RubricheAnd So What?Capire le Light novel

Capire le Light novel

Pensiero critico e laterale attorno a quell'incrocio molto trafficato fra cultura, tecnologia e mercato. "And So What?", una rubrica di Fumettologica a cura di Antonio Dini. Il giovedì, ogni 15 giorni.

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i diari della speziale manga light novel
Un’immagine da “I diari della speziale”

Lo ammetto, non sapevo niente delle light novel o, come dicono i giapponesi, le ‌raito noberu. Sono “romanzi leggeri”, ma la forma è più breve e semplificata. Si tratta in realtà, più che altro di un racconto lungo o di romanzo breve, di quello che gli anglosassoni in modo molto pragmatico chiamano appunto “novella” (le avevamo anche noi, ma ai tempi di Boccaccio), per non fare confusione con il resto della fiction. E sono destinate a un pubblico di giovani adulti, il fantomatico e amato (dal marketing) mercato degli Young Adult, adolescenti e giovani che siano.

Non basta questo, però. Le light novel sono novelle scritte con lo stile e le caratteristiche di un manga, ma non sono manga, ovviamente. Anche se c’è un contributo fondamentale di un disegnatore che illustra e dà il passo oltre che vita alla light novel di turno, si tratta di testi da libro. Solo parole. Da noi sarebbero scritti forse un po’ più grossi o con un font “facile”, come le cose per i bambini. Invece in Giappone la cosa si manifesta in altri modi: prima di tutto con la scelta del formato (il bunkobon, che poi è un A6 da 10,5 x 14,8 cm) e con la riduzione al massimo della presenza di kanji, gli ideogrammi che spesso i giovani ancora non conoscono in maniera approfondita.

E se ci sono dei kanji, sopra al carattere vengono posizionate le striscioline di testo scritto piccolo piccolo, per chiarire la pronuncia e quindi il significato della parola. Perché il kanji è semplicemente un disegno astratto o pittogramma che deve essere memorizzato, non ha alcun collegamento con i suoni (come invece le lettere dell’alfabeto o i segni degli alfabeti sillabici). In questo modo, con kanji semplici, tante spiegazioni, trame semplificate, illustrazioni, piccolo formato, le light novel possono funzionare come un manga, ma costando infinitamente meno e soprattutto venendo prodotte con ritmi molto più serrati.

Non ne sapevo assolutamente niente e, da non esperto di manga, mi pascevo della mia beata ignoranza sino a questa estate, quando ho adoperato il mio trucco preferito per tenere accesa la fiamma della lettura, cioè alternare un libro a una serie o un albo grosso a fumetti. Tecnica che mi aiuta da sempre a superare i momenti di crisi e zero voglia di leggere libri nuovi o riprendere i mille lasciati a metà. Ci metto dentro un bel fumetto, un graphic novel, magari una serie breve di manga, me la leggo e poi sono a posto: mi sblocco e mi rimetto serenamente a leggere un libro, consapevole di non aver sprecato tempo lontano da pagine stampate con o senza disegni, in questa vita troppo breve rispetto a quante cose ci sono da leggere.

Dicevo che questa estate sono inciampato per la prima volta nel termine, che in realtà i giapponesi hanno coniato autonomamente (non c’è una locuzione inglese analoga: se la sono inventata loro) negli anni Novanta. Sono inciampato, dicevo, grazie alla più improbabile serie manga che mi sia capitata di leggere: I diari della speziale, scritta da Natsu Hyūg. Dico soprattutto scritta perché l’autrice era partita sul web, si era autopubblicata su un sito specializzato che vedremo più avanti e poi era sbarcata nel mercato delle light novel con la prima serie, che era stata battezzata Il monologo della speziale, per poi essere promossa dalla casa editrice giapponese al rango di manga come appunto I diari della speziale (in Italia è stata pubblicato da J-Pop nel 2021) e con un’altra serie inedita da noi, e infine preparandosi al grande salto nel mercato degli anime. Insomma, ne ha fatta di strada quella storia piastrellata sul web.

Dal 2011 a oggi, sono cambiati i disegnatori ma anche l’autrice: la light novel scritta da Natsu Hyūga era stata illustrata da Tōko Shino, mentre ‌I diari della speziale vedono la sceneggiatura di Itsuki Nanao (che sostanzialmente prende la Light novel come un soggetto e la spalma tavola per tavola, dialogo per dialogo) e i disegni di Nekokurage. Nel manga gaiden che è stato avviato in parallelo cambiano ulteriormente sceneggiatrice e disegnatrice. Insomma, c’è voluto un bel po’ di tempo, perché il primo manga ha iniziato a uscire su Monthly Big Gangan della Square Enix solo nel 2017.

La storia non potrebbe essere più semplice (ma gustosa). Il manga segue le avventure di Maomao la speziale, cioè la persona che nei tempi antichi si occupava di produrre le medicine. Siamo nella vecchissima Cina Imperiale, in una dimensione piuttosto astratta ed estetizzata, come si conviene per l’ossessione (e l’invidia) che i Giapponesi hanno per quel luogo e quel tempo. Maomao (il nome in giapponese è scritto con il vecchio ideogramma del verso del gatto ripetuto due volte) è carina, non bella, e viene rapita dal quartiere “del piacere” (la zona delle prostitute) dove lavorava assieme al vecchio padre, ritrovandosi nella Corte Interna del Palazzo Imperiale a fare da serva. Poiché è decisamente brava come erborista e poi è anche colta (sa leggere), viene rapidamente promossa ad ancella e assaggiatrice personale di una delle consorti di alto rango dell’imperatore.

La storia è strutturata con un arco narrativo più ampio (la vita di Maomao) e tanti capitoli che sono in realtà gialli all’americana costruiti con il classico whodunit: indagini complesse che ruotano attorno a un enigma. Chi sta commettendo un assassinio usando un veleno? Come fare a scoprirlo? L’ambientazione storica – con disegni fastosi ma molto puliti da una parte e uno stile leggero e ironico del narrare dall’altro – fa il resto.

Ok, la storia mi rilassa abbastanza, anche se non sono il target perfetto (serie storica di tipo romantico oltre che giallo), ma non è questo quello di cui volevo parlare. Invece, mi sono messo a guardare le vendite di questa roba. E mi sono spaventato. Se si va a dare un’occhiata sui siti internazionali che pubblicano i dati di vendita e i risultati di gradimento dei manga, si vede che i due fumetti hanno spaccato di brutto: primi agli Tsugi ni Kuru Manga Awards del 2019, quinti tra i manga più consigliati nelle librerie nel 2020, mentre a inizio 2021 i due titoli combinati avevano fatto 12 milioni di copie. Questo come pietra di paragone.

Ora guardiamo la light novel: nel 2019 era al sesto posto in Giappone tra le serie più acquistate con poco meno di mezzo milione di copie (460mila per la precisione), passate a 528mila nel 2020, salendo al quinto posto in classifica. Non ho trovato dati successivi ma, per dare un’idea, le light novel – che sono praticamente il lavoro di una scrittrice dilettante, un po’ di editing redazionale e illustrazioni (belle ma poca roba) – hanno fatto un ventesimo di quel che ha fatto il manga, che è costato molto di più sia in termini di tempo che di costi vivi (tipo di carta e stampa e ovviamente disegnatori, assistenti, produzione e via dicendo) e promozione. Fare un ventesimo con un prodotto che costa meno di un centesimo è un ottimo, ottimo risultato, lasciatevelo dire: si chiamano margini ed è con essi che l’editore guadagna.

Attenzione, non sto cercando di minimizzare la light novel, sto solo dicendo che ho scoperto (da buon ultimo) che ha un potenziale economico oltre che narrativo enorme. Ovunque tranne che in Italia. Perché, se non me ne sono accorto prima, in realtà è perché dalle nostre parti non se n’è accorto praticamente nessuno (a parte gli appassionati, certo). Ovviamente, anche da noi le light novel vengono pubblicate ma di rado e con poca rilevanza: il nostro mercato non è costruito così e non è ricettivo, nonostante sia nata da poco anche una casa editrice dedicata, la Dokusho Edizioni che però pubblica relativamente poco (e temo con numeri che hanno un rapporto diverso rispetto a quello delle vendite dei manga corrispondenti in Italia). Tra l’altro, stanno pubblicando anche Il monologo della speziale, che poi è il motivo per cui ho scoperto le light novel: stavo navigando alla ricerca di informazioni sul manga I diari della speziale e continuavo a “inciampare” in risultati parzialmente sbagliati, fino a che non ho capito che si parlava di un libro e non di un manga.

In Italia il mercato è strutturato in maniera diversa, nel senso che da noi non si pubblicano versioni light delle storie che poi vengono trasformate in albi di fumetto popolare. I fumetti Bonelli non passano normalmente attraverso lo stadio di “novella” (ok esistono romanzi di Martin Msytére), né lo fanno i graphic novel di Zerocalcare o le storie di Sio. Disney con topi e paperi? Non scherziamo. Certo, loro fanno le riduzioni per bambini e solitamente ci sono le versioni dei “film illustrati” per i più piccoli ogni volta che esce un film animato Pixar o Disney o qualsiasi altra cosa. Ma un meccanismo di fondo come quello giapponese non c’è.

C’è invece un meccanismo simile per quanto riguarda l’editoria in generale e che a quanto pare il Giappone ha ereditato anche nel settore dei manga. E che passa dalla light novel perché, evidentemente, per un autore che non sa disegnare è il modo migliore – se non l’unico – per mettere in circolazione il suo lavoro. Il meccanismo è quello dell’autopubblicazione sul web, che serve a raccogliere un tot di lettori ma anche a lavorare per bene sulla trama “pulendo” il testo e a vincere la pigrizia e la procrastinazione spingendo avanti il lavoro dell’autore con la forza di una audience viva che fa il tifo e commenta.

Ecco, il Giappone ha una carta da giocare, qui: il sito “Diventiamo tutti romanzieri”. Come sembrano più sfigati i nomi giapponesi quando li traduciamo, vero? Questo sembra quasi “Kataweb – Il Mio Romanzo”. Invece, il nome vero è “Shōsetsuka ni narō”, che detto così suona più esotico e figo, e se lo è inventato nel 2004 un certo Yūsuke Umezaki. Quel che il sito “Diventiamo tutti romanzieri” permette è la pubblicazione online di racconti e romanzi fatti dalla gente: non fan-fiction ma roba originale. Che si legge in rete.

Ci sono due o tre considerazioni da fare prima di arrivare al finale sul perché le light novel sono fatte come sono fatte, secondo me (e sono fatte molto bene!). La prima è che i siti che hanno a che fare con le dinamiche sociali delle persone hanno ciascuno delle specifiche “meccaniche” di interazione. Proprio il modo con cui si organizzano i contenuti e con cui si fanno le cose: Instagram, Facebook, TikTok, Twitter sono tutti social, ma ciascuno ha una sua “meccanica” diversa. Chi arriva prima, se cresce rapidamente e si sa difendere bene, “possiede” quella meccanica e non lascia spazio ai concorrenti.

Ecco, secondo me in Giappone “Diventiamo tutti romanzieri” (scusate, non resisto, mi fa troppo ridere) ha creato una meccanica, e adesso è lo squalo balena che nuota nel mare dei contenuti letterari locali. Tanto che su quel sito ci sono poco meno di mezzo milione di romanzi e quasi un milione utenti iscritti, con un totale di visualizzazioni mensili che gira attorno al miliardo e qualche spiccio (milione) di persone.

La seconda cosa è che i romanzi pubblicati da “Diventiamo tutti romanzieri” si leggono online. Non è un portale per fare self publishing, non mira al libro di carta autoprodotto o al limite all’ebook da caricare sul Kindle. No, resta tutto sul web. Con il vantaggio indiscutibile che il prodotto finale è certamente più carino graficamente perché non c’è un impaginato da massacrare, come accade nel self publishing su carta tradizionale. Il template del sito web funziona e tutti leggono con gioia da dietro le loro spesse lenti da miopi. I giapponesi infatti non solo sono uno dei paesi con il più alto tasso di miopia al mondo, ma leggono anche un botto sul PC o sul telefonino, sin dai tempi del Wap (che se lo sono inventato loro, dopotutto). Notate qualche possibile connessione tra le due cose? No? Strano.

Tuttavia, in un sistema come questo è indubitabile che alcuni libri funzionino meglio di altri. Quelli che funzionano meno, verrebbe da pensare, sono quelli lunghi e strutturati, che si leggono male a video. La gente preferisce ricomprarli su carta, e ovviamente questo per le case editrici è una opportunità di mercato straordinaria. Infatti, in vent’anni gli amici di “Diventiamo tutti romanzieri” (più lo scrivo e più mi sto abituando, accidenti!) hanno pubblicato tonnellate di romanzi che in Giappone sono famosi o famosissimi e da noi perfettamente sconosciuti. O quasi.

Ma non è finita qui. Perché di gente che esce fuori dalla rete con il suo romanzo autopubblicato e convince gli editori a portarlo su carta a suon di follower ne esiste in tutto il mondo, anche da noi. Quel che è successo in Giappone è che gli autori si sono adattati ulteriormente al formato e hanno creato un tipo di libro facile facile da leggere, serializzato fin dal principio (tipo manga) e con una scrittura piana, semplice, molto visiva. Dopotutto, per una ragazzina o un ragazzino che legge molti manga, vede anime, gioca ai videogame come se non ci fosse un domani e si perde via con le card da gioco, cosa meglio di un racconto di fantasia che sia facilmente pubblicabile?

Quelli più dotati graficamente (sono soprattutto ragazze) fanno anche le loro brave illustrazioni, che sono immagini statiche e molto iconiche più che veri disegni da fumetto, ed ecco che abbiamo un perfetto sistema per intrattenere il pubblico sia dei creatori che quello dei fruitori. E magari ci esce fuori anche un prodotto più facile da trasformare in libro che però si vende al prezzo di un libro vero. Le case editrici giapponesi sono impazzite, come dargli torto?

Voi direte: e la trama? Quella ce l’abbiamo, stranamente. O forse no. Vi rispondo con due titoli: Pokémon e Cronache della guerra di Lodoss. Cominciamo da quest’ultima: la creatura fantasy di Ryō Mizuno è composta di romanzi, manga, serie animate e videogiochi. È un capolavoro, anche se un po’ troppo “seriale” per i miei gusti. Sapete da dove ha iniziato il nostro amico? Dai romanzi. Autopubblicati come light novel e poi ripresi nel 1988 da Kadokawa Shoten. Le storie erano buone: intense, vissute, ritmate. Sapete perché? Erano il resoconto romanzato delle sue partite a Dungeon & Dragons, gioco di ruolo di cui Mizuno era un abile Dungeon Master (il tizio che si inventa la storia e tira le fila delle partite). Così, capite perché le storie di molte light novel sono comunque ben strutturate? Riprendono un’altra forma di narrazione interattiva e corale: una partita a un gioco, una serie di storie che le amiche si raccontano, un post più sognate sui social, un diario o un quadernino fatto girare in classe tra compagne o compagni e poi “rimesso in forma”. Cose così.

L’altro titolo che citavo, per spiegare la forma che prendono i percorsi narrativi delle storie, è Pokémon. Che non nasce come light novel (anche se ora ce sono) ma che sono il prototipo di come immagino il concetto di “narrazioni circolari e a cicli di tipo transmediale“. Narrazioni cioè in cui si parte da un media e si passa a un altro e poi a un altro ancora fino a tornare con una nuova serie o prodotto sul primo media da cui tutto è originato. Se la narrazione rimane sostanzialmente identica è di tipo circolare, se incorpora le novità e le variazioni di quelle successive è di tipo ciclico.

Nel caso di Pokémon, si parte con un videogioco per Game Boy del 1996 che poi diventa gioco di carte (ma con qualche differenza dal videogame), poi anime (con altre differenza ancora), poi manga (e anche qui, differenze), e poi torna a diventare videogame ma nel frattempo cambiando, perché incorpora alcune novità e differenze create nelle trasformazioni successive. Il videogioco del secondo ciclo aprirà la via a una nuova serie di narrazioni su altri media che partono da quest’ultimo ed evolvono ancora, appunto come un nuovo ciclo.

Ecco, le light novel sono un esempio di terzo tipo di narrazione, perché avendo già la forma del manga in realtà “passano” senza cambiare (circolari) ma poi tendono naturalmente a evolvere (come dei cicli), allargandosi sempre di più. La forma? È quella di una spirale. Nella mia testa (che è un posto strano, ve lo garantisco) classifico questo tipo di prodotti culturali come dei frutti di narrazioni a spirale. Le light novel, secondo me, producono più facilmente spirali che non cerchi perfetti o cicli ben ritmati. Sono più appiccicose e ondivaghe per loro natura.

Tutto bello, ma ho ancora un dubbio. L’ultima domanda a cui cerco risposta: chi ha inventato il termine “light novel”? Me la risolve ChatGPT, il Google del futuro: pare sia stato Keita Kamikita, system operator di un forum di fantascienza e fantasy. Nel 1990 gli è venuta in mente così, senza alcun tipo di secondo pensiero, l’osservazione che quei romanzi erano un po’ “leggerini” per essere veri e propri romanzi. Non solo per la lunghezza da novella, ma anche per il modo con cui erano scritti. Gli è venuta in mente bene, direi: è una bella etichetta per questa nuova (si fa per dire) forma di romanzo che da noi non piace tanto.

Leggi tutte le puntate di And So What?

Antonio Dini, giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. La sua newsletter si intitola: Mostly Weekly.

Leggi anche: Il rinascimento Disney raccontato dall’animatore Andreas Deja

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