Simone Bianchi: «La storia dell’arte è fatta di commission». Intervista al disegnatore amato da George Lucas

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Simone Bianchi posa vicino ai suoi disegni originali, tra cui diversi artwork realizzati per Caparezza, esposti alla mostra “La musica dei corpi” allestita a COMICON BERGAMO 2023 | Foto di Andrea Queirolo per Fumettologica

Sono pochi i fumettisti esposti con regolarità in rassegne chiave del mondo dell’arte contemporanea come la Art Basel, che si svolge ogni anno a Basilea, in Svizzera. Ancora meno quelli che annoverano George Lucas e Steven Spielberg tra i propri collezionisti. Simone Bianchi fa parte di questo ristrettissimo gruppo, eppure a parlarci sembra eternamente insoddisfatto e al lavoro su nuovi obiettivi.

Tra esposizioni – a giorni apre a Livorno una delle più vaste sul suo lavoro – progetti musicali e fumetti, Simone Bianchi è iperattivo, e l’impressione è che la prossima pagina della sua carriera sia ancora tutta da scrivere. In occasione della trasferta lombarda della sua mostra “La musica dei corpi” – ospitata prima a COMICON Napoli e in seguito alla prima edizione bergamasca del festival – abbiamo scambiato qualche chiacchiera con l’autore. Che ci ha parlato in maniera schietta di nuove sfide e delle loro difficoltà, dell’amicizia con Todd McFarlane, dei rischi delle commission e dei vantaggi che si possono trarre dai ritmi forsennati dell’industria statunitense.

Dopo anni a lavorare per Marvel e DC Comics, sei riuscito a lasciare il segno anche alla Image. E allora partiamo dalle copertine di Spawn che hai realizzato per Todd McFarlane, tra i tuoi lavori più recenti. Com’è nata la collaborazione?

Voglio partire dall’epilogo, perché ci tengo a dire che Todd McFarlane, che ora sono orgoglioso di poter chiamare amico, alla fine del lavoro mi ha voluto intervistare. Un’intervista enorme, durata un’ora e mezzo. Todd, ovviamente, avendo una conoscenza profonda del nostro lavoro, ha scavato a fondo nella parte tecnica: come gestisco le immagini, come le visualizzo e come le dipingo. Devo dire che ho fatto parecchie interviste durante la mia vita lavorativa, ma questa è in assoluto la mia preferita. Anche se oggi sta per diventare la seconda. [ride]

Molto semplicemente è successo che quasi due anni fa ho ricevuto su Instagram un messaggio di Todd, in cui mi diceva che gli piaceva molto il mio lavoro e mi chiedeva se ero disponibile per disegnare alcune copertine di Spawn. All’epoca parlammo anche di realizzare degli interni, ma l’idea fu poi scartata. Per le illustrazioni mi ha lasciato carta bianca, totale libertà creativa, e così ho realizzato quattro copertine di Spawn come “disegnatore del mese”. Ne ho realizzate anche altre due, ma al momento non so quando saranno pubblicate.

Riguardando il tuo curriculum è impossibile non accorgersi del numero elevato di esposizioni che ti sono state dedicate, anche di alto profilo. Nasci fumettista, ma ormai ci si chiede: vuoi diventare un artista da galleria d’arte?

Ottima domanda! In realtà tutto il lavoro che sto facendo con mia sorella Gloria, che è mia agente e socia, e la mia amica Barbara, che lavora con noi a tempo pieno, va in quella direzione. Quello è il nostro grande obiettivo. Ma è davvero complicato, perché il mondo dell’arte contemporanea è molto chiuso, e lo sdoganamento del fumetto come forma d’arte non è ancora avvenuto. Certo, le cose vanno meglio rispetto alla situazione che c’era quando ho iniziato a vent’anni, ma lo sdoganamento definitivo ancora non c’è stato. Per dirvi come ci stiamo lavorando: il 21 luglio inaugura una grande mostra a Villa Mimbelli a Livorno, con circa 130 mie opere originali. Un luogo meraviglioso che, almeno finora, aveva ospitato esclusivamente esposizioni d’arte. 

È il nostro obiettivo, ma come dicevo è un passaggio complicato e anche da parte mia richiede una preparazione diversa. Per dire, ora sto facendo un’intervista con voi che avete una conoscenza e una cultura profonda del fumetto, però poi magari fra qualche anno mi troverò a fare interviste con qualche esperto di arte contemporanea che magari mi chiederà di approfondire il mio rapporto con l’arte di Giorgio De Chirico. Ecco: dovrò e devo avere gli strumenti giusti per parlarne. Quindi in questo momento magari leggo meno fumetti, ma tento di studiare storia dell’arte.

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La variant cover di Simone Bianchi per “Spawn” 339

Mi sarei immaginato che fosse più facile per te, vista la quantità di mostre che hai realizzato e i diversi grandi collezionisti delle tue opere sparsi per il mondo.

È vero che ho tanti collezionisti in tutto il mondo, ma sono al 95% collezionisti di fumetto e di opere originali di fumetti, e normalmente non collezionano opere d’arte contemporanea. È questo il grande passo da fare: riuscire in qualche modo a creare o almeno intercettare collezionisti che apprezzino entrambe le cose. In America va un po’ meglio rispetto all’Europa, i collezionisti hanno una visione più aperta in questo senso. Vi faccio due nomi enormi: George Lucas e Steven Spielberg. Entrambi hanno collezioni composte da opere di grandi autori d’arte e da opere di autori di fumetti.

Lucas ha tutti i miei disegni originali del primo numero di Star Wars e li tiene a fianco di opere di autori come Norman Rockwell. È chiaro che ho fatto due esempi “estremi” di collezionisti che hanno una grande disponibilità economica, oltre che buon gusto. Resta il fatto che in America hanno più apertura mentale. Attualmente, ad esempio, c’è un giovane collezionista di Miami che ha comprato un grande numero di miei dipinti di supereroi Marvel, e ogni anno li espone ad Art Basel, in Svizzera, una delle più importanti fiere d’arte contemporanea.

Non stupisce che negli Stati Uniti un collezionista possieda opere sia tue che di Norman Rockwell: anche quest’ultimo è un autore “popolare”, che raccontava la vita quotidiana di un’America che oggi non c’è più.

Certo, voglio ricordare che la grande storia dell’arte contemporanea americana, tolti artisti come possono essere Pollock o Rothko, per citare due nomi, è fatta di grandi illustratori. E quindi i collezionisti hanno una predisposizione naturale per l’illustrazione. Fatto sta che comunque il mondo del collezionismo delle tavole originali di fumetti è esploso negli ultimi 20 anni. Questo anche grazie ai film di supereroi, che hanno portato i grandi collezionisti a voler possedere le opere originali che hanno ispirato i cinecomics.

Una grande differenza che noto tra i collezionisti, è che gli americani spesso comprano anche solo guardando un file JPG, cosa che un europeo non farebbe mai. Gli europei preferiscono vedere dal vivo quello che acquistano. Faccio lo stesso quando acquisto qualcosa per la mia collezione: voglio vederla da vicino. Ma secondo me questo discorso ci riporta a quanto dicevo prima: gli americani sono cresciuti con una predisposizione all’illustrazione e tendono a sovrapporre l’idea dell’originale all’idea della sua riproduzione, quindi per loro è normale basare un acquisto di un’opera guardando un semplice file digitale.

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Darth Vader interpretato da Simone Bianchi

A proposito di diversità tra un continente e l’altro, per quanto riguarda i fumetti qual è la differenza più evidente che hai notato?

Per quanto riguarda la produzione, sicuramente l’approccio al lavoro. In America si producono talmente tanti fumetti e ci sono scadenze così serrate che alla fine l’importante è produrre. E quindi viene lasciata molta libertà creativa agli autori. Mentre in Italia, che è un mercato più contenuto, c’è più attenzione alla produzione e di conseguenza molto più controllo creativo.

[Discutendo di controllo creativo e di mercato del lavoro, di questi tempi finisce che si arrivi a parlare di Intelligenza Artificiale e sulle sue conseguenze nel mestiere del disegnatore. Inevitabile. La reazione di Simone, pur critica, è però soprattutto sarcastica: “si dovrebbe parlare di Idiozia Artificiale”, dice. E partendo dai tragicomici errori portati da prompt sbagliati e dalla loro ottusa interpretazione da parte degli algoritmi, arriviamo a parlare della capacità da parte dell’artista di rendere un errore parte integrante della sua poetica.]

Moebius diceva sempre che quando si sbaglia qualcosa non bisogna tentare di cancellarlo, ma bisogna metterci una lente d’ingrandimento sopra, perché quello sbaglio è la tua autenticità. Fra sbaglio e stile c’è solo un diverso livello di consapevolezza. Se alzi il livello di consapevolezza lo sbaglio diventa stile. Il mio amico Caparezza una volta mi ha raccontato una cosa che diceva Frank Zappa: uno sbaglio in studio di registrazione fatto una volta è uno sbaglio, ma se lo ripeti è un arrangiamento. Funziona allo stesso modo nel nostro lavoro. Se ti rendi conto ad esempio che disegni gli arti troppo lunghi, ne prendi consapevolezza e lo controlli, ecco che diventa una cifra stilistica.

Hai citato Caparezza, che hai definito quasi un “fratello minore” cui sei legato in maniera profonda, ed è tra gli artisti musicali con cui hai collaborato. Anche gli Smashing Pumpkins e i Tool, per cui hai realizzato poster per alcuni concerti, sono musicisti notoriamente molto attenti all’aspetto grafico dei loro lavori. Come si sono sviluppate queste collaborazioni?

Gli americani, rispetto a noi italiani ma anche agli europei in genere, se la tirano molto meno. Nel complesso, per mia esperienza, non ho trovato tutte quelle complicazioni fatte da mille passaggi tra manager e agenti. Così com’è successo con Todd McFarlane, anche Adam Jones, il chitarrista dei Tool, mi ha scritto direttamente su Instagram dicendo che apprezzava il mio lavoro e chiedendomi se volevo fare dei manifesti per il loro tour. 

Come dicevi, sono molto attenti alla grafica, ma credo che sia perché Adam Jones è anche un artista visivo che ha lavorato a lungo nel cinema come tecnico degli effetti speciali e sul make up., ad esempio per Batman Returns, Balla coi lupi e Jurassic Park. Sua moglie, inoltre, è una pittrice straordinaria. Tra i musicisti, anche John Dolmayan, il batterista dei System of a Down, è un grande collezionista e ha diverse mie opere, oltre a possedere un importante negozio di fumetti a Las Vegas, Torpedo Comics.

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Illustrazione di Simone Bianchi per la variant cover dell’album “Exuvia” di Caparezza

Sempre a proposito di collezionismo, cosa ne pensi del mondo delle commission? In questi anni sono diventate una specie di fenomeno a sé stante. 

Mi fa molto piacere che mi diate la possibilità di parlarne. Perché è qui dove collidono un po’ tutti i discorsi che abbiamo fatto finora. Tutta la storia del mondo dell’arte è fatta di commission, che siano opere commissionate da gallerie d’arte o privati. Quindi questa “mania” delle commission scoppiata in America, e poi anche da noi, è interessante per quanto riguarda il discorso di avvicinamento del fumetto al mondo dell’arte che facevamo prima.

Detto questo, e lo dico fuori dai denti, trovo idiota che troppi giovani che non hanno mai pubblicato una pagina partecipino a fiere, anche all’estero, solo per fare commission. Ma non lo dico per paura che mi tolgano il lavoro: lo trovo ridicolo perché ridursi a fare commission non è una carriera o una vita lavorativa, ma è una cosa fine a se stessa. È andare a cercare il boccone come un lupo affamato nel bosco. E soprattutto, questi giovani autori, non pubblicando, non migliorano. 

Magari cambierò il mio giudizio quando tra vent’anni vedrò qualcuno di questi giovani diventare un grande artista cresciuto esclusivamente nelle artist alley con le commission. Cosa di cui però dubito fortemente, perché vorrebbe dire intraprendere la strada del fine artist al 100%. Lo vedo succedere in Italia anche con ragazzi di talento, ma più che altro con ragazzi con poco talento che non riescono a pubblicare e allora si riducono ad andare alle fiere per fare commission. E sono tanti. In America è più o meno 10 anni che esistono i cosiddetti “artisti da convention”, e lì ormai si è proprio creato un circuito. In Italia invece non è ancora così delineato.

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L’illustrazione di Simone Bianchi usata per il manifesto di un concerto dei Tool a Miami nel 2022

E la tua esperienza personale? Qual è il tuo rapporto con le commission? 

Ho iniziato a pubblicare a 15 anni, oggi ne ho 51 anni e sono 36 anni che faccio questo mestiere. La commission ha molti aspetti positivi, al di là di quello economico: non hai scadenze, fai quasi sempre quello che ti pare. A livello creativo è puro divertimento, laddove soprattutto spesso trovi collezionisti che dicono “voglio che mi disegni questo personaggio, fai quello che ti pare.”. Artisticamente parlando non ci sono le esigenze che ti possono imporre ad esempio le case editrici. Quindi ho un giudizio un po’ bipolare sulle commission, da una parte positivo dall’altra negativo. 

Dopo aver pubblicato centinaia di copertine e decine di albi, se oggi ho voglia di fare qualche commission la faccio. Per me diventa anche una “scusa” per le mostre: la commission diventa un pezzo unico, e così il mio lavoro va nella direzione che dicevamo all’inizio. Tornando invece ai ragazzi, a loro dico sempre che devono pubblicare. Non dovete stare li a elemosinare, dovete stare a casa a lavorare perché dovete migliorare. Anche quelli particolarmente bravi devono lavorare per trovare la propria voce, il proprio stile, la propria strada.

Poi a un certo punto i discorsi stanno a zero, perché se sei un una artist alley a tentare di fare headshot da 50 euro e non stai pubblicando, vuol dire che probabilmente non sei ancora in grado di pubblicare, o lo staresti già facendo da un pezzo.

Il problema però non sono solo i ragazzi che lo fanno, ma anche chi acquista queste commission.

Giusta precisazione. Però un giovane autore dovrebbe essere abbastanza intelligente da capire che se vende l’headshot da 50 euro ci guadagna poco e soprattutto non cresce, non sbatte la faccia. Perché poi l’altro aspetto di pubblicare è che sei esposto alle critiche, che sono quelle che ti servono. Ne so qualcosa: quando feci il design dei costumi degli X-Men fui offeso in tutti i modi possibili. Però è una cosa che mi ha fatto bene, mi ha fatto crescere, e quella situazione la rivivrei mille volte. Mentre facendo solo commission questa cosa non potrebbe mai accadere.

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Gli X-Men secondo Simone Bianchi

A proposito, sei stato uno dei primi italiani a lavorare continuativamente per il mercato americano.

Direi io e i miei contemporanei, come Giuseppe Camuncoli e Gabriele Dell’Otto. Siamo stati i primi a lavorare per il mercato americano con continuità. Poi sono arrivati autori come Stefano Caselli, Riccardo Burchielli o Werther Dell’Edera, il cui lavoro stimo molto, fino ai più giovani come Simone Di Meo. Negli anni Novanta c’erano stati autori come Claudio Castellini e Dante Bastianoni, e forse il primo è stato Pino Rinaldi, ma lo hanno fatto in modo discontinuo. Certo, nei primi anni 2000 noi siamo stati più agevolati a prendere contatto. Ma nel 2004 sono comunque andato di persona a New York, portandomi dietro i disegni e prendendomi il lavoro con le unghie e con i denti.

Quando eri agli inizi in Marvel e DC, avevi pressione a lavorare su questi personaggi così iconici?

No, per niente. Anzi, all’inizio è stata proprio una libidine, anche economica. È inutile fare gli ipocriti. In Italia pagavano 10, 20 o 30 mentre in America pagavano 80, 90 o 100. Sinceramente è stata una gran soddisfazione. Lo dico a cuor leggero: questa cosa la pressione me l’ha spazzata via. Sicuramente guardando indietro ho fatto anche molti errori a livello stilistico, ma pazienza, ha ragione Alex Ross quando dice: fai, pubblica, il tuo disegno sarà visto da centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo e se hai sbagliato qualcosa avrai la consapevolezza per iniziare il prossimo disegno con un occhio diverso.

Con questo principio, che devo ammettere è molto americano, degli ultimi 150 pezzi che ho fatto ne salverei forse 10, perché negli altri ci vedo un sacco di errori. Penso che forse anche i musicisti direbbero la stessa cosa delle loro vecchie canzoni. Ma fa tutto parte del lavoro che faccio, della creatività, del migliorarsi costantemente, del mettersi in discussione. 

Per questo non ho mai dato per scontato il mio lavoro. Mi sveglio la mattina sapendo di essere sia il leone che la gazzella. So che devo dare tutto quello che posso dare e più faccio meno mi sembra di aver fatto. Per questo quando vedo giovani che hanno fatto tre commission pensando di essere arrivati mi cascano le braccia, per non dire di peggio. Non puoi mai dare per scontato il tuo lavoro. Certo, io sono fortunato perché mi diverto. Se ho due ore di buco mi metto a disegnare. Non c’è una cosa che mi dia più piacere del disegnare, tranne ovviamente stare con la mia famiglia.

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