Da “Mr. Evidence” a “Nathan Never/Justice League”. Intervista ad Adriano Barone

di Gianluca Lamendola*

adriano barone mr evidence bonelli

Alla scorsa Lucca Comics & Games, tra i titoli italiani più interessanti svettavano il primo numero della nuova serie Mr. Evidence (La prova della tua esistenza) e il team-up Nathan Never/Justice LeagueDoppio Universo, entrambi con l’eclettico Adriano Barone tra gli sceneggiatori: con l’occasione, FdC ha scambiato quattro chiacchiere con lui, per approfondire i tanti aspetti di una professione oggi declinabile in ambiti sempre più variegati.

Guardando al tuo lavoro di autore e sceneggiatore, mi pare che la contaminazione e lo sviluppo parallelo di una storia su media diversi sia un elemento ricorrente. Puoi dirci qualcosa in più a riguardo?

Più che un elemento ricorrente, è un “tentativo a conduzione autoriale” di portare una storia o parti di un worldbuilding in diversi media. Cresciuto in un’Italia in cui da lettore di fumetti e fruitore di cinema ho visto esempi di multimedialità e transmedialità, negli Stati Uniti ma soprattutto in Giappone, a un certo punto mi sono chiesto se fosse possibile farlo anche in Italia. La risposta vera è semplicemente “No”, dato che in Giappone esiste un’industria dell’entertainment molto ben strutturata e integrata, con esempi come il media mix della Kadokawa che davano frutti già dalla seconda metà degli anni Ottanta.

Diciamo che sicuramente… è stata un’esperienza istruttiva, che mi ha fatto imparare molto e comunque è un atteggiamento versatile in linea con la mia idea di “scrittore”, che secondo me è un essere umano che sa raccontare storie in tanti e diversi media, e non in uno solo. Anche se questo confonde il pubblico che ha bisogno di incasellarti come “scrittore”, o “sceneggiatore di fumetti”, ma non concepisce l’idea di uno “storyteller” tout court.

Banalmente quando la lettura di un fumetto è indicata come un’esperienza innovativa per il lettore, si pensa subito al disegno, alla colorazione o al packaging. La scrittura può essere innovativa?

Domanda interessante. Solitamente è proprio la scrittura che viene considerata innovativa, se pensi ad esempio ai fumetti della Vertigo, che soprattutto nei primi anni erano disegnati in modo molto modesto. A volte, quando certi artisti come Bill Sienkewicz o Dave McKean hanno usato uno stile pittorico sono stati considerati “innovativi”. La mia opinione personale tuttavia è che scindere la scrittura dal disegno in un fumetto sia impossibile, perché il fumetto è un medium meravigliosamente ibrido nell’essere storytelling sequenziale di immagini statiche e parole racchiuse in pagine (quando esce su carta: per i webtoon ad esempio valgono ovviamente regole diverse).

Questo significa che quando c’è innovazione (se c’è davvero) a essere innovativo è il rapporto tra scrittura e “disegno”: e con questo intendiamo lo stile di disegno, la regia della singola vignetta, la composizione della tavola o della meta-vignetta, come la chiamava Will Eisner, la colorazione… Ovviamente anche il peso delle parole, in dialoghi o didascalie, fa parte di questo “coefficiente” e per esempio Mr. Evidence è chiaramente spintissimo sul versante “molto dialogato”.

Al contempo, penso che raramente il fumetto provi a “spingersi oltre”: se penso ai titoli che diventavano parte della vignetta di Eisner, all’effetto Gianni De Luca, al polyptych (quando lo sfondo resta uguale in diverse vignette di una tavola mentre i personaggi si muovono al suo interno di vignetta in vignetta), all’utilizzo d’infografiche (non conosco fumetti prima di quelli di Jonathan Hickman dove li ho visti usare in maniera così radicale), ai fumetti di Chris Ware… non so, non mi pare che il medium sia stato così spesso “innovativo”. Forse ha ragione Howard Chaykin che all’inizio di una delle sue ultime newsletter ha scritto: «Why is comics called a medium? Because it’s so rarely well done».

Tu come procedi, quando scrivi un romanzo o un fumetto?

Io mi colloco a metà tra quelli che pianificano accuratamente ogni passaggio e quelli che dicono di scrivere “scoprendo” la trama man mano: peraltro penso che questo non sia mai del tutto vero… Sostengo l’importanza di una scaletta, e anche accurata, ma lasciandomi dello spazio per poter comunque avere momenti di “improvvisazione” o imprevisti, che stupiscano me per primo. Per Nathan Never/Justice League ho lavorato così. Per lavori molto complessi come Mr. Evidence la scaletta precisa fino al maniacale è d’obbligo.

In Mr. Evidence troviamo i quattro protagonisti già ricoverati nell’istituto psichiatrico Mulholland e con particolari capacità, senza, però, conoscere i motivi che ce li hanno portati. In questo possiamo vedere un rovesciamento del classico racconto delle origini segrete dei supereroi, dove imparare a gestire una doppia identità?

Si può vederlo anche così. In realtà il DNA “supereroistico” di Mr. Evidence ha cominciato a essere più chiaro a me e a Fabio Guaglione man mano che lo scrivevamo. Nelle intenzioni, dovevamo scrivere una storia tra il thriller psicologico e il poliziesco atipico con quattro personaggi molto particolari. Poi ci siamo resi conto che qualche “assonanza” con il fumetto supereroistico c’era, probabilmente per le letture di cui ci siamo nutriti entrambi sin dall’adolescenza (e nel mio caso dall’infanzia!), e che abbia comunque avuto un ruolo in certe scelte narrative e di caratterizzazione dei personaggi.

Tra le storie che hanno maggiormente influenzato Mr. Evidence ci sono senza dubbio quelle della Doom Patrol. Ci sono altri fumetti e serie tv a cui ti sei ispirato insieme a Guaglione?

Ecco, vedi, questa affermazione è di per sé molto affascinante. Nel senso che tu fai questa affermazione come se fosse una cosa ovvia, ma la verità è che… per noi non era così. Intendiamoci: secondo me la Doom Patrol di Grant Morrison resta uno dei più grandi fumetti seriali di tutti i tempi e sogno dall’adolescenza di avere la possibilità di raccontare storie così folli… posto che ne sia capace, in futuro. Ma a parte una citazione nel n.2, non è assolutamente tra le prime cose a cui abbiamo pensato e pensiamo durante la scrittura di Mr. Evidence.

Come abbiamo detto più volte, si possono trovare echi dello Sherlock della BBC, di Mindhunter, di Warren Ellis (altro mio scrittore feticcio, adorato anche da Fabio), in generale dal mondo del poliziesco e del thriller. Ora che ci penso, dato che ho trovato la domanda genuinamente spiazzante, mi vien da pensare che quando scrivo inconsciamente o meno aspiro (riuscirci è un altro paio di maniche) a un livello di ricercatezza come quello dei primi titoli Vertigo, di cui in effetti la Doom Patrol faceva parte…

Come il personaggio di Clara e Joe nell’universo guaglionesco di Ride (film, fumetto, romanzo), anche in Mr. Evidence ci sono personaggi che vivono circondati dalla follia e oltre i propri limiti. La suspense è una strategia testuale dipendente dalle descrizioni accurate (come i tic e le stereotipie visti in Mr. Evidence) o dall’azione secca e concitata? Con quale dei due modi ti senti più a tuo agio a scrivere?

Di per sé, la suspense per definizione si ha quando il pubblico è a conoscenza di qualcosa di cui i personaggi della storia sono ignari. Personalmente non penso di aver mai scritto scene di suspense, che è una modalità che non trovo nelle mie corde.

Per quanto riguarda il modo di scrivere in cui mi sento più a mio agio, sicuramente prediligo l’azione secca e concitata, possibilmente poco dialogata, in cui lo sceneggiatore quasi sparisce e lascia al vero narratore della storia, ovvero il disegnatore, lo spazio per raccontarla al meglio: penso di esserci in parte riuscito nei miei albi di Nathan Never – Generazioni.

Però a volte, per necessità e tendenzialmente per il numero di pagine a disposizione, scrivo in modo da dare informazioni “ad alta densità”.
In Ride – Level 0, per esempio [il fumetto prequel in 6 copertine nel 2020 con La Gazzetta dello Sport, NdR], i dialoghi di Clara e Miguel da un momento temporale precedente sono riportati in didascalia mentre seguiamo in diretta la loro corsa mortale: la scena “nel presente” avrebbe potuto essere muta, mentre i dialoghi avrebbero fatto riferimento a un’altra scena nel passato. Invece, riportando dialoghi di un diverso momento temporale nella diretta, si ha un altissimo numero di informazioni in un numero molto limitato di tavole.

In Mr. Evidence, invece, secondo i dettami del realismo caratterizzato da lunghezza testuale, personaggi maniacali e frequenti digressioni su argomenti secondari, c’è un desiderio di “dire tanto, dire tutto”, con personaggi che si accorgono che nonostante si scavi a fondo nel reale e si moltiplichino le ipotesi per provare a spiegarlo, spesso ci si ritrova ad avere capito e scoperto molto poco.

adriano barone nathan never justice league

Per il team-up Nathan Never/Justice League hai lavorato insieme a Bepi Vigna e Michele Medda. Com’è stato questo lavoro di squadra?

In realtà l’episodio è quasi praticamente tutta farina del mio sacco. Bepi e Michele hanno scritto la prima stesura del primo capitolo, su cui sono poi intervenuto riscrivendo i dialoghi e modificando alcune vignette. Dall’episodio 2 in poi è stata tutta opera mia.

Hai dovuto adattare qualcosa dei personaggi DC Comics per farli interagire con Nathan e Legs?

In realtà… nulla. I personaggi della DC Comics rispondono a guideline molto precise ed è normale che sia così, perché quegli stessi personaggi producono un indotto enorme con film, serie tv, cartoni animati, videogiochi e merchandising di ogni tipo. Quindi la DC ha effettuato un controllo per verificare che tutti i personaggi fossero “in character” e devo dire che non ho ricevuto una singola nota. Merito probabilmente della lettura più che trentennale dei fumetti DC. E quindi possiamo ribadire ai fan di Zack Snyder che Superman è buono! [ride]

Tu quanta libertà lasci ai disegnatori? Quanto sono dettagliate le tue sceneggiature? Penso in particolare alle tue ultime collaborazioni con Fabrizio Des Dorides e Sergio Giardo…

Sono due situazioni molto diverse. Nella sceneggiatura di Nathan Never/Justice League sono stato molto loose come cerco solitamente di essere: indico le vignette a tutta striscia o segnalo quelle che devono avere molto spazio nella tavola, ma in generale lascio molta libertà al disegnatore, sia per la composizione sia per la recitazione. La tendenza dei miei ultimi lavori a far parlare moltissimo i personaggi ha costretto il buon Luca Corda, grande letterista, a compiere miracoli per farci stare tutto! [ride]

In Mr. Evidence invece i dialoghi molto fitti (il lettering è sempre a firma del magico Luca) sono stati una preoccupazione dall’inizio e abbiamo fatto in modo che nella tavola sin dai layout ci fossero ampi spazi per collocarli. Oltre a questo, per essere sicuri dell’effetto finale, abbiamo compiuto tre passaggi (da layout a matita a china) apportando modifiche a ogni step, con l’intento di migliorare ogni volta l’impatto narrativo di ogni singola tavola.

Sarà stato ben più difficile immaginare la recitazione di Warhol nella tua finta intervista per BeccoGiallo, o sbaglio?

In realtà no, nel senso che Warhol, se leggi la sua biografia, a livello fisico, era “assente”, o quanto meno immobile. Protagonista della sua carriera, nella sua vita “privata” (uso le virgolette perché spesso in realtà era pubblica anche quella) era perennemente una comparsa, stava sullo sfondo, intento a fotografare o filmare gli altri: me lo immagino impazzito di gioia, se avesse avuto un cellulare in grado di fare l’una e l’altra cosa.

Tieni conto che la recitazione di Andy ne L’intervista è appunto quella di una persona davanti a una ipotetica telecamera o intervistatore frontale, il che appunto non permette molti movimenti. Inoltre il protagonista indossa i suoi tipici occhiali scuri, il che limita la sua recitazione alla bocca e alle braccia. E qui ti confesso che non mi ricordo se ho dato molte indicazioni a quel geniaccio di Andrea Mozzato alias Officina Infernale, o se ha preso lui decisioni in autonomia, o sia stato un misto delle due cose.

Ma allora, pensi di essere un genio o “solo” di avere talento?

Penso di avere la quantità minima di talento che mi permette di essere uno scrittore professionista. Il genio è un’altra cosa.

*La versione originale di questo articolo è disponibile sul mensile Fumo di China 330, ora in edicola, fumetteria e online.

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