Intervista a Francesca Tassini, l’autrice di “Snow Black”

Vi ricordate l’autore maledetto, che si ubriaca tutte le sere, è l’anima (distruttiva) della festa, vive emozioni gigantesche, prova tutto e poi scrive pagine immortali, come faceva Ernest Hemingway? Oppure l’impiegato metodico della pagina, Thomas Mann, che ogni giorno sulla scrivania pescava un foglio bianco dalla risma di sinistra, lo riempiva di parole e solo alla fine della giornata lo passava alla pila di destra, pronto per essere impaginato? O il giocoliere da palco, alla Neil Gaiman, che è un protagonista della vita culturale e della scena pop? O un romanziere maledetto, che scrive di getto il romanzo che definisce una generazione, come Jack Kerouak con il suo Sulla strada?

Ecco, dimenticate tutti questi stereotipi. Viviamo in una cosa che si chiama industria culturale, in cui si fa arte e letteratura ma si fa contemporaneamente anche business e c’è un mercato. Anzi, più di uno. In questi mercati operano dei professionisti che oggi sono unici al mondo: gli autori. Unici al mondo perché uniscono delle competenze tipicamente professionali nella creazione del loro prodotto, che è il frutto del loro ingegno, a quelle decisamente artistiche e autoriali: autenticità, voce originale, sensibilità e sentimenti.

Queste creature mitologiche ogni giorno ci raccontano storie su canali diversi, che spaziano dalla serie tv al fumetto, dal romanzo al grande film, passando per videogiochi, forme di intrattenimento multimediali e “normali”. Spesso sono le stesse persone che fanno tutto e lo fanno usando sempre lo stesso strumento, le parole. Che sono poi quel che basta per avviare tutti i processi di creazione e comunicazione. E lo fanno in team, assieme ad altre persone e figure professionali (editor, direttori di collana, produttori esecutivi, disegnatori, illustratori, registi, attori e via dicendo) ma lo fanno anche e decisamente da soli, davanti al foglio bianco digitale sullo schermo del loro computer.

Per capire un po’ meglio come funziona oggi, nel momento in cui l’industria culturale post-pandemica ancora una volta sta cambiando faccia, siamo andati a incontrare una giovane autrice, Francesca Tassini. Ecco il nostro dialogo, editato per ragioni di chiarezza e brevità, come dicono sulle riviste americane.

Ciao Francesca. Chi sei, ti presenti?

Sono scrittrice per adulti e per ragazzi, e sceneggiatrice. Mi sono diplomata in sceneggiatura alla Scuola Civica di Cinema Luchino Visconti di Milano nel 2004 e da allora ho sempre lavorato con la scrittura nelle sue molteplici forme.

Infatti, sei una autrice che si occupa di molte cose diverse. Cominciamo con Snow Black, che è un po’ la tua creatura e tante cose diverse al tempo stesso. Ci racconti cos’è, come è nato e dove sta andando Snow Black?

Snow Black è un romanzo mystery a sfondo tecnologico, con dentro i dilemmi dell’adolescenza. Il titolo è anche il nome della protagonista, o meglio il suo nickname: una blogger quattordicenne appassionata di investigazione che, all’inizio del primo libro, si “sveglia” dentro Internet senza memoria e apparentemente senza un corpo, come se si fosse trasformata lei stessa in un flusso di dati. Da qui, insieme a due fratelli in carne e ossa, dovrà indagare su alcune misteriose scomparse avvenute nell’ultima cittadina dove si era recata proprio per indagare, ma soprattutto scoprire la verità su di sé e su che fine ha fatto.

Stavo editando il mio primo libro [Come mosche nel miele, NdR] quando Alessandra Berello, publishing manager di Atlantyca Entertainment, mi ha chiesto se volessi sviluppare un romanzo a partire da un’idea di un altro autore, Mario Pasqualotto: quella di un “fantasma” intrappolato nel web. Ho immediatamente intuito il potenziale della storia e ho accettato, mettendoci poi dentro la mia visione. È stata una scelta fortunata: il primo romanzo, pubblicato dall’allora neonata casa editrice Marietti J, è stato adattato nel 2021 a serie televisiva prodotta da RAI con Atlantyca Entertainment e andata in onda su Rai Gulp. Ora la serie è disponibile su Rai Play.

L’adattamento ha richiesto alcune modifiche rispetto al libro, ma ne ha mantenuti intatti il nucleo della storia, la caratterizzazione dei protagonisti e le atmosfere, che sono l’aspetto rilevante. Mentre giravano la prima stagione, io ero già all’opera sulla scrittura del secondo volume, Snow Black – Senza cuore. E proprio adesso mentre parliamo sono in corso le riprese della seconda stagione.

Hai fatto anche altre cose rispetto a libri e tv, ma ne parliamo tra un attimo. Invece, com’è passare dalla tua precedente vita di sceneggiatrice a quella di romanziera, poi di autrice seriale e poi essere coinvolta in progetti per le serie tv?

Non so se parlerei di “passaggio”, piuttosto è una convivenza. Per me scrivere è, prima ancora che una professione, una necessità. È da sempre il mio modo per esprimere le tante me, e in questo la mia storia professionale rispecchia un po’ la mia vita. Non faccio troppa fatica a passare da un media a un altro, anzi: i due elementi si arricchiscono e condizionano a vicenda. Lo stesso vale per generi e target: esplorarne di diversi mi permette, fra le altre cose, di vedere quanto di mio possa infilare dentro i diversi progetti e come.

Per esempio ho notato a posteriori che nella mia produzione alcuni argomenti, temi e luoghi ritornano, declinati diversamente a seconda della storia e del medium: l’adolescenza e il distacco dal mondo “magico” dell’infanzia, la città come macro-organismo avvolgente e respingente, la ricerca identitaria anche in condizioni di frammentarietà, le rappresentazioni mentali che formano la realtà di ciascuno.

Per uno scrittore o una scrittrice, cambiare genere o target è una scelta più complessa rispetto al mantenerne uno. Ma preferisco sentirmi svincolata dalle etichette e spero di avere sempre la fortuna e la libertà di incontrare chi ci crede e mi permette di continuare a farlo. Come autori non bisognerebbe aver paura di sperimentare, piuttosto di perdere contatto con la nostra verità essenziale, quel nucleo profondo risultato di combinazioni, esperienze e modi di sentire che fa di ognuno di noi ciò che è.

Come coniughi la tua voce autoriale con l’essere anche una professionista dell’industria culturale?

Lavorare all’interno dell’industria culturale mi permette di non fossilizzarmi e di “fare altro” mentre porto avanti i miei progetti personali. Al momento, ad esempio, sto scrivendo un romanzo per adulti; un altro per un pubblico di young adults aspetta di trovare una sua collocazione. Nel frattempo ci sono i progetti per il cinema e la TV, che hanno tempi diversi.

Come accennavo poco fa, mentre editavo Come mosche nel miele, il mio esordio alla narrativa per Solferino Libri, sono stata chiamata a scrivere il primo volume di Snow Black. Era l’afosa estate del 2018 e, rinunciando a partire per le vacanze, facevo ping-pong tra il primo libro, un romanzo/memoir su temi caldi e decisamente adulti, profondamente mio, e un romanzo per ragazzi con dentro tanta azione e avventura.

Ti viene naturale lavorare su più progetti contemporaneamente o preferisci le situazioni più lineari, un progetto alla volta?

Non so se i due libri si siano in qualche modo, anche minimo, influenzati a vicenda, ma la mia sensazione era di poter passare da un progetto all’altro senza troppa fatica, come se in fondo si alimentassero l’un l’altro. Eppure sono due libri completamente diversi uno dall’altro, sia per trama che per stile.

Mi capita spesso di lavorare su più fronti contemporaneamente. Mi piace vedere tutti i modi in cui una stessa scintilla può diventare materiale creativo da cui trarre spunto sia per una storia che per un’altra del tutto diversa. Perché naturalmente, come tutti gli scrittori, prendo ispirazione dalla realtà di ciò che vedo, sento, leggo a mia volta, oltre che dalla mia realtà intima e personale.

Autori si nasce o si diventa? Nel senso, visto che modelli parole in parti diverse dell’industria culturale, che idea ti sei fatta: occorre avere un background tecnico magari con la scuola di sceneggiatura, oppure quel che serve è il talento e basta?

Io ho frequentato una scuola professionale e non posso sapere se avrei lavorato ugualmente con la scrittura in caso non fosse successo. Penso però che, anche quando ci sia una forte spinta individuale, chiamiamola un talento o un’inclinazione alla scrittura di storie, senza metodo difficilmente la si possa portare a maturazione e farne una professione. Questo è il caso soprattutto della scrittura per il cinema e per l’audiovisivo in generale, dove conoscere la tecnica e le regole è indispensabile e non basta avere talento immaginifico.

Ci vuole molta pratica, molto lavoro, tante riscritture e moltissima umiltà, anche perché un’opera cinematografica o televisiva è sempre frutto di più menti e professioni. Anche nella scrittura narrativa occorre lavoro: in questo caso si tratta soprattutto di leggere moltissimo e di scrivere sempre, anche nei giorni in cui ci si sente meno ispirati.

Vorrei dare un consiglio spassionato a chiunque avesse voglia di diventare autore o sceneggiatore: piuttosto che saltare da un corso creativo all’altro, scegliete una buona scuola professionale che vi instradi, magari fate qualche approfondimento ma dopo provate a entrare direttamente nel mondo lavorativo: è il modo più rapido e funzionale per imparare le dinamiche interne e del mercato, oltre che per affinare le proprie idee autoriali.

Libri illustrati e fumetti, stai facendo anche questo: com’è andata, com’è stato usare quei linguaggi per te? Ti piace?

Mi piacciono moltissimo i libri illustrati. Uno dei miei illustratori contemporanei preferiti è Daniele Serra, conosciuto anche per le sue collaborazioni con autori come Clive Barker, Joe Lansdale e Stephen King. Lui è un maestro dell’acquerello e dello stile gotico e horror. Quando mi ha chiesto se volessi fare qualcosa con lui, è stato un piccolo sogno diventato realtà. È nato così un progetto a due mani, con le sue illustrazioni e i miei testi: spero possa presto prendere forma in Italia o all’estero. Per quanto riguarda i fumetti, c’è in ballo l’uscita di un graphic novel per la casa editrice Tunué, ma è ancora troppo presto per parlarne.

I tempi dell’autore: come fai a vivere con tante storie in parallelo?

Per natura le routine mi angosciano, ma senza disciplina e metodo non andrei da nessuna parte: io scrivo soprattutto la mattina e il pomeriggio, talvolta concedendomi un panino al volo. Non sempre scrivo la stessa quantità di pagine, dipende dalle consegne e dalla natura dei progetti a cui sto lavorando, ma scrivo sempre. La sera, a meno che non ci sia una deadline impellente, la dedico a me, alla casa, a mio marito, ad ascoltare musica e guardare film e serie, agli amici.

È spesso in questi momenti che mi vengono in mente nuove idee o ispirazioni per qualcosa che sto già scrivendo: non si finisce mai davvero di lavorare! Un altro momento fortemente creativo si presenta senza essere invitato intorno alle cinque del mattino. Quando succede, resto sveglia nel letto a elaborare parti di storie o di dialoghi a mente, senza trovare la forza di alzarmi e buttare le idee su Word o Final Draft. Al massimo, afferro il telefono dal comò e prendo degli appunti che solo io sarei poi in grado di decifrare. Questa specie di piccola tortura dà spesso buoni frutti: si dice che le illuminazioni migliori arrivino proprio a ridosso dell’alba, tra il sonno e la veglia, mentre gli altri dormono.

Per concludere, una domanda ”tecnica”: ma per te scrivere è una cosa che, come il protagonista di Misery non deve morire di Stephen King, si fa ovunque, comunque e a prescindere da tutto, oppure hai i tuoi riti, i tuoi strumenti, le tue manie?

Mi piacerebbe essere capace, come tanti amici e colleghi scrittori e sceneggiatori, di scrivere in un bar o al parco, ma per me non funziona proprio così. Riesco quasi solo da casa, dal mio studiolo, quando sono sola o al massimo con mio marito in giro che ogni tanto mi porta un bicchiere d’acqua o qualcosa da mangiare per non svenire. Quando scrivo o edito entro in una sorta di apnea e a volte mi dimentico dei bisogni primari fino a che non si fanno impellenti!

La musica è la mia migliore compagna. La tengo accesa dalla mattina alla sera. Non a caso, è la mia più grande passione insieme alla scrittura. Scrivo su uno dei miei due computer, mai a mano: la mia mente corre più veloce e ho bisogno di battere su una tastiera oppure le idee si dissolvono. Contrariamente allo stereotipo dello scrittore/scrittrice poi, non bevo caffè e non lavoro in un ambiente disordinato e polveroso da artista bohémien. Non so neppure se considerarmi un’artista: sono una che non può fare a meno di scrivere storie, e che è riuscita con grande fatica e tenacia a farlo diventare un mestiere.

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