
«La mia vita prima degli attacchi di panico me la ricordo come un video di Ke$ha, però bella. Ma mi sa che la sto romanzando.» È Moa, la protagonista di Goblin Girl, a pronunciare queste parole un anno dopo aver iniziato la psicoterapia. Sensibile, creativa, ma anche senza soldi, rifiutata dalla scuola d’arte, squatter in un distretto industriale di Göteborg, ha vent’anni e vive un’esistenza tormentata dall’ansia e dalla depressione.
Un giorno Moa conosce su Tinder un famoso personaggio della tv, che ha oltre il doppio della sua età e si propone di finanziare le sue ambizioni artistiche, e per un po’ la ragazza si convince che questo possa essere l’evento che la ricondurrà alla vita. È stanca di passare le giornate in uno stato catatonico, indossando vestiti del giorno prima, aggrappata al suo smartphone, e desidera solo liberarsi dai suoi demoni interiori. Le sessioni con la psicologa non funzionano granché. Se questa relazione a distanza può dare qualche giovamento, tanto meglio.
L’autrice, Moa Romanova (classe 1992), ha parlato della genesi dell’opera in diverse interviste, spiegando di aver trascorso i suoi vent’anni in un perenne stato di festa («Fumavo un sacco, dormivo a malapena e tiravo avanti a energy drink»). Intervistata da Olivia Logan per Exberliner, ha raccontato di come l’uso di sostanze le si sia ritorto contro il giorno in cui ha fumato erba sintetica che si era procurata tramite dark web e ha avuto una crisi psicotica di 12 ore, durante la quale pensava di trovarsi dentro un incubo. Quella crisi ha innescato una serie di attacchi di panico che nei quattro mesi seguenti, ogni settimana, tornavano a terrorizzarla tanto da farle pensare di stare «perdendo la testa e impazzire».
Goblin Girl inizia poco dopo questi avvenimenti. Isolata, distante dalle amiche (che a volte parlano letteralmente per geroglifici), aggrappata con le unghie all’equilibrio della vita quotidiana, Moa racconta Moa, attraverso una doppia trama che segue i suoi tentativi di ottenere aiuto e guarire dopo la psicosi, e il bizzarro rapporto con il suo neo-mecenate “Celebrità TV, 53”. Un volto noto della televisione svedese, che la fumettista ha conosciuto veramente ma di cui non ha mai voluto divulgare il nome.

Il fumetto è stato pubblicato nel 2018 da Kartago Förlag, uno dei più importanti editori svedesi, con il titolo Alltid fucka up. Ha avuto un successo immediato e a oggi sono dodici i Paesi che lo hanno tradotto. Il titolo originale è stato adattato in maniera sempre diversa ma calzante (si va dal finlandese Paniikki Prinsessa, al tedesco Identikid, passando per il croato Čudakinja). La testata Svenska Yle ha riportato a riguardo un aneddoto curioso: pare che Fantagraphics Books – editore statunitense che ha per primo utilizzato il titolo Goblin Girl – abbia cambiato la copertina originale che ritraeva Moa in primo piano con gli occhiali da sole e i capelli neri a incorniciarle il volto, perché riteneva somigliasse troppo a Michael Jackson – il che era «un male per le vendite». In Italia lo ha pubblicato quest’anno Add Editore, nell’ottima traduzione di Alessandro Storti, già traduttore di Baby Blue di Bim Eriksson.
Per capire il significato del titolo, nel caso in cui non si avesse familiarità con il concetto di “Goblin Mode” (cui il Guardian ha dedicato un lungo articolo lo scorso anno), bisogna raggiungere la seconda metà del fumetto, dove troviamo Moa intenta a giocare con il telefono sul divano della madre, che la sta ospitando dopo l’ennesimo violento attacco di panico. Il gioco ha per protagonista un Goblin che ha bisogno di aiuto per compiere una serie di azioni (es. prendere una mela, spaventare un vecchio) e per la ragazza, incapace di bloccare l’insorgenza di questi attacchi o gestirne l’ansia anticipatoria, è un attimo immedesimarsi in una creaturina grottesca e non autosufficiente. È esattamente così che si sente.
Romanova non ha intenzione di edulcorare nulla. Descrive in dettaglio le sue esperienze e i cattivi sentimenti che l’attanagliano: lo sconforto, l’ansia generalizzata, il sentirsi costantemente di (e una) merda. La metafora che usa per descrivere la depressione è da 10: «Mi sembra tutto inutile. Mi sento sempre troppo stanca. È come se qualcuno mi svegliasse in piena notte, dicendomi “Oh, non è che mi aiuti a scavare una buca che non serve a niente, a dieci sotto zero e senza giacca?” Insomma, no».
Esplorando in profondità i recessi della mente del personaggio-Moa, Romanova tocca un nervo scoperto per tutti quei millennial che (ben oltre i confini svedesi) assumono droghe o alcol per sfuggire ai problemi lavorativi, affettivi e familiari della propria vita. Una generazione schiacciata dalla pressione di avere successo e di essere felice in ogni momento, nonostante il mondo che ha intorno stia letteralmente bruciando.

L’autrice racconta la lotta quotidiana contro l’apatia e la paura della malattia mentale con tatto e sensibilità, ma soprattutto una buona dose di umorismo. Proprio lo humour caustico che pervade il suo lavoro è quello che le dà speranza e in qualche modo la fa andare avanti.
Oltre alla citazione-battuta su Ke$ha menzionata in apertura, si potrebbero fare molti altri esempi. La laconica psicologa che incoraggia Moa con un esercizio di respirazione («Ed ecco che… puf! Ci siamo tenuti in vita per un minuto in più») mentre alle sue spalle campeggia un manifesto con scritto «Keep calm and privatize healthcare». La cronologia Google che mostra tra le ricerche più recenti, “Jon Hamm pene” e “Paesi in cui è legale la lobotomia”. Il poliziotto in borghese che durante un party illegale tenta goffamente di incastrare i partecipanti ma non riesce a procurarsi la droga da nessuno. Moa che si fa la doccia nell’appartamento di una sua amica e prende in prestito un prodotto di LUSH, finendo per sognare ad occhi aperti la sua relazione con “Jerry”, il dipendente che ha confezionato il bagnoschiuma, firmandone l’etichetta.
Non è un mistero che la principale fonte di ispirazione di Romanova siano le sue amiche storiche: molte di loro sono facilmente riconoscibili anche nelle pagine del fumetto (ad esempio Sarah Klang e Åsa “Shitkid” Söderqvist, entrambe musiciste). In Goblin Girl l’amicizia femminile non è un elemento trascurabile, bensì assurge a potente strumento di sopravvivenza per la protagonista. Gli scambi di battute tra ragazze – sempre sorprendentemente realistici e spassosi al limite della sfrontatezza, sia che riguardino presunti herpes vaginali, pasticche o gattini – bilanciano i silenzi e le difficoltà relazionali di Moa. Anche se le amiche non possono aiutarla concretamente a stare meglio, la loro presenza costante (e la loro chaotic energy) è una delle poche certezze della vita della nostra antieroina.
I suoi mille tentativi frustrati di vivere “una vita normale” sono resi perfettamente non solo dalla scrittura empatica ma anche e soprattutto dal mix di stili con cui l’autrice raffigura se stessa e gli altri. Moa si sente sgraziata e insicura e per questo distorce e sproporziona sulla pagina le forme del suo corpo (testa piccola e rotonda, tronco oversize e squadrato alla Tommi Parrish). Sua madre invece è letteralmente la mamma della famiglia dei Moomin di Tove Jansson, un’icona di gentilezza e premura. Lo spasimante televisivo ha un sacchetto di carta sulla testa a celarne l’identità e una pashmina attorno al collo che lo fa sembrare più goffo che raffinato.

Quando nella testa di Moa si verifica un improvviso “twist” e la sua mente è sopraffatta dall’inconscio, stile e layout della pagina subiscono repentini cambiamenti. La tavolozza di colori zuccherini e trame granulose dal sapore anni Ottanta – utilizzata fino a quel momento per descrivere la realtà abituata dalla protagonista – lascia il posto a forme dilatate e tonalità fluo che infastidiscono gli occhi (come nell’episodio dell’incubo) o a pagine monocromatiche in stile manga (come nel caso del combattimento che compare verso la fine del libro, durante un sogno a occhi aperti).
Con Goblin Girl Moa Romanova si afferma come una delle nuove e più interessanti voci del fumetto scandinavo. Una bella sorpresa per il mercato italiano e una lettura che sarà probabilmente apprezzata da chi sta affrontando problemi di stress emotivo o lottando con una dipendenza.
Goblin Girl
di Moa Romanova
traduzione di Alessandro Storti
ADD Editore, maggio 2023
brossura, 184 pp., colore
22,00 € (acquista online)
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