
Al di là delle nuvolette e della trama, dall’acquisizione delle licenze editoriali alla confezione finale dei volumi, sono in tanti ad operare dietro le quinte e a restare nell’ombra, pur rivestendo un ruolo essenziale per la buona resa di un titolo importato dall’estero. Ma scegliere un traduttore adatto a un particolare titolo resta, tra tutti i ruoli, il jolly per ogni editore che intende puntare sulla qualità delle proprie proposte.
Con il boom del fumetto nipponico, sta aumentando esponenzialmente il carico sulle spalle dei traduttori dal giapponese, che spesso non ricevono le lodi che meriterebbero per aver reso fruibile un’opera concepita per un pubblico diverso e che va adattata nel migliore dei modi attraverso una lavorazione tutt’altro che banale. Ne abbiamo discusso con il traduttore Prisco Oliva, che collabora da anni con Bao Publishing.
Per iniziare, puoi raccontarci quali passi hai dovuto intraprendere per diventare traduttore?
Il mio è stato un percorso decisamente poco ortodosso rispetto alla norma. Dopo aver terminato anzitempo gli studi universitari all’Università Ca’ Foscari di Venezia per necessità familiari, mi sono dovuto dedicare a tutt’altro e accantonare per diversi anni le mie ambizioni per lavorare in settori meno stimolanti per me, ma che mi dessero una maggiore stabilità economica.
Nonostante ciò, ho comunque continuato a coltivare la passione per la lingua e la cultura giapponese, nonché per la traduzione, che ho continuato a praticare a livello amatoriale sia nel settore del manga che della letteratura. In un’epoca pressoché priva di occasioni formali di formazione professionale nel settore della traduzione del fumetto.
Negli anni 2010, a differenza di oggi, era molto più difficile emergere nel settore se non si era già ben inseriti nei circoli dell’editoria o dell’accademia. Ho dovuto lavorare molto per conto mio per raggiungere questo obiettivo, ma a un certo punto ho potuto cogliere l’occasione giusta e prendermi molte soddisfazioni.
Come sei approdato in Bao Publishing dopo l’inaugurazione della collana manga Aiken?
Tramite la vittoria del Translation Slam organizzato presso il Lucca Comics & Games nel 2016, sotto la direzione di Andrea Plazzi e una giuria composta da due professioniste di primo piano come Midori Yamane e Susanna Scrivo. Il premio per il concorso consisteva in una segnalazione per una collaborazione con Bao Publishing, che si è concretizzata due anni dopo con l’esordio della linea Aiken sul mercato, nel 2019.
Curiosamente, il mio primo incarico fu un volume unico di un mangaka atipico per stile ed esperienze: Henshin del nippo-spagnolo Ken Niimura, già conosciuto dal pubblico di Bao per il graphic novel I Kill Giants e tuttora uno degli autori di punta nel catalogo dell’editore. Come amo dire, dopo essere uscito dalla porta di servizio di questo mondo, ne sono rientrato dalla finestra. E aver potuto farlo con un editore di altissimo livello nel panorama fumettistico italiano è per me motivo di grande orgoglio.

Sei ufficiosamente famoso per essere il traduttore di tutte le opere del grande Yaro Abe, da La taverna di mezzanotte a Mimikaki e Maldestro dalla nascita. Si è trattato di un caso oppure è buona prassi affidare allo stesso traduttore tutte le opere di un certo autore?
Questo è un discorso applicabile a case editrici di qualsiasi genere: sarebbe opportuno associare un autore al suo traduttore per dare modo di sviluppare una “voce traduttiva” il più possibile coerente, ma per svariati motivi potrebbe non essere possibile. Probabilmente l’opera di un singolo autore è divisa tra più licenziatari che non si rivolgono allo stesso pool di professionisti per la traduzione, o il traduttore stesso potrebbe, per scelta o per indisponibilità, non accettare degli incarichi, o semplicemente sussistono motivi organizzativi a livello di casa editrice che non consentono di assegnare tutte le opere di un autore allo stesso traduttore.
Quest’ultimo motivo è valido in particolar modo per i colossi del settore manga, che raramente sono in grado di assicurare questo tipo di continuità per poter riempire un catalogo fitto di titoli. In ogni caso, oltre all’assoluto valore della produzione di questo autore, poter essere la sua unica voce italiana, se mi sarà ancora consentito, è per me grande motivo di vanto nonché fiore all’occhiello della mia pur breve carriera, fin da quel fatidico Lucca Comics 2019 dove l’annuncio di Shin’ya Shokudō sul palco del Teatro del Giglio fu accolto dai miei cori da stadio dalla platea.
La taverna di mezzanotte vanta il fatto di aver ispirato una serie disponibile in streaming su Netflix, uscita prima della pubblicazione in Italia dell’opera a fumetti. In queste circostanze, ti sei ritrovato costretto ad attenerti alla traslitterazione dei nomi dei luoghi e dei personaggi così come sono stati tradotti nella serie televisiva o hai avuto la libertà di tradurre tutto dal giapponese da zero?
Non ho minimamente considerato di basare alcunché sui sottotitoli italiani, peraltro incompleti (esistono solo per le due stagioni finanziate da Netflix e non per le prime tre). Le marcate differenze di regia e di narrazione non giustificano un’assoluta aderenza all’una o all’altra versione, per cui ho preferito partire fin da subito con un rapporto esclusivo con il fumetto originale, senza interferenze da parte della serie.
Che comunque è stata utile per ascoltare la lettura corretta di certi nomi non di facile interpretazione nel manga, dato lo scarso utilizzo dei furigana (legenda in segni sillabici volti a illustrare come si leggono certe combinazioni di kanji, ovvero caratteri cinesi). Bao fortunatamente mi ha lasciato campo libero. Alla fine, l’unica analogia con la serie tv è il sottotitolo Tokyo Stories.
Nella sua autobiografia, Maldestro dalla nascita, Abe abbellisce la narrazione con continui haiku. È stato difficile ricreare la sonorità di questi componimenti poetici in italiano?
Abe è un amante della canzone e della poesia, e tradurre il testo poetico è chiaramente una sfida ardua, ma stimolante. Nel caso di quest’opera, l’ispirazione viene dagli haiku a verso libero di Ozaki Hōsai, che proponeva un utilizzo più flessibile rispetto ai rigidi schemi tradizionali.
Lo stesso titolo dell’opera, come si vede nelle prime tavole, è uno di questi componimenti. Per tutti i versi che compaiono ho cercato di rendere al meglio un’aria di affettuosa nostalgia, come quella che permea i pregevoli disegni delle tavole. A volte il risultato può sembrare alquanto goffo e sgraziato, ma è l’effetto che volevo ottenere.

Hai tradotto di recente un interessante volume di Miki Yamamoto intitolato Un figlio eccezionale. In questa opera si possono trovare numerosi riferimenti a libri e pubblicazioni reali, così come altre di invenzione dell’autrice. Come ti comporti quando devi tradurre titoli e citazioni di pubblicazioni edite anche in Italia? Cerchi ogni titolo menzionato dall’autrice per capire se è stato tradotto in italiano e ne riporti la traduzione o segui altre vie?
Riferimenti diretti ad altre pubblicazioni sono relativamente rari nei manga, e Un figlio eccezionale è un caso particolare dove sono riprodotte graficamente perfino le copertine dei tanti libri citati. Questi testi, a riflettere la vocazione internazionale della protagonista Sara, una “collega” traduttrice e interprete (nonché della stessa autrice) sono spesso classici e best-seller di livello mondiale. È stato dunque naturale, come da buona norma, andare a ricercare i titoli e gli editori delle rispettive edizioni italiane.
Parimenti si cerca sempre, in caso di citazione, di riportare direttamente la versione italiana già in circolazione, specialmente quando si tratta di un testo originariamente in italiano. In caso di assenza di versioni italiane, il che capita spesso con la saggistica giapponese, si procede allora a tradurre ex-novo come per il testo rimanente.
Ci sono aneddoti particolari legati alla traduzione e all’adattamento di Un figlio eccezionale?
Non ho incontrato particolari criticità da risolvere nella traduzione di quest’opera. Al contrario, la naturalezza con cui ho potuto trasporre questo testo in italiano e l’universalità dei temi trattati ne fanno l’unico manga che consiglierei veramente a «tutti i bambini eccezionali, intelligenti e coraggiosi, e coloro che lo sono stati almeno una volta nella vita». Sfido chiunque a trattenere le lacrime alla fine.
Come cambia il tuo approccio quando devi tradurre titoli rivolti a un pubblico generalista più ampio, non avvezzo alla cultura e alle traduzioni giapponesi? Cerchi di semplificare l’adattamento in modo da rendere più fruibile l’opera o abbondi di note a margine?
Cerco di modulare l’approccio in base alla ricezione del pubblico: nel caso di La taverna di mezzanotte, all’esordio della serie, nel 2020, la collana Aiken era ancora in fase di crescita ed eravamo in un momento storico in cui l’interesse per la cultura e la cucina giapponese aveva appena iniziato ad avere il boom che conosciamo oggi: eravamo in pieno lockdown e in Italia si stava cominciando allora a “sognare il Giappone”.
Considerando il pubblico di riferimento di Bao, ho preferito partire con un maggior uso di adattamenti, senza però profondermi in note. Trovo infatti che sia più importante studiare approcci per rendere al massimo la fruizione scorrevole senza stravolgere il senso del testo, cercando di limitare il più possibile il ricorso a note che spezzino il ritmo di lettura.
La crescita del pubblico e della passione per la cucina giapponese anche tra chi non ha una conoscenza approfondita del Giappone, inoltre, mi hanno permesso di allentare progressivamente la spinta ad adattare, giacché mi sono reso conto che termini culinari fino a poco tempo fa appannaggio di pochi esperti in materia stanno man mano entrando nell’uso comune.
Potrei paragonare i lettori alle prime armi al bambino che cerca di imparare a usare la bicicletta che vediamo in Maldestro dalla nascita: una volta che riesce a stare in equilibrio, il padre ha potuto togliere le rotelle per principianti. I miei metodi non sono tanto severi come i suoi, però.

In qualità di conoscitore della lingua e appassionato, ti viene data anche la facoltà di suggerire all’editore eventuali titoli da portare in Italia?
Nel mondo editoriale esiste una branca che chiamiamo scouting: delle figure professionali, interne o esterne alla casa editrice, che vanno in cerca di potenziali titoli stranieri da immettere sul mercato. Nel caso dell’editoria fumettistica, in genere i piani editoriali vengono stabiliti internamente, anche se le redazioni possono essere aperte a suggerimenti, specialmente se si è instaurato un rapporto di fiducia reciproco. Nel mio caso ho già avuto modo di avere riscontri positivi su alcune opere che ho proposto e che potrebbero presto vedere la luce, ma ci sono state anche occasioni in cui mi è stato chiesto un parere su un titolo già preso in considerazione dall’editore.
Per il futuro, hai intenzione di ampliare i tuoi orizzonti traducendo saggi, romanzi e dialoghi di film e serie tv nipponiche, o pensi sia meglio continuare a occuparti di manga, essendo ormai un esperto del campo?
Per il momento sono contento di farmi strada nel mondo del fumetto che amo da sempre, in uno dei modi concessi a chi non ha talento per il disegno. Vorrei intanto approfondire alcuni autori che ritengo meritevoli ma ancora inediti, e magari allargarmi a generi purtroppo poco battuti, ma non escludo di lavorare nel campo della narrativa e della saggistica in futuro, visto anche il notevole successo della letteratura giapponese negli ultimi anni. Oggi ho le mani impegnate a scavare sotto la punta di quell’immenso iceberg che è il manga, domani chissà.
La versione originale di questo articolo è stata pubblicata su Diari di Cineclub 116.
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