
Sembrava la corsa all’oro, solo che al posto dei picconi usavano gli abbonamenti. Negli ultimi anni, le newsletter sono diventate una piattaforma molto popolare su cui anche i fumetti hanno iniziato a far fortuna. O almeno così pareva due anni fa, quando Substack – la piattaforma di newsletter a pagamento nata nel 2017 come strumento di comunicazione alternativo per i giornalisti – è diventata una sorta di casa editrice, sovvenzionando un gruppo di autori di grido come Jonathan Hickman, Tom King, Jeff Lemire, Grant Morrison, Brian K. Vaughan e James Tynion IV affinché aprissero una loro newsletter con cui pubblicare fumetti in completa libertà creativa.
Nel 2003 Mark Millar scrisse che «entro la fine del decennio i fumettisti saranno i nuovi miliardari dell’era di Internet. Il potenziale è enorme». La profezia era un pelo esagerata – come nello stile di Millar – ma nella sua smargiasseria, qualcosa aveva intravisto. Aveva, per esempio, capito il meccanismo che avrebbe portato i fumetti a diventare incubatori di idee per il cinema e la televisione (una tendenza che ormai si sta trasferendo sui videogiochi, dopo una scia di adattamenti molto riusciti). Dal 2003 a oggi i fumettisti non è che siano arricchiti granché e, se ci sono riusciti, è avvenuto quasi sempre tramite percorsi tradizionali. Un paio di anni fa invece Substack ha provato a invertire la rotta.
Siccome ce ne siamo un po’ dimenticati tutti, vi riporto mentalmente al 2021: grande euforia, roboanti voci di corridoio che parlavano di assegni da centinaia di migliaia di dollari staccati agli autori, Substack che diventava “la cosa di cui tutti parlano”. E i fumetti. Tanti nuovi fumetti di autori rinomati che promettevano libertà creativa assoluta, grandi idee e rivoluzioni. Nessun personaggio noto ad animare le storie, nessun editore pronto a suggerire un’alternativa, nessun tipo di paletto dall’alto, limite entro cui rimanere né obbligo commerciale a cui sottostare. A ben pensarci, si trattava di una prova da far tremare i polsi: è stato detto loro soltanto di fare del proprio meglio.
All’alba degli annunci, Substack fu investita da molte critiche che ne sottolineavano la natura di piattaforma senza filtri e priva di controllo editoriale, prestando il fianco a messaggi d’odio, ad esempio contro donne e persone transessuali. Substack aveva infatti varato un programma Pro con cui, oltre ai fumettisti, aveva finanziato una serie di scrittori e giornalisti popolari che promulgavano messaggi contro la comunità transessuale, come Glenn Greenwald.
TechCrunch spiegò che i fondatori di Substack non volevano divulgare la lista completa dei nomi inseriti nel programma Pro, di fatto rendendo impossibile capire grazie a quali nomi la piattaforma avesse allargato il proprio bacino di utenti. Per questo lo sceneggiatore Kieron Gillen (Young Avengers, The Wicked + The Divine, Die) era migrato sui server della rivale Buttondown. «È un problema di trasparenza» scrisse Gillen. «Non ho idea di chi venga pagato da Substack, e quindi non so cosa sto appoggiando implicitamente se utilizzo i loro spazi.»
Nonostante queste critiche (a onor del vero poi sfumate nel corso dei mesi), Brian K. Vaughan si è detto positivo riguardo all’esperienza su Substack: «So che all’inizio si era fatta una cattiva reputazione, ma Substack è stata una delle esperienze più felici della mia vita professionale. Io e Niko [Henrichon, il disegnatore della sua serie, NdR] ci siamo imbarcati in una storia adulta e ambiziosa che non sarebbe mai stata possibile senza il finanziamento iniziale di Substack e ovviamente il supporto dei nostri iscritti. Nessuna interferenza editoriale e il 100% della proprietà e del controllo creativo».
Se a livello creativo c’era da aspettarsi che la piattaforma avrebbe lasciato fare ai fumettisti quello che pareva loro, come è andato il versante economico? Stabilire il successo di una newsletter è complicato, intanto perché i dati a disposizione sono pochi e poi perché le ambizioni e gli obiettivi cambiano da autore ad autore. Ci sarà chi considera la newsletter l’unica forma di entrata finanziaria e chi l’ha relegata a un vanity project, un lavoro che lo appassiona e che nessun altro editore gli pubblicherebbe, ma a cui lavora a margine degli impegni che lo sostentano.
Basandomi su nulla se non su una mia impressione, quest’ultimo mi sembra il caso di Chip Zdarsky, attivo come sceneggiatore per Marvel e DC Comics e che su Substack ha pubblicato Public Domain, un fumetto che prende in giro i suoi datori di lavoro e denuncia le storture subite dai fumettisti che creano personaggi di successo. Di Public Domain sono usciti pochi numeri, e Zdarsky continua a lavorare per Marvel e DC.
I dati quindi hanno un valore fino a un certo punto. Quei pochi che fornisce Substack, almeno. Uno è sotto forma di classifiche: le newsletter fumettistiche con più lettori e quelle più remunerative. Sono due parametri diversi per misurare il successo di un’impresa, per tutta una serie di considerazioni, e che si rendono necessari nel momento in cui le newsletter sono autogestite e ogni autore decide quanto contenuto offrire gratuitamente o a pagamento, e a che prezzo.
Per esempio, “più pubblico” significa più persone fidelizzate da indirizzare su altri progetti o a cui far comprare del merchandising, ma non per forza sono numeri che si possono convertire direttamente in guadagni – anzi, le statistiche di conversione da pubblico normale a pubblico pagante indicano una percentuale media del 3%. Allora, intanto, guardiamo le due classifiche (aggiornate all’8 giugno 2023):
Newsletter fumettistiche di Substack con più lettori:
1. Bad at Keeping Secrets (Carissa Potter) – 28mila iscritti
2. 3 Worlds/3 Moons (Jonathan Hickman, Mike del Mundo e Mike Huddleston) – 22mila iscritti
3. I’m Fine I’m Fine Just Understand (ND Stevenson) – 20mila iscritti
4. The Empire of the Tiny Onion (James Tynion IV) – 19mila iscritti
5. Stupid Fresh Mess (Skottie Young) – 17mila iscritti
6. Exploding Giraffe (Brian K. Vaughan e Niko Henrichon) – 15mila iscritti
7. Téo & O Mini Mundo (Caetano Cury) – 14mila iscritti
8. It’s Chip Zdarsky’s Newsletter, Okay? (Chip Zdarsky) – 14mila iscritti
9. Our Best Jackett (Scott Snyder) – 13mila iscritti
10. Liana’s Newsletter (Liana Finck) – 11mila iscritti
Newsletter fumettistiche di Substack con più introiti:
1. 3 Worlds/3 Moons (Jonathan Hickman, Mike del Mundo e Mike Huddleston)
2. Our Best Jackett (Scott Snyder)
3. Exploding Giraffe (Brian K. Vaughan e Niko Henrichon)
4. JenBartel.club (Jen Bartel)
5. I’m Fine I’m Fine Just Understand (ND Stevenson)
6. Xanaduum (Grant Morrison)
7. It’s Chip Zdarsky’s Newsletter, Okay? (Chip Zdarsky)
8. KLC Press (Donny Cates, Ryan Stegman)
9. Jinxworld (Brian Michael Bendis)
10. Liana’s Newsletter (Liana Finck)
Da segnalare che, nella classifica delle newsletter più remunerative, quella di James Tynion IV è misteriosamente scomparsa, nonostante fosse al secondo posto nella classifica di fine anno del 2022. Grant Morrison è invece il cavallo pazzo che evidentemente ha un pubblico contenuto ma molto affezionato.
Il pubblico di iscritti di ogni autore è un lordo su cui va applicato il tasso di apertura (il cosiddetto open rate), la percentuale di iscritti che davvero apre – e poi legge – le mail che riceve. La stessa Substack ricorda che un buon tasso di apertura si aggira tra il 50% e il 60%, ciò significa che, per esempio, i lettori effettivi di Chip Zdarsky potrebbero essere poco più di 7mila.
Sono quasi tutte newsletter note, gestite dagli stessi nomi di grande richiamo che erano stati strombazzati all’epoca dell’annuncio di questo programma di reclutamento. Le uniche eccezioni sono rappresentate da autrici e autori che non bazzicano il fumetto seriale o il mondo del fumetto in senso stretto: Carissa Potter, autrice della newsletter Bad at Keeping Secrets, che racconta l’intimità emotiva attraverso i fumetti; Liana Finck, celebre vignettista del New Yorker; e il brasiliano Caetano Cury, autore delle vignette Téo & O Mini Mundo, molto apprezzate e popolari (su Instagram ha 277mila follower).
Proprio la prima gestisce la newsletter fumettistica più seguita in assoluto (28mila iscritti), anche se il fumetto in quel caso è più un mezzo che un fine, dato che Potter è sì una illustratrice e vignettista ma utilizza il disegno e per diffondere messaggi di autoaiuto dalla forte carica emotiva. Il seguito che ha le deriva da quello, non dal fatto che disegni. Infatti quest’anno Substack l’ha rimossa dalla classifica delle newsletter a fumetti più popolari, dopo averla inserita l’anno scorso, forse perché il tema centrale non sono i fumetti né le vignette. Io però ho preferito includerla ugualmente, per dare una fotografia più variegata di ciò che stanno facendo gli autori su Substack.
Al secondo posto c’è però una newsletter che è con tutti i piedi nel fumetto, anzi, forse troppo: 3 Worlds/3 Moons, del team creativo capitanato da Jonathan Hickman. 3 Worlds/3 Moons conta 22mila iscritti, tutti raggranellati grazie alla popolarità dello sceneggiatore e, probabilmente, all’idea perversamente nerd alla base del suo fumetto: una serie in cui il worldbuilding è molto più importante della storia che racconta. Gli iscritti ricevono infatti valanghe di note, appunti, mappe, regole e testi riguardanti un mondo fantascientifico che procede attraverso grandi cicli basati sulla scienza della durata di centinaia, a volte migliaia di anni, alternati ad altri caratterizzati dalla magia, in cui si muovono le storie di tanti personaggi diversi.
3 Worlds/3 Moons è anche la newsletter più remunerativa, nonché una delle più strutturate: Hickman ha costruito una piccola etichetta editoriale, assoldando anche l’editor Marvel Stephen Wacker. Nel maggio 2022, lo sceneggiatore affermava di essere arrivato a 10mila iscritti e che di quelli 2.300 erano abbonati paganti, di cui un terzo alla cifra più alta (250 dollari). È ragionevole pensare che l’anno scorso la newsletter di Hickman abbia fruttato più di 300.000 dollari lordi (187.500 dagli abbonati più spendaccioni, il resto dagli altri, dando per scontato che si siano abbonati con il pacchetto annuale a 80 dollari, che è più economico dei 96 dollari che si pagherebbero abbonandosi di mese in mese).
Prima parlavo delle differenze tra le due classifiche e del valore di quei numeri, iscritti da una parte e abbonati dall’altra. Ecco, lo scorso luglio, Carissa Potter ha dichiarato di avere quasi 17mila lettori, di cui soltanto 180 abbonati paganti (facciamo anche che li abbia raddoppiati nel frattempo). Per Potter, Substack non è ovviamente una fonte di guadagno ma un modo di raccogliere pubblico e indirizzarlo ai suoi tanti altri prodotti (libri, stampe, apparizioni pubbliche). E in questo quindi la newsletter è funzionale e assolve lo scopo.
Difficile capire se a Substack faccia più gioco una newsletter come quella di Potter – che non mi risulta sia stata sovvenzionata ma che è molto seguita – o una meno popolare ma con più abbonamenti (da cui Substack guadagna una percentuale). Di certo le sovvenzioni elargite ai vari autori sono servite per far parlare della piattaforma e non hanno prodotto un ritorno economico: come parte dell’accordo con quel gruppo di fumettisti, Substack si tiene l’85% dei ricavati nel primo anno, per poi scendere al 10% negli anni successivi. Spiccioli, nel quadro generale.
Per molti, il fine ultimo dell’esperienza Substack resta lo stesso di un tempo: la carta. Dopo otto numeri distribuiti tramite Substack, Love Everlasting di Tom King ed Elsa Charretier è passata direttamente al supporto fisico, di fatto concludendo l’esperienza principale della newsletter (che resta attiva con aggiornamenti e dietro le quinte). Anche Chip Zdarsky, altro sovvenzionato, ha pubblicato Public Domain prima online e poi attraverso i tipi di Image Comics, e come lui tanti altri.
Parlando a Fumettologica, James Tynion IV aveva ammesso di non considerare il fumetto via newsletter come la forma ideale del suo lavoro: «Un fumetto come xkcd, per esempio, va letto online, perché è pensato per quello spazio. Ma i fumetti che scrivo io sono pensati per vivere sulla carta» ha detto lo sceneggiatore. «Quando voglio davvero immergermi in un fumetto, leggerlo come si deve, ho bisogno di tenerne una copia fisica tra le mani. È quell’aspetto lì a renderli fumetti».
Fuori dai nomi illustri, dai giri di soldi, dai titoli sui giornali, Substack è riuscita a far passare il messaggio che la newsletter è uno strumento in più per i creativi del disegno? Qui in Italia qualche esempio c’è. Il fumettista Emanuele Rosso (Limoni, Goat) nel 2021 ha aperto una newsletter con cui pubblicare il suo fumetto a puntate Off the Record, una cronaca agrodolce del mondo della musica indie italiana dei primi anni Duemila, visto attraverso le vicende del gruppo musicale fittizio Recordi.
«L’indie italiano degli anni Duemila, diciamo pre-social, non ha una mitologia, non è mai stato storicizzato. Volevo raccontare la mia versione, fittizia, di quel mondo» racconta a Fumettologica Rosso, che per pubblicare Off the Record ha scelto proprio Substack. «Dietro la scelta del fumetto via newsletter c’era un misto di “sono stufo dell’editoria classica” e volontà di fare cose a episodi con una serialità che il formato libro non mi permetteva.»
A Rosso questo sembra un canale di comunicazione più stabile di molti altri social: «La newsletter raccoglie un pubblico vero, specifico, che ti ha scelto in maniera molto più consapevole. È uno strumento che offre meno visibilità, ma è una visibilità più profonda e con una crescita organica. Ed è meglio avere mille persone iscritte con cognizione di causa che diecimila persone che hanno messo un like acritico». E infatti quando la crescita non è organica, come nel caso dell’episodio Diventa uomo, abbandona Bologna, che grazie al passaggio sulla rivista Zero ha dato slancio alla newsletter, un po’ di pubblico si perde per strada, perché spinto a iscriversi sull’onda della viralità.
Oltre all’assenza di costi (dato scontato ma che lo diventa meno se consideriamo che spedire email ha un prezzo non indifferente, e molte altre aziende, come Mailchimp, offrono lo stesso servizio a pagamento), è questo l’aspetto che ha convinto Rosso a cercare una strada alternativa ai social: l’instabilità del pubblico e dei metodi con cui i social veicolano i contenuti. «Se Instagram cambia o chiude, io perdo tutto il pubblico che mi sono costruito. Sulla newsletter quel pubblico è mio, e, se Substack implodesse, prenderei la lista delle email e me le porterei altrove. Non c’è nessun algoritmo che mi fa diventare un successo istantaneo, ma nemmeno che si mette d’intralcio tra me e i miei lettori.»
Poi, certo, anche per Rosso vale il feticcio della carta di cui parlava Tynion e, una volta conclusa la serie, vorrebbe vederla pubblicata in un volume fisico. Off the Record è uno dei pochissimi progetti italiani strutturati. Ci sono altri sparuti esempi, come Viaggio in Italia di Pietro Scarnera, che è più che altro un dietro le quinte sul suo prossimo fumetto, o Smoking Cat di Claudio Calia, Marco Corona e Claudio Marinaccio, che è molto più anarchico.
È evidente che quelle italiane sono casistiche troppo diradate per fare sistema, ma in America cosa è rimasto dopo il boato iniziale? Attorno a Spectators, 3 Worlds/3 Moons o Eden’s End (rispettivamente i fumetti di Brian K. Vaughan, Jonathan Hickman e Grant Morrison) mi pare ci sia meno interesse che se fossero stati pubblicati su carta. Sembra un po’ l’effetto Apple TV, ovvero produzioni costose, con attori rinomati e spesso ben scritte, ma che passano sotto silenzio (un aspetto diventato paradigmatico al punto da essere motivo di sfottò). La fruizione tramite Substack non stimola i lettori a parlare su Twitter di ciò che hanno letto come succederebbe per la nuova uscita di Spider-Man.
«Non è che ne avrebbero parlato molto di più se li avessero pubblicati in cartaceo» afferma Rosso. È vero anche questo, e di certo non è una discussione su Twitter a salvare un fumetto dall’oblio. È solo una percezione, o, come dice Rosso, «una questione di statuto culturale. Sicuramente un fumetto su carta riceve un minimo di copertura in più. Non ti invitano a un festival perché hai fatto un fumetto su newsletter, anche se il tuo pubblico è più numeroso di quello di un autore pubblicato».
Le differenze maggiori le rileva chi sta all’esterno, quindi, mentre dall’interno, a quasi due anni dall’avvio del progetto, l’eco di Substack si è ormai confuso con il rumore di fondo delle nostre vite da lettori. Come ha scritto David Harper su SKTCHD, nonostante le aspettative enormi (Scott Snyder aveva definito l’operazione di Substack «una scossa sismica per tutta l’industria»), tutto si è normalizzato, e Substack è diventato «solo un altro ingranaggio della macchina a fumetti, qualcosa che segui o non segui».
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