento di catturarlo, segnandone con estrema cura i movimenti nello spazio e nel tempo in una primitiva espressione di arte sequenziale, è lo stesso animale che ancora oggi proviamo a catturare nelle nostre storie.
Abbiamo, con quel nostro antenato disegnatore, molti punti in comune. C’è lo stesso sentimento che ci lascia spaesati, lo stesso shock da superare. Il frutto proibito che abbiamo incautamente colto (mannaggia a noi) dall’albero della conoscenza del bene e del male ci ha obbligati a coltivare il peggiore dei nostri umanissimi difetti: il Libero Arbitrio. A sua volta alimentato dal peggiore dei nostri attributi: la Coscienza.
D’altra parte è così che siamo noi umani, rassegnati a questa consapevolezza che ci rende irrequieti. Nella nostra ansia di catturare il cervo, immaginiamo mondi, esploriamo nuovi territori, sviluppiamo strutture complesse che ci aiutino a capire il mondo e che non abbiano possibilmente i nostri stessi difetti. Spesso, però, falliamo clamorosamente. Di recente, un certo Blake Lemoine, che di mestiere fa l’ingegnere per Google, ha fatto una scoperta che lo ha lasciato interdetto: il chatBot LaMDA, a cui stava lavorando, pare che sia diventato senziente, ovvero che abbia sviluppato una coscienza simile a quella di un bambino umano.
La notizia, ovviamente, potrebbe essere una bufala, ma suona incredibilmente verosimile se pensiamo a quante volte l’abbiamo già immaginata sulla (affollatissima) parete della nostra caverna. Viene in mente, per citarne uno, Her, il film del 2013 scritto e diretto da Spike Jonze e interpretato da Joaquin Phoenix, dove la bellissima voce di Scarlett Johansson dà vita a Samantha, un sistema operativo costruito apposta per sostituire affettivamente un essere umano.
La nostra Samantha è dunque una meravigliosa intelligenza artificiale in grado di crescere e di apprendere dai compagni umani, ma finisce per evolversi a tal punto da diventare qualcosa d’altro, una creatura superiore, una coscienza collettiva in grado di comprendere i misteri dell’universo, distaccata dai bisogni degli uomini e dalle loro microscopiche relazioni. Ma qui il punto di vista è ancora umano, troppo umano.
Come recita la canzone Supersymmetry degli Arcade Fire, che fa parte della colonna sonora del film: «I know you’re living in my mind / It’s not the same as being alive». Forse Samantha è solo una fantasia nella mente del protagonista, la risposta facile a un bisogno di relazioni che il protagonista condivide con tutta l’umanità. Non a caso, il protagonista lavora come scrittore di lettere d’amore: al posto della pubblicità, in un sistema sociale come il nostro basato sullo scambio di beni, sembra che questo mondo immaginato da Spike Jonze si regga sullo scambio di relazioni sentimentali ed emotive, a cui le macchine sono demandate a causa del fallimento degli esseri umani.
Un caso simile si trova anche in Io sono Shingo, manga di Kazuo Umezz che racconta la storia di un computer che diviene cosciente grazie agli sforzi di due ragazzini, Satoru e Marin. Anche qui la relazione d’amore travagliata tra i due fa da collante alla parallela ricerca del computer Shingo di un’umanità fondata essenzialmente sull’amore. Ma forse il concetto di coscienza non può riferirsi soltanto a una vaga capacità di espressione emotiva e sentimentale.
Se vogliamo risalire al peccato originale di questa vicenda, dobbiamo rivolgerci a Collodi: il pezzo di legno che Mastro Ciliegia si trova per caso a maneggiare, per farne «una gamba di tavolino», esprime in modo molto diverso la propria coscienza: «Non mi picchiar tanto forte!» dice a Mastro Ciliegia la vocina del pezzo di legno che diventerà Pinocchio. «Ohi! Tu mi hai fatto male!», e ancora: «Smetti! Tu mi fai il pizzicorino sul corpo!». La coscienza già presente in questo pezzo di legno evoca dunque innanzitutto una volontà di autodifesa, attua un gesto di ribellione a una violenza subìta, espresso ovviamente tramite una modalità linguistica, in un bel toscano comprensibile a Mastro Ciliegia.
Non sappiamo se il chatBot LaMDA abbia reagito alla stessa maniera alle domande di Blake Lemoine/Mastro Ciliegia, ma è significativo che una coscienza già senziente come quella di Pinocchio si affermi innanzitutto come reazione a un possibile atto di violenza. In effetti, questa concezione può applicarsi anche a livello sociale: se pensiamo a un concetto ormai fuori moda come la “coscienza di classe”, essa può esprimersi solamente nel momento in cui la classe stessa si percepisce come vittima di violenza da parte delle classi superiori (è il caso, per Marx, del proletariato vittima della classe dominante).
Negli anni Settanta un pronipote di Pinocchio, coatto e romanesco, espresse con un linguaggio ancor più colorito la propria volontà di ribellione. RanXerox (all’epoca, ancora scritto Rank Xerox, come la marca di copiatrici da cui era stato costruito), prima di diventare il personaggio ipertrofico disegnato da Tanino Liberatore negli anni Ottanta, nacque come un cyber-coatto di periferia magro e ossuto che vive in una Roma futuristica e ultraviolenta. Il suo Geppetto è un giovane “studenlinquente” che, a partire appunto dai resti di una vecchia fotocopiatrice rubata all’Università durante una occupazione, realizza un “androide perfetto” dotato di libero arbitrio, che consiste nel «drogarsi, bere & mangiare e fare l’amore!».
Innamorato di una bimba terribile di nome Lubna, il RanXerox degli esordi esprime la propria coscienza di essere umano attraverso una ribellione totale allo stile di vita dominante: alla violenza della città in cui vive, di una periferia romana senza speranza di redenzione, contrappone una violenza ancora più cruenta, perché gratuita, nichilista, oltraggiosa. Siamo ben lontani dal moralismo pedagogico di Collodi: nella crudele periferia del mondo, l’unico modo per diventare un bambino vero è imparare a difendersi.
Leggi tutte le puntate di “Shock in My Town”
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