
«Nothin’ ever seems to turn out right / I don’t want to grow up», cantano i Ramones in un brano (cover di Tom Waits) per il cui video Daniel Clowes realizzò alcune sequenze d’animazione. Quei due versi condensano da soli il senso di Ghost World, uno dei capolavori del fumettista americano.
Pubblicato per la prima volta a puntate a partire dal settembre del 1993 – e noto anche grazie alla trasposizione cinematografica del 2001 diretta da Terry Zwigoff e con protagoniste Thora Birch e Scarlett Johansson – Ghost World è diventato nel corso del tempo una lettura imprescindibile per i cultori di Daniel Clowes, nonché una delle opere protagoniste di quel momento storico in cui, perlomeno nella percezione del grande pubblico, il fumetto fu promosso da prodotto di intrattenimento a prodotto culturale. Insomma, a trent’anni dalla sua pubblicazione, per varie ragioni, Ghost World è ormai da considerare un classico del fumetto.
Un racconto dolceamaro dell’adolescenza
Ghost World racconta l’estate dopo il diploma di Enid e Rebecca. Ostentando disinteresse verso qualsiasi progetto futuro, le due amiche trascorrono le loro giornate a far commenti al vetriolo su tutti, dai comici che si esibiscono in tv agli avventori che incontrano in caffetteria, fino ai loro ex compagni di classe. Nessuno è al riparo dalle loro critiche pungenti, e del resto è proprio questo atteggiamento sprezzante a farle sentire forti e a cementare la loro amicizia.
Delle due, Enid ha una marcia in più, piace molto ai ragazzi, cambia look ogni giorno e ha sempre l’idea giusta per movimentare le giornate noiose. Eppure nasconde una grande inquietudine: quando è sola, si perde nei ricordi felici della sua infanzia oppure sogna di andare lontano, diventare una persona completamente diversa e dimenticare tutti, persino Rebecca.

«Quando ti lasci l’infanzia alle spalle hai una finestra di opportunità e l’occasione di diventare ciò che hai sempre desiderato di essere» ha dichiarato Clowes in un’intervista. È proprio la sospensione che precede quella trasformazione irreversibile il nodo di Ghost World. Lasciarsi l’infanzia alle spalle significa non ritrovare più quel senso di pienezza che le cose hanno sempre avuto e che gli adulti non hanno la soluzione a tutti i problemi, anzi, ne sono spesso la causa. Avere davanti a sé una finestra di possibilità significa perdere la certezza di essere speciali e contemplare l’inquietante ipotesi di diventare perdenti e mediocri come tutti gli altri.
La reazione di Enid e Rebecca a questa graduale rivelazione è un rigetto tanto disperato quanto esasperante: giudicano, irridono, trattano con disprezzo e coinvolgono in scherzi umilianti chiunque incontrino, e il loro sguardo sprezzante si riflette nelle fisionomie grottesche con cui sono disegnati gli altri personaggi. Ma è una battaglia persa, perché volenti e nolenti di quel mondo adulto stanno già diventando parte.
Prima di prendere coscienza del fatto che il cambiamento tanto temuto in realtà è già in corso, le due ragazze fanno quello che agli adulti non è consentito, ossia riempiono le loro giornate di niente. Ghost World procede come un racconto slice of life, scandito dalle non-occupazioni in cui potevano impegnarsi due adolescenti degli anni Novanta in un’anonima cittadina americana: organizzare una svendita dei propri cimeli nel giardino di casa, chiacchierare in caffetteria sedute a uno dei tavoli in vetrina sulla strada, entrare per scherzo in un sexy shop in compagnia di un ragazzo, noleggiare film in videoteca.

La storia restituisce uno spaccato fedele della provincia americana di quegli anni, un luogo tranquillo dove però non mancano individui ambigui o che sembra abbiano perso il senno. Un posto affollato ma dove è impossibile entrare davvero in relazione, in pratica un nonluogo – concetto che del resto Marc Augé avrebbe teorizzato proprio in quegli anni – in cui le persone si riducono a presenze fantasmatiche e intangibili. A ribadirlo ci pensa il misterioso graffitaro che imbratta vetrine, pareti e saracinesche con la scritta “Ghost World” – che Clowes, alla maniera di Will Eisner, usò come titolo dei capitoli in cui era suddivisa la storia.
Dall’underground al centro della scena culturale americana

Anche se oggi la leggiamo in volume, la storia di Ghost World fu pubblicata per la prima volta a puntate su Eightball, un comic book antologico realizzato interamente da Clowes per Fantagraphics Books dal 1989 fino al 2004. L’autore aveva già lavorato per lo stesso editore ad altri comic book contenenti le avventure ridanciane e satiriche di Lloyd Llewellyn, un suo personaggio che nel 1985 era apparso in Love and Rockets 13 dei fratelli Hernandez.
Il progetto di Eightball era più ampio e ambizioso: si ispirava a Mad ed era pensato per ospitare narrazioni serie, alternando storie brevi ad altre di più ampio respiro suddivise in episodi. In pratica, Eightball divenne un contenitore in cui (come sottolinea Ken Parille) Clowes sperimentò diversi stili di racconto a fumetti.
Presentato provocatoriamente come «un’orgia di cattiveria, vendetta, disperazione, angoscia e perversione sessuale», Eightball raccontava la banalità della provincia mostrando gli aspetti meno gradevoli del sogno americano rinvigorito dall’opulenza degli anni Ottanta e Novanta. Su queste pagine, che avrebbero fatto guadagnare all’autore numerosi premi Eisner, Harvey e Ignatz, Clowes rese più acuto il suo sguardo disincantato sulla realtà, dedicò molto spazio a personaggi outsider e riuscì a far emergere il lato poetico e umano dello squallore.

Terminata la pubblicazione su Eightball, nel 1997 Ghost World ebbe un’edizione in volume unico. Insieme ai lavori di altri autori come Art Spiegelman, Chris Ware, Craig Thompson e Adrian Tomine – provenienti come Clowes dal fumetto alternativo – divenne in poco tempo una delle opere protagoniste della stagione del graphic novel.
Come sottolineato da Paolo Interdonato nell’introduzione al volume dedicato a Clowes ne I fumetti di Repubblica – L’espresso del 2006, negli anni di pubblicazione di Eightball, anche la narrativa americana aveva preso a inglobare il linguaggio e i simboli della cultura pop per raccontare storie complesse capaci di fotografare la specificità della società americana contemporanea.
Il lavoro di scrittori come Rick Moody, Michael Chabon, Jonathan Lethem e Dave Eggers (quest’ultimo anche animatore dell’innovativa rivista letteraria McSweeney’s) – poi ascesi all’empireo della letteratura statunitense – finì con il costruire un ponte tra la cultura “alta” e “bassa”. Questo influì positivamente nella percezione del fumetto da parte del pubblico più colto, che cominciò a vedere i graphic novel come opere più vicine ai romanzi letterari che agli albi dei supereroi.

Daniel Clowes mostrò una certa perplessità all’idea che un nuovo formato e soprattutto un’etichetta altisonante come “graphic novel” servisse a trasformare il fumetto da lettura mainstream a «un tipo di libro che è generalmente adeguato». Questo perché in realtà è sempre stato convinto che il valore del fumetto non andava certo ricercato nelle affinità con la letteratura o con altre forme d’arte.
Per Clowes, «anche (e specialmente) nella loro forma di minor valore, i fumetti trasmettono un’aura di verità indicibile» senza volerla decifrare a tutti i costi, curandosi «soltanto delle domande, senza dare alcuna risposta». E rileggere Ghost World, a distanza di trent’anni, ci riporta esattamente qui.
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