“Pluto”, amore e odio nel noir fantascientifico di Urasawa

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Con all’attivo titoli come Happy!, Monster e 20th Century Boys, Naoki Urasawa era già un autore affermato quando decise di omaggiare una delle sue serie preferite di sempre, Astro Boy – Tetsuwan Atom di Osamu Tezuka. In vista del 7 aprile 2003 – che nel manga originale era la data di attivazione di Atom – il mangaka progettò di realizzare un remake de Il più grande robot del mondo, la storia del 1964 con cui la serie aveva toccato il picco di popolarità.

Quando chiese l’autorizzazione a lavorare al progetto, Makoto Tezuka – figlio di Osamu e direttore di Tezuka Productions – gliela concesse a una sola condizione: Urasawa avrebbe dovuto ridisegnare i personaggi nel suo stile e realizzare un prodotto del tutto nuovo. In altre parole, doveva misurarsi alla pari con il “dio dei manga”. Così nacque la serie Pluto, pubblicata da Shogakukan a partire dal 9 settembre del 2003 fino al 2009. Una storia co-scritta da Urasawa assieme a Takashi Nagasaki, suo storico editor e collaboratore, che lavorerà successivamente anche alla stesura di Billy Bat. Non un semplice omaggio, ma una vera e propria celebrazione di quello che Astro Boy ha rappresentato per i suoi lettori e in particolare per lo stesso Urasawa.

Pluto in breve (e senza spoiler)

In un futuro in cui i robot vivono accanto alle persone ma sono spesso vittime di discriminazioni, Mont Blanc, uno degli esseri artificiali più gentili e più forti del mondo, viene fatto a pezzi senza pietà, e una sorte simile tocca a un attivista (umano) dei diritti degli automi. Il detective incaricato delle indagini è Gesicht, un robot di altissimo livello, costruito con una lega indistruttibile ma dall’aspetto in tutto e per tutto umano. 

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Gesicht scopre di essere sulla lista dell’assassino, un misterioso robot chiamato Pluto, insieme ad altri automi che pur conducendo un’esistenza pacifica sono potenziali armi di distruzione di massa: North #2, Brando, Hercules, Epsilon e Atom, quest’ultimo un’AI avanzatissima dall’aspetto di un bambino, creata da un geniale scienziato, il dottor Tenma, nella vana speranza di attenuare il dolore per la prematura perdita del figlioletto Tobio. Nonostante Gesicht faccia di tutto per stanare il colpevole, i delitti di robot e umani si moltiplicano e sembrano collegati a una sanguinosa guerra avvenuta qualche anno prima, il 39° conflitto dell’Asia Centrale, e alla politica di “pace” portata avanti dagli Stati Uniti di Tracia.

Urasawa conservò i nodi narrativi principali della storia di Tezuka ma modificò il racconto alla sua maniera. Rese la narrazione corale, dando molto più spazio ad alcuni personaggi secondari, e creò un intreccio pieno di colpi di scena e che procedeva per salti temporali. Approfondendo i lati oscuri e ambigui già presenti nell’originale, creò poi un racconto che dal target shonen di Astro Boy si spostò verso il seinen.

L’attualizzazione della storia originale

Il più grande robot del mondo fu uno degli episodi più celebri e amati di Astro Boy, anche perché venne pubblicato quando il personaggio era diventato molto popolare grazie all’anime televisivo e al merchandising che ne era seguito. Per Urasawa la storia aveva anche un significato affettivo, dal momento che, stando ai suoi ricordi, era stato il primo manga che aveva letto.

Pubblicata tra il 1952 e il 1968, la serie Astro Boy è un’avventura in salsa fantascientifica dove i siparietti comici alleggeriscono contenuti di grande profondità: il confronto tra esseri umani e artificiali diventa spunto per ragionare su che cosa significhi essere umani, sull’amore e il dolore come moventi di azioni grandi o terribili, sul ruolo della scienza nel costruire la pace o nel promuovere la guerra, sulla discriminazione e la solidarietà.

Ispirato nell’aspetto al Topolino di Walt Disney, Atom era nelle intenzioni di Tezuka una versione futuristica di Pinocchio (idea che sarebbe poi stata ripresa nel 2001 da Spielberg nel film A.I. – Intelligenza artificiale). La creatura artificiale che aspira a diventare umana è del resto un leitmotiv della letteratura fantascientifica, dove spesso si incontrano automi che vogliono emanciparsi dalla funzione meramente pratica per cui sono stati progettati (la parola stessa robot deriva dal ceco robota, che significa ‘lavoro’), rivendicando la libertà di autodeterminarsi e di vivere pienamente la loro esistenza. In pratica, diventando uno specchio degli esseri umani, delle loro battaglie e delle loro contraddizioni.

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Una comparazione tra i personaggi originali di Osamu Tezuka e quelli di Naoki Urasawa

Urasawa riprese questo bagaglio di ispirazione e di intenti, dandone un’interpretazione aggiornata, ragionata e per molti versi personale. In Pluto il rapporto tra umani e automi è gestito attraverso regole che ricordano molto le leggi della robotica di Isaac Asimov (anche Tezuka aveva pensato a qualcosa di simile, pur non avendo mai letto il lavoro dello scrittore statunitense). Il fulcro intorno a cui ruota la riscrittura di Urasawa è però la contraddizione tra il principio per cui ogni robot è progettato per non nuocere agli umani e l’obiettivo di rendere l’AI sempre più simile a quella umana, dilemma che emerge attraverso due personaggi. Il primo è l’inquietantissimo Brau 1589, una sorta di Hannibal Lecter robotico colpevole di quell’unica azione, l’omicidio, che dovrebbe segnare il confine tra macchine e uomini. Il secondo è lo spregiudicato e tormentato dottor Tenma, il creatore di Atom, fermamente convinto che l’AI perfetta sia quella che riesce a compiere errori seguendo dinamiche in tutto e per tutto umane.

Il contesto futuristico segnato da ingiustizia e soprusi che in Astro Boy serviva da scenario generico per far risaltare l’animo gentile di Atom, nella serie di Urasawa assume connotati più realistici. Così, la discriminazione verso i robot trova la sua manifestazione più violenta in una setta segreta stile Ku Klux Klan, i cui affiliati si riuniscono indossando cappucci bianchi, compiono azioni riprovevoli come torturare robot bambini e puntano a seminare nella società la paura del diverso e l’idea della superiorità della razza umana su quella artificiale.

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La riflessione su come scienza e tecnologia siano utili o pericolose a seconda di chi le maneggia – in Tezuka stimolata dal ricordo ancora fresco della bomba atomica – per Urasawa si arricchiva di tutte quelle interpretazioni che lo sviluppo del genere mecha nel frattempo aveva elaborato. Come in Super Robot 28 di Mitsuteru Yokoyama e in Mazinga di Go Nagai, anche in Pluto sono proprio gli eroi robotici a rappresentare tanto la soluzione a un problema quanto il problema stesso, dal momento che sono effettivamente armi di distruzione di massa potenzialmente impiegabili in cause sbagliate.

E la madre di tutte queste è la guerra, in cui ci si trova costretti a uccidere i propri simili perché obbligati a eseguire gli ordini. E la contingenza storica è purtroppo piena di promemoria a riguardo. Ne Il più grande robot del mondo la storia si apre con le manie di protagonismo di un sultano orientale: per Urasawa fu naturale adattare questo spunto guardando al panorama internazionale di quegli anni: così l’esaltato sovrano di Persia Dario XIV ricorda Saddam Hussein, mentre tutte le manovre interventiste del presidente degli Stati Uniti di Tracia ricordano quelle di Bush nella guerra in Afghanistan e in Iraq. Ma, almeno nella visione umanista di entrambi gli autori, non c’è complotto che non si possa risolvere con l’azione coraggiosa e responsabile dei singoli.

Robot che odiano e amano

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Volendo approfondire i lati più problematici della storia originale, Urasawa scelse di far condurre l’azione da un personaggio adulto e complesso, il detective Gesicht. Poliziotto robot dell’Europol e ligio al proprio lavoro, Gesicht nasconde un passato oscuro e tormentato, come un vero detective noir (e con qualche affinità anche rispetto a Rick Deckard di Blade Runner). Nonostante cerchi di agire in modo corretto e giusto, il personaggio è infatti contaminato dal sentimento che fa da filo conduttore della storia: l’odio.

È l’odio, l’unica pulsione capace di spingere oltre ogni forma di razionalità e di trasformare le vittime in carnefici, ciò che più di ogni altra cosa rende simili le AI più avanzate agli umani. L’antagonista stesso, Pluto, compie azioni crudeli non perché sia malvagio di natura, ma perché prigioniero di meccanismi di vendetta e ritorsione accumulatisi in varie generazioni ed esistenze, umane e artificiali, un coacervo di tensioni che però lasciano spazio alla redenzione. Costruendo una narrazione parecchio macchinosa, Urasawa preservò quell’ambiguità caratteristica del personaggio originale e che era tanto piaciuta già ai lettori de Il più grande robot del mondo.

Ma l’odio è anche la prova del fuoco che deve superare l’eroe dal cuore puro per eccellenza. Il robot bambino dall’animo gentile si confronta in prima persona con una dura verità: certi sentimenti negativi non si possono né reprimere né cancellare, vanno affrontati e rielaborati alla luce della consapevolezza che non portano mai a nulla di buono. Per salvare il mondo, Atom dovrà prima combattere con sé stesso, e solo dopo aver vinto questa battaglia interiore potrà fare la cosa giusta e tornare a ispirare chi gli sta intorno.

A questa profonda riscrittura dei personaggi principali di Tezuka si affianca un ridesign che trasfigura in modo realistico i tratti cartooneschi originali, in coerenza con lo stile grafico proprio di Urasawa ma anche con la scelta di mettere in primo piano il lato umano degli automi protagonisti piuttosto che i loro poteri straordinari di macchine. L’esempio più lampante è lo stesso Atom, riconoscibile dai ciuffetti dei capelli all’insù che alludono ai cornetti del character tezukiano, di cui restano memorabili i primissimi primi piani capaci di esprimere un ventaglio ricchissimo di emozioni.

In sintesi, Pluto è una serie molto ben riuscita se non si conosce nulla di Astro Boy, geniale se invece in quell’universo ci si orienta almeno un po’. L’opera è tra l’altro disseminata di easter egg che rimandano all’opera di Tezuka, come il cameo di Black Jack, la caffetteria Tokiwa che prende il nome dal “luogo sacro dei manga”, il leone bianco bianco fuggito dallo zoo che rimanda a Kimba. Ma soprattutto Pluto è la prova di come Urasawa sia a tutti gli effetti il degno erede del “dio dei manga”: se per Tezuka il futuro luminoso del mondo era nelle mani dei ragazzi, Urasawa ha coinvolto nel discorso anche gli adulti, provando a risvegliare il loro animo bambino e spingendoli a credere, almeno per un attimo, che guarire il mondo sia, tutto sommato, ancora possibile.

Naoki Urasawa sarà tra gli ospiti internazionali di Lucca Comics & Games 2023

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